Il vignettista all'ergastolo
"La Danimarca è troppo piccola per nascondersi”. Kurt Westergaard stava quasi per essere accoltellato a morte da un fondamentalista islamico penetrato in casa sua, ad Aarhus, la seconda città della Danimarca L'autore della controversa caricatura di Maometto con la bomba nel turbante a colloquio con il Foglio dopo il fallito attentato
"La Danimarca è troppo piccola per nascondersi”. E’ tornato a casa Kurt Westergaard. Un mese fa stava quasi per essere accoltellato a morte da un fondamentalista islamico penetrato in casa sua, ad Aarhus, la seconda città della Danimarca. A 75 anni Westergaard, autore della controversa caricatura di Maometto con la bomba nel turbante, effigie bruciata in tutte le piazze del mondo arabo, ha avuto la prontezza di chiudersi in una stanza sfuggendo all’ascia del killer. Il celebre vignettista danese è al colloquio con il Foglio dopo il fallito attentato che ha riportato le vignette islamiche al centro dell’attenzione internazionale.
Kurt Westergaard è un uomo serafico, pacificato, malgrado i cinque rifugi e i tre complotti scoperti dalla polizia. Per ucciderlo arrivano da tutto il mondo. Ma mai un commando islamico era arrivato tanto vicino al più celebre dei ritrattisti danesi che quattro anni fa pubblicarono le caricature del Profeta Maometto. L’intervista è spesso interrotta perché Westergaard deve aggiornarsi con il Pet, il servizio segreto che lo protegge 24 ore su 24. Il settimanale tedesco Der Spiegel ha appena titolato sull’“ergastolo di Westergaard”.
E’ così che il disegnatore, più vicino alla cultura sessantottina che non alla nuova destra al potere in Danimarca, ripercorre con il Foglio quei minuti di puro terrore. “Ero seduto con mia nipote nel salotto di casa, quando ho visto un giovane spezzare il vetro della porta con un’ascia. Era un ragazzo con una grande lama, ci veniva incontro nel corridoio, decisi di non contrastarlo, sarei rimasto ucciso, non avevo possibilità contro quel giovane, io sono soltanto un vecchio. La mia reazione è stata di chiudermi nella ‘stanza sicura’, suonando l’allarme. Da dietro alla porta sentivo l’uomo urlare parole violente, come ‘vendetta’. Non sapevo se la stanza avrebbe retto alla sua violenza, alla sua ascia. Poi è arrivata la polizia a neutralizzarlo. Nei giorni successivi siamo stati portati in una ‘casa sicura’. Oggi ho una protezione che soltanto il primo ministro Rasmussen necessita in Danimarca. I miei ragazzi, le guardie del corpo che portano occhiali scuri Ray Ban, sono molto gentili, discreti, fanno un grande lavoro per proteggermi. Sono fiero di averli accanto. Mia moglie ogni mattina prima di uscire mi dice: ‘Il servizio è con te oggi’. Devo accettare di aver realizzato l’unica vignetta che gli islamisti non hanno dimenticato. E’ un modo di vivere complicato, ma ci si abitua. E poi non è da me ripararmi sotto un sasso. Questa battaglia per la libertà d’espressione è la più importante di oggi”.
Nel suo “fortino”, Westergaard si sente relativamente sereno. “E’ vivere in quelle ‘case sicure’ che è stata la cosa più deprimente. Dipendi da piccole cose, dal tuo bagno, da quelle poche pareti. Mia moglie portò via alcune cose da casa nostra, come una candela, un dipinto, per ricreare l’atmosfera familiare”. Il vignettista rifiuta di avere paura. “Per quel che mi riguarda, ho 75 anni e questo fatto mi dà un vantaggio, ho meno paura della morte perché ho meno da perdere, avendo meno vita davanti a me. Ho difeso alcuni valori danesi che stipulano la libertà di ognuno di praticare la propria religione, ma anche la libertà di parola”.
Dei dodici vignettisti danesi autori delle caricature di Maometto, soltanto Westergaard è diventato un bersaglio internazionale. Nel settembre di quattro anni fa, in qualità di responsabile della cultura del quotidiano Jyllands Posten, il giornalista Flemming Rose contatta 25 vignettisti per accertare quanto fosse a rischio la libertà d’espressione nel suo paese. Tredici si rifiutano di partecipare al progetto, gli altri dodici accettano di firmare i lavori satirici sul Profeta Maometto. Nessuno doveva comparire anonimo o sotto pseudonimo, la posta in gioco era troppo alta. E infatti dal 2007, Kurt e la moglie Gitte hanno vissuto in clandestinità dopo che la polizia ha scoperto un complotto di matrice tunisina per assassinarlo. Lo scorso ottobre altri due musulmani americani vengono arrestati a Chicago. Stavano andando ad assassinare Westergaard. Un anno e mezzo fa i talebani pachistani hanno tentato di buttare giù l’ambasciata danese a Islamabad. Alberi spezzati, corpi smembrati, un cratere di dieci metri. Il dottor Ayman al Zawahiri, numero due di al Qaeda, aveva detto: “Incito ogni musulmano che possa farlo a colpire la Danimarca in difesa del Profeta, che la pace di Dio sia su di lui”. Chiedeva il “castigo” per la vignetta satirica su Maometto fatta da Westergaard. Abu Yehya al Libi, capo di al Qaida in Afghanistan, in un video si augura che “Allah tagli le sue mani”.
Il religioso pachistano Mohammed Yousaf Qureshi ha annunciato che pagherà fino a un milione di dollari chi gli porterà la testa del vignettista. Molto di più di quanto gli americani abbiano offerto per i capi di al Qaida in Iraq. Anche il defunto leader talebano Dadullah aveva posto su di lui una ricompensa di cento chilogrammi d’oro. La persecuzione ha avuto ripercussioni anche sul resto della famiglia Westergaard. Sua moglie Gitte è stata licenziata dall’asilo nido dove lavorava perché avrebbe messo a rischio la vita dei bambini e dei colleghi. Ci sono 81 Westergaard in Danimarca e molti di loro hanno ricevuto minacce di morte al telefono, fino al punto di dover essere spesso protetti dalla polizia, sebbene non abbiano che il cognome in comune con il vignettista. “Per fortuna ho sempre avuto il sostegno della mia famiglia, mia moglie ha avuto seri problemi al suo lavoro all’asilo. Il mio parrucchiere, un turco, ha smesso di farmi i capelli perché la sua famiglia ne sarebbe stata ‘disonorata’”.
Tre giorni fa, al ritorno a casa, Westergaard si è visto costruire un padiglione in cui i poliziotti possono risiedere, presenza fissa dopo l’attentato. Oggi Westergaard dice di avercela soprattutto con la “classe intellettuale”. “Io provengo dalla cultura liberal relativistica, ma i relativisti di oggi non accettano la battaglia in corso, sono vittime di un’autentica paranoia intellettuale, mentre di fronte hanno una cultura che si basa sull’onore e il rispetto, seppur in una forma distorta. La sinistra, l’eredità del socialismo, è impegnata soltanto a bere caffè e nella coltivazione del relativismo culturale. La Danimarca ha dato moltissimo ai poveri di tutto il mondo, siamo un faro della solidarietà internazionale. I musulmani non avevano nulla quando sono arrivati qui e noi gli abbiamo dato tutto, case, scuole, soldi, moschee. Avevano la miglior prospettiva e i danesi oggi si chiedono perché non ci sia in loro alcuna gratitudine e rispetto per la nostra tradizione democratica occidentale. Nella secolarizzazione danese i musulmani potevano godere di ogni libertà religiosa. Ma hanno rigettato lo spirito democratico. Una parte dell’islam può essere usata come ispirazione per uccidere le persone. Può essere l’arma dei fanatici. Ci sono fanatici ovunque, in Italia c’erano le Brigate rosse. Penso che la vasta maggioranza dei musulmani sia onesta, gente che lavora e vuole un futuro per sé e i propri figli”.
L’abitazione ad Aarhus, dove vivono i Westergaard, sembra un’anonima casa nordeuropea di periferia. “Dentro è una fortezza, con telecamere di sicurezza e finestre blindate”, prosegue Westergaard. “Sarebbe molto più difficile se nella mia situazione ci fosse un ritrattista più giovane. Sono vecchio, non mi ridurranno al silenzio. Nel febbraio di due anni fa, la polizia danese ha scoperto un complotto per assassinarli, i killer sarebbero entrati a casa mia e mi avrebbero ucciso a mani nude. Da allora vivo sotto protezione e penso di restarci per il resto della mia vita. Una vignetta è un’idea fatta di poche linee. La mia vignetta rappresentava la libertà d’espressione. Per me quella caricatura fu un normale giorno di lavoro. Non mi dispiaccio, anche se ci furono conseguenze. Ho fatto il mio lavoro. La vignetta l’ho costruita sotto l’emozione delle Torri gemelle, delle bombe di Madrid e di Londra, ho lavorato sotto la spinta di questi eventi e così ho creato Maometto con la bomba. E per me è la caricatura che illustra l’uso della religione a fini bellici, l’islam piegato per uccidere esseri umani. Siamo ancora nella turbolenza del conflitto fra le due culture, dobbiamo sorpassare questa marea e un giorno la vignetta spero venga ricordata in un grande film o un grande libro come la cosa che ha provocato questo grande dibattito. Non potremo ignorarla in futuro, per la Danimarca ha avuto conseguenze felici perché stiamo discutendo della libertà e della democrazia”.
La campagna d’odio scatenata dalla umma islamica ha trasformato Westergaard in un “ratto all’inferno”, come ripetono orgogliosi i fondamentalisti islamici. Un sistema di allarme gps lo segue ovunque vada, in modo che la polizia sappia sempre dove si trovi. Fino a oggi Westergaard ha guidato nove automobili diverse e ha vissuto in dieci appartamenti. “Se avessi avuto il vizio di bere, mi sarei ubriacato ogni notte. Non sono un uomo particolarmente coraggioso, se il paese venisse occupato non mi metterei a fare sabotaggi, me ne starei seduto a disegnare. Ma non è giusto essere minacciati perché hai fatto il tuo lavoro. La mia vignetta era il tentativo di far luce su quei fanatici che giustificano le bombe, gli omicidi e altre atrocità con i versetti del Profeta. Se così tanti musulmani pensavano che la loro religione non approvava simili gesti, avrebbero dovuto alzarsi e dichiarare che questi violenti falsificavano il vero islam. Invece pochi lo hanno fatto. La questione delle vignette è il barometro decisivo dei valori del nostro tempo. Nonostante il prezzo che ho pagato, sono quindi certo di aver fatto la cosa giusta”.
Westergaard chiude l’intervista portando a esempio un suo predecessore, il vignettista danese Hans Bendix, che faceva satira sui nazisti e che fu messo a tacere dall’allora governo danese che non voleva “provocare” la Germania. “La democrazia non funziona senza la libertà di parola”, ci dice Westergaard. “Abbiamo la libertà d’espressione perché abbiamo combattuto per essa. Abbiamo già tentato la via dell’appeasement negli anni Trenta, quando cessammo di fare vignette su Hitler e i nazisti. Hitler era al potere in Germania quando nel 1933 un vignettista danese di nome Hans Bendix fece caricature su Hitler e il nazismo, profetizzando la distruzione del mondo. La Danimarca chiese di fermare queste vignette satiriche, lo minacciò di lincenziamento da un giornale socialdemocratico. Fu l’inizio dell’interferenza della politica nelle vignette danesi che prosegue fino a oggi. Fu anche l’inizio dell’appeasement verso la barbarie. La Danimarca fu occupata dai nazisti nella Seconda guerra mondiale. E per me l’esempio di Bendix vale ancora oggi, con la differenza che il governo danese non ha chiesto di fermare i vignettisti. C’è semmai un problema di classe intellettuale, scrittori e giornalisti, fra di loro c’è sempre più paura, alcuni non vogliono pubblicare nulla che possa offendere i musulmani. E’ un male, la libertà di parola è oggi in regressione in tutta Europa”.
A pentirsi, in ogni caso, Westergaard non ci pensa affatto. “Non ho alcun rimpianto, non mi pento di nulla, ho smesso di pensare a questo, l’ho fatto e ora cerco di difendere la mia scelta. Ho soltanto fatto il mio lavoro. Era anche il mio dovere. Pablo Picasso un giorno incontrò un ufficiale tedesco nel sud della Francia dopo la distruzione di Guernica. Quando l’ufficiale capì con chi stava parlando, gli chiese: ‘Ah, dunque sei tu ad aver realizzato Guernica?’. Picasso replicò: ‘Non sono stato io, ma tu’. Allo stesso modo io ho reagito con questa vignetta a quello che ho visto dopo l’11 settembre”.
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