Il partito liquido (e liquefatto) alla prova dei tonni calabresi

Perché il Pd di Bersani rischia di vincere dove è più veltroniano

Claudio Cerasa

Bisogna prenderla con filosofia: il Partito democratico che abbiamo sognato, che abbiamo fantasticato e che abbiamo persino tentato di suggerire a ognuno dei tre leader che si sono finora alternati alla guida del maggior partito dell'opposizione non ha fatto una fine, diciamo così, gloriosa.

    Bisogna prenderla con filosofia: il Partito democratico che abbiamo sognato, che abbiamo fantasticato e che abbiamo persino tentato di suggerire a ognuno dei tre leader che si sono finora alternati alla guida del maggior partito dell'opposizione non ha fatto una fine, diciamo così, gloriosa. Quel Pd che doveva essere liquido, agile e il più possibile leggero oggi si è oggettivamente trasformato nella controfigura del partito dei nostri sogni: primarie quando capita, vocazione maggioritaria per carità e Dio ci scampi poi da quella pazza idea di partito all'americana. Ma nel Pd a trazione bersaniana capita che ci si ritrovi sempre più spesso ad annusare gli ingredienti che avrebbero dovuto arricchire il Pd dei nostri desideri, e osservando con attenzione quanto succede in giro per l'Italia il risultato è che oggi il Partito democratico appare come una sorta di vero e proprio partito liquido di fatto.

    Un Pd dove i tesserati contano così poco che l'aver accolto, nel 2008, una quota di militanti persino inferiore (821.000) a quella già non esaltante messa insieme dalla Margherita e dai Ds due anni prima ha fatto impazzire di gioia mezzo Pd. Ma soprattutto un Pd dove l'essere senza tessere sembra sia diventato un elemento decisivo per poter correre alle elezioni della prossima primavera. Qualche esempio? C'è Nichi Vendola, candidato unico del centrosinistra in Puglia, che almeno fino a quando ci sarà D'Alema la tessera del Pd è difficile che la prenda. C'è Emma Bonino, candidata unica del centrosinistra nel Lazio, che accetterà pure tutti i voti che le offriranno i vecchi cattolici democristiani ma che dentro il Pd non c'entrerà mai. C'è Giorgio Orsoni, candidato sindaco di Venezia, che fa della sua non iscrizione al Pd uno dei punti forti della propria campagna elettorale. Per non parlare poi di Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia di Mestre e candidato del Pd in Veneto, che si presenta anche lui alle elezioni senza avere la tessera del Pd e senza avere la minima intenzione di prenderne una.

    Lo spettro del partito senza tessere continua poi a manifestarsi minacciosamente anche in queste ore, e chi ha parlato negli ultimi giorni con Bersani confessa che una delle idee che più affascinano il leader del Pd, per risolvere il pasticcio della candidatura democratica in Calabria (dove a Loiero viene chiesto di fare un passo indietro e dove Loiero il passo indietro è difficile che lo faccia), è proprio quella di appoggiare un politico senza tessera del Pd: Pippo Callipo, famoso non solo per essere uno dei più famosi leader meridionali dell'Italia dei valori ma anche per essere con la sua azienda il principe dei tonni calabresi. Ma i segnali di una sempre più forte esistenza di un partito liquido diabolica- mente nascosto nel tessuto del Pd sono anche altri. L'idea per esempio di un partito fluido che sullo schema americano sia costruito attorno al ruolo attivo di fondazio- ni politiche è ben presente nel Dna del Pd, dove il numero di associazioni è destinato a salire nei prossimi giorni: quando l'ex segretario Franceschini ufficializzerà la nascita del suo think tank legato alla corrente Area Democratica.

    Ieri poi il quotidiano Europa ha fatto riflettere su un altro aspetto interessante: ovvero che il Pd rischia di ottenere risultati sorprendenti giusto in quelle regioni ad alto rischio – Puglia, Campania e Lazio – dove i candidati si presentano da soli e dove verrà messa dunque in pratica una sorta di vocazione maggioritaria coatta. In altre parole, tutto ciò significa che se il Pd alle prossime elezioni non si trasformerà in un partito liquefatto gran parte del merito andrà dato proprio a quell'armatura di partito leggero, agile e naturalmente liquido che era forse l'unica corazza politica che poteva dare un senso a questa storia democratica.

    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.