Il Superbowl celebra la rinascita di New Orleans e il genio di Letterman

Stefano Pistolini

Due messaggi forti sui titoli di coda del Superbowl 2010, l'evento sportivo, ma soprattutto televisivo, festeggiato dagli americani come un giorno della riconciliazione – si passa la domenica assieme, a fraternizzare, a raccontarsi e a fare bisboccia, nell'attesa che sui teleschermi vada in scena la finale del campionato di football.

    Due messaggi forti sui titoli di coda del Superbowl 2010, l'evento sportivo, ma soprattutto televisivo, festeggiato dagli americani come un giorno della riconciliazione – si passa la domenica assieme, a fraternizzare, a raccontarsi e a fare bisboccia, nell'attesa che sui teleschermi vada in scena la finale del campionato di football. Un intenso messaggio emotivo e un sofisticato asterisco per ricordarci che “il medium è il messaggio”, che la tv governa, e che da essa possono anche sortire perfino benefici condivisi.

    La parte passionale della giornata sta tutta nel nome del vincitore del campionato: la risorgente città di New Orleans, che ora si avvia al suo mardi gras sull'onda di un ritrovato ottimismo. Non solo i quartieri sommersi da Katrina riemergono dalle acque e tornano a vivere, non solo l'economia dell'area si sta rimettendo in piedi ma, inaspettatamente, perfino la locale franchigia Nfl dei Saints – celebre soprattutto per deludere le aspettative e mai arrivata a giocarsi un Superbowl – disputando la partita perfetta ha sbranato i favoriti Indianapolis Colts, guidati da un espertissimo quarterback, Peyton Manning, che non solo pare l'eroe di un film hollywoodiano, ma è stato appena nominato miglior giocatore della Lega. “Quattro anni fa sarebbe stato impensabile”, ha urlato nei microfoni Drew Brees, quarterback dei Saints, travolto dall'emozione. “La città era sott'acqua, gli abitanti esuli in giro per il paese. La squadra non sapeva neppure se sarebbe mai tornata a giocare sul suo campo”. E invece i Saints sono diventati il simbolo della ricostruzione e del desiderio di comunità incarnato da New Orleans, città diversa dalle altre d'America. E la resurrezione s'è completata domenica a Miami, con la vittoria per 31-17, la folle festa per le strade e il resto della nazione che assiste commossa all'happy ending.

    Che non sembrerà tale ai tifosi del Colts, che ci contavano, a cominciare dal più celebre dei nativi di Indianapolis: David Letterman, fan della squadra, che però ha rimediato alla delusione sportiva col personale successo messo a segno nella stessa serata. Infatti, uno dei tanti rituali collettivi che si celebrano nella notte del Superbowl – insieme all'esecuzione dell'inno da parte di un divo canterino (quest'anno Carrie Underwood, trionfatrice di American Idol) o lo show nell'intervallo (quest'anno gli Who, apparsi tragicamente ammaccati) – è quello degli spot pubblicitari ad hoc. I grandi marchi fanno a gara a presentare, nelle innumerevoli interruzioni della partita, uno spot realizzato apposta, con infiniti ammiccamenti all'evento. L'idea migliore quest'anno l'ha avuta Letterman, anche per festeggiare la performance dei suoi Colts. Per pubblicizzare il suo show – in onda sulla Cbs, stessa rete che ha trasmesso il Superbowl – s'è inventato un sensazionale promo di soli 15 secondi: un colpo di teatro, perché a farlo ha chiamato, e ha messo a sedere sullo stesso divano, i suoi due più acerrimi rivali e concorrenti, gli stessi coi quali, sera dopo sera, si scambia frecciate al curaro, ovvero Oprah Winfrey e Jay Leno. Con una sensibilità per lo scoop tutta americana, i due hanno accettato l'invito di Letterman e, vuole la leggenda, giovedì scorso, con baffi finti e parrucche per non farsi riconoscere, si sono dati convegno negli studi newyorkesi di David. Qui in venti minuti hanno registrato la scenetta: Letterman, con indosso la maglia dei Colts e l'aria scocciata, mangiucchia dei Fritos e mugugna: “Questo è il più brutto party del Superbowl in tutta la mia vita”. Oprah, seduta in mezzo ai due nerd, nella sua rivisitazione del personaggio di Mamie lo sgrida: “David, prova a essere gentile!”. Leno, dall'altra parte del divano, spettinato, l'aria da scemo, la camicia unta e la sua cofana di nachos, piagnucola: “Fa così perché ci sono io”. L'inquadratura finale coi tre eroi uno accanto all'altro alla luce azzurrina della tv ha fatto stropicciare gli occhi agli americani, abituati alle cronache dei loro testa a testa. Ma l'idea è fantastica: Letterman ne esce come quello con le idee migliori, Leno ha bisogno di promozione per l'imminente rientro nella programmazione notturna della Nbc, e Oprah fa la figura della faraona della tv Usa. Tutti gli spettatori si saranno sentiti un po' più coinvolti nella cerimonia in via di svolgimento. Il cui adagio è più o meno sempre lo stesso: quanto è bello ritrovarsi ancora una volta tutti insieme. A contarci, a scherzare, ad avere più voglia, domattina, di essere americani.