Ecoincentivi sì, ecoincentivi no

Case da meretricio

Francesco Forte

Il gruppo Fiat ha sempre considerato la politica come una “putain”, più o meno di lusso, che concede i suoi favori in cambio di graziose pourboire, ovvero mance, che essa non fissa. Se la putain ha troppe pretese, il gentiluomo se ne va, sdegnato, dicendo che il rapporto non lo interessa.

    Il presidente della Fiat, Luca Cordero di Montezemolo, di fronte alla prospettiva di legare la riedizione degli ecoincentivi per la sostituzione delle auto al mantenimento del sito industriale di Termini Imerese, preferisce non farne nulla. E sin qui ha ragione. Ieri abbiamo già fatto notare che le agevolazioni sono una droga di effetto benefico limitato nel tempo che, se ripetuta, si risolve in un mero spreco di denaro pubblico. Inoltre generano una relazione impropria fra industria e governo che può indurre a scelte politiche e aziendali anti economiche.

    Cordero di Montezemolo ha anche affermato che da quando lui è presidente della Fiat, dal 2004, il Lingotto non ha ricevuto dallo stato alcun aiuto diretto perché gli ecoincentivi sono una sovvenzione per i consumatori e che il 70 per cento delle agevolazioni è andato ad auto di case estere. Le due argomentazioni si contraddicono. Infatti se il beneficio è soltanto dei consumatori italiani, non importa se l'ottengono acquistando auto estere o italiane. Ovviamente è valida solo la seconda delle due affermazioni, quella che gli ecoincentivi aiutano a vendere prodotti in gran parte di importazione. E ciò rafforza la tesi che la riedizione di queste misure, a spese del contribuente, è una dannosa dissipazione di risorse statali.

    Ma la tesi che l'agevolazione del prezzo di vendita delle auto sia soltanto un vantaggio per i consumatori e non per le imprese è palesemente infondata. Infatti queste sovvenzioni statali indirette consentono ai produttori di vendere più auto senza ridurre i prezzi da loro praticati ai concessionari. E poiché i costi unitari di fabbricazione degli autoveicoli sono decrescenti, in quanto fruiscono delle economie di scala, ciò permette ai produttori che godono di questi aiuti alle vendite di registrare ricavi che diversamente non otterrebbero.

    Il gruppo Fiat ha sempre considerato la politica come una “putain”, più o meno di lusso, che concede i suoi favori in cambio di graziose pourboire, ovvero mance, che essa non fissa. Se la putain ha troppe pretese, il gentiluomo se ne va, sdegnato, dicendo che il rapporto non lo interessa. Così può evitare di saldare l'ultima prestazione, in relazione alla quale è sorto il diverbio. Per il contribuente lo stato putain è un cattivo affare. Quindi è meglio che il rapporto si chiuda con un insoluto finale.