Che succede all'Iran se Khamenei è l'ultima Guida Suprema

Amy Rosenthal

Una crisi così, in Iran, non c'era da tempo, la Guida Suprema, Ali Khamenei, s'arrocca nella repressione ma il suo stesso ruolo potrebbe essere in discussione. E se Khamenei fosse l'ultima Guida Suprema dell'Iran rivoluzionario? Geneive Abdo, ricercatrice esperta di storia iraniana presso la Century Foundation di Washington D.C., ha lanciato la provocazione su Newsweek.

    Una crisi così, in Iran, non c'era da tempo, la Guida Suprema, Ali Khamenei, s'arrocca nella repressione ma il suo stesso ruolo potrebbe essere in discussione. E se Khamenei fosse l'ultima Guida Suprema dell'Iran rivoluzionario? Geneive Abdo, ricercatrice esperta di storia iraniana presso la Century Foundation di Washington D.C., ha lanciato la provocazione su Newsweek. Abdo ha scritto molti libri, scrive su Foreign Policy, Middle East Report e New Republic, è stata corrispondente da Teheran per il Guardian e per l'Economist, il suo ultimo progetto, varato lo scorso settembre, è il sito web InsideIran.org, un'importante fonte di informazioni sulla politica interna iraniana.
    Al Foglio spiega che cosa è cambiato negli ultimi dieci anni in Iran. “Ci sono tre elementi da prendere in considerazione.

    Primo, i sostenitori della linea dura hanno conquistato notevole potere all'interno del governo, tanto che personaggi di grande autorità, come Mohammed Khatami e la sua cerchia, sono stati marginalizzati e forzati a passare all'opposizione. Secondo, le divisioni e le spaccature all'interno del regime sono diventate di dominio pubblico. Certo, anche dieci anni fa i religiosi erano divisi; ma ora queste rivalità interne sono diventate molto più feroci”. Le moschee di Teheran dimostrano concretamente questo sviluppo: “La scorsa estate abbiamo visto come la preghiera del venerdì sia diventata a Teheran la piattaforma da cui l'opposizione esprime le proprie rimostranze e, viceversa, da cui il regime cerca di diffondere la propria propaganda. Era una cosa che non si era mai vista prima, almeno non fino a questo livello. Il fatto che queste spaccature interne siano diventate di dominio pubblico è importante non solo per l'occidente, che ora può vedere con i propri occhi le falle all'interno del sistema, ma anche per gli stessi iraniani, perché offre la speranza che le cose possano cambiare. Infine, bisogna tenere conto della militarizzazione della società iraniana, nella quale le Guardie della Rivoluzione stanno diventando la forza più potente del paese, scavalcando gli stessi militari, il clero e il presidente.

    Questa è sempre stata l'ultima opzione di Khamenei, e ora la vediamo diventare realtà. All'interno delle Guardie si sta formando un intelligence team che riferirà direttamente a Khamenei e non al ministro dell'Interno. In altre parole, Khamenei sta cercando di creare un'istituzione ombra che riferisca direttamente a lui, scavalcando altre istituzioni storicamente legate indissolubilmente al sistema”. Che cosa succederà dopo, dal momento che per motivi di salute Khamenei deve pensare alla sua successione? “Il grande interrogativo – dice Abdo – è se l'Iran sarà governato da un apparato delle Guardie della Rivoluzione o se invece si affermerà lo scenario immaginato da Ali Hashemi Rafsanjani, ossia quello di un consiglio di esperti o di una leadership fondata sul consenso. Appare improbabile che il paese continuerà a essere governato dagli stessi infami personaggi che hanno mantenuto il potere per gli ultimi trent'anni, in quanto le Guardie della Rivoluzione avranno un'influenza molto più decisiva sulla forma della successione”. Il presidente Mahmoud Ahmadinejad ha un gruppo di fedelissimi che lo difende, ma ha dovuto eliminare molti nemici, frammentando ancora di più il potere in Iran.

    Abdo vive a Washington, è stata la prima giornalista americana inviata a Teheran dopo la crisi degli ostaggi all'ambasciata statunitense nel 1979. Per questo è molto attenta alle mosse della leadership americana. Abdo sottolinea che Barack Obama ha capito che il negoziato con il regime di Teheran è fallito e ora vuole reagire con più durezza: molti chiedono più attenzione ai diritti umani, soprattutto dopo che – ricorda Abdo – “il dipartimento di stato ha tagliato i fondi per tre organizzazioni che svolgevano ricerche sull'Iran, una delle quali è l'Iran Human Rights Documentation Center della Università di Yale. Il governo ha deciso di tagliare i fondi a tutte le organizzazioni che potrebbero essere considerate dagli iraniani come organi per la promozione della democrazia o addirittura di un completo cambio di regime nel paese”. Ma perché? “L'approccio iniziale dell'Amministrazione Obama è stato quello di non dare all'Iran la possibilità di sostenere che gli Stati Uniti interferiscano negli affari interni del paese.

    Obama aveva detto che gli Stati Uniti sono disposti ad avere colloqui con chiunque, e sono pronti a riconoscere i governi al potere senza giudicare se siano legittimi oppure no. La sua posizione si fondava sui seguenti assiomi: a) non ci schieriamo in questo conflitto perché non sappiamo quale possa esserne l'esito; b) dobbiamo negoziare con il governo al potere, e in questo momento alla guida del governo ci sono Mahmoud Ahmadinejad e Ali Khamenei”. Poi qualcosa è cambiato, la leadership iraniana ha snobbato sprezzante ogni mano tesa, la Casa Bianca ha capito che che così non va, anche perché la repressione in Iran è sempre più feroce.

    Molti però sostengono che Obama si comporti come se la Repubblica islamica avesse già la bomba atomica. “Questa è senza dubbio la posizione di Gary Samore, ex vicepresidente del Council on Foreign Relations, che si occupa da anni del programma nucleare iraniano – spiega Abdo – Samore è convinto che l'Iran abbia già la bomba o sia ormai vicinissimo ad averla e che perciò bisogna passare al piano B. Samore è ascoltato da Obama sulle questioni nucleari, e ha una forte influenza sull'atteggiamento degli Stati Uniti nei confronti dell'atomica iraniana”. Abdo pensa che sia impossibile impedire che l'Iran diventi una potenza nucleare. “La cosa più saggia per gli Stati Uniti e l'Europa sarebbe cercare di trovare un modo concreto per limitare i danni di questo inevitabile esito, sia sul piano delle capacità iraniane sia su quello delle sue intenzioni”.