L'anti Avatar

Mariarosa Mancuso

La ricetta per il perfetto racconto dell'orrore secondo Edgar Allan Poe – dopo di lui non se ne danno altre – prevede un guaio in cui nessuno si sia mai cacciato e un protagonista in trappola che racconti al lettore le atroci sensazioni sperimentate. Cercando di colpire il lettore – la chiosa è del discepolo Stephen King – alla testa prima che al cuore (quando l'una e l'altro sono fuori portata tocca allo stomaco, e non è una bella cosa, come sanno gli spettatori della saga “Saw”, oppure di “Hostel”).

    La ricetta per il perfetto racconto dell'orrore secondo Edgar Allan Poe – dopo di lui non se ne danno altre – prevede un guaio in cui nessuno si sia mai cacciato e un protagonista in trappola che racconti al lettore le atroci sensazioni sperimentate. Cercando di colpire il lettore – la chiosa è del discepolo Stephen King – alla testa prima che al cuore (quando l'una e l'altro sono fuori portata tocca allo stomaco, e non è una bella cosa, come sanno gli spettatori della saga “Saw”, oppure di “Hostel”). Sono i maestri di Rodrigo Cortés, regista galiziano che cercava l'idea per un film a basso costo e ha imparato perfettamente la lezione.

    Un solo attore, una sola location, per illuminazione un accendino zippo e un telefono cellulare. Dove questa poca roba poteva diventare un film di paura? Ovvio, dentro una bara. Siamo sicuri che il maestro Poe avrebbe ammirato la ristrettezza di mezzi e il punto di vista: lui i sepolti vivi li raccontava perlopiù stando fuori dal loculo, a parte il malcapitato che si ritrova in una cella dell'Inquisizione con pareti semoventi che si chiudono e un pendolo tranciante a forma di mezzaluna. Non siamo sicuri come reagirà Quentin Tarantino, che in “Grave Danger” (ultimo e doppio episodio della quinta serie di CSI, anno 2005) aveva chiuso un poveretto in una bara di plexiglas, provvista di aerazione però, e in “Kill Bill” aveva fatto un po' di esercizi claustrofobici con la la sposa Uma Thurman.

    Ma un film tutto intero, che per novanta minuti filati chiude lo spettatore dentro una bara, non si era mai visto. Non sembrava possibile trovare un produttore disposto a investire tre milioni di dollari (già ricuperati con duecentomila dollari di interesse dalla vendita a Lionsgate per la distribuzione internazionale) sui nervi saldi degli spettatori. La frontiera dell'orrore che fa andar fuori di testa è stata varcata qualche giorno fa al Sundance Film Festival di Robert Redford: il film si intitola “Buried”, è stato girato in inglese a Barcellona, ha attirato una folla rimasta in fila al freddo varie ore, probabilmente ha fatto scappare parecchi spettatori dopo le prime scene. Dove non si vede quasi nulla, all'inizio, e quando si comincia a vedere è peggio: la faccia spaventata dell'attore Ryan Reynolds, e le pareti del loculo in legno piallato fanno paura già nel trailer. Vi aspettavate un'ultima dimora imbottita di seta rosa trapuntata alla “Caro estinto” di Evelyn Waugh o alla “Six Feet Under” di Alan Ball? Sbagliato, il nostro eroe – di nazionalità americana – lavora come camionista in Iraq, e lì certe raffinatezze non usano.

    “Buried” è il contrario di “Avatar”. Non solo per i soldi spesi. Non stiamo facendo l'elogio della povertà cinematografica, che spesso produce inguardabili pasticci che ricattano lo spettatore con i loro stracci e le loro lagne. Stiamo facendo l'elogio delle idee, che non sempre richiedono soldi. Pensate cosa sarebbe potuto diventare “Avatar” con una storia minimamente appassionante e un'estetica – diciamo così – meno New Age: un trip da non uscirne mai, roba da diventare pazzi, mica un parco a tema african-gattesco. Dove Sigourney Weaver fuma una sigaretta dopo averla chiesta smaniando alla sua assistente, e poi non ci pensa più, forse temendo di inquinare Pandora o di farsi sgridare dagli indigeni (non furono i pellerossa i primi a spipazzare?). Stiamo facendo l'elogio di quelli che se la spassano con il loro giocattolo – il cinema è il più bel giocattolo che un bambino cresciuto possa sognare, diceva Orson Welles – epperò non si seccano se vogliamo divertirci anche noi.