Ahmadinejad: "Siamo in grado di arricchire l'uranio all'80 per cento"

Il regime d'Iran piazza telecamere ovunque per riconoscere i rivoltosi dietro gli occhiali

Tatiana Boutourline

In Iran non c'è niente di neutrale. La bomba, l'uranio arricchito al 20 per cento, le sanzioni, l'occidente colpevole e gli anniversari. Il regime crede di poter tirare i fili come vuole. Teheran strilla per bocca di Ali Khamenei e Mahmoud Ahmadinejad e poi, secondo uno dei suoi schemi più rodati, affida una parziale smentita a un suo funzionario, concedendo che l'accordo di Ginevra può ancora essere salvato. Ma a Washington anche l'Amministrazione che più di ogni altra “si è fatta in quattro” per dialogare con l'Iran riconosce che il dialogo non ha dato frutti.

    E' di almeno 15 feriti il bilancio provvisorio degli scontri tra dimostranti riformisti e forze di sicurezza scoppiati a Teheran, in occasione del 31esimo anniversario della rivoluzione islamica. E' quanto riferiscono blogger iraniani, citati dal sito web d'opposizione 'Persian2English'. Secondo i blogger, violente proteste si registrano in piazza Sadeghieh. Qui, stando a quanto ha riferito il sito web 'Mardomak', le forze anti-sommossa hanno anche sparato gas lacrimogeni contro la folla. Colpi d'arma da fuoco, inoltre, sono stati uditi nei pressi di via Ashrafi Esfahani e in piazza Ariashahr, dove i manifestanti hanno lanciato slogan come "Khamenei (la Guida Suprema dell'Iran, ndr.) è un assassino". Gli scontri, riportano sempre i blogger, stanno ora espandendosi verso Vali Asr, la principale strada di Teheran. Notizie di grandi manifestazioni di protesta contro il governo giugnono anche dalle altre principali città dell'Iran, in particolare a Isfahan e Shiraz.

    L'Iran è in grado di arricchire l'uranio all'80 per cento, ma non intende farlo. Parole del presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad, che parlando alla piazza a Teheran in occasione delle celebrazioni per il 31esimo anniversario della Rivoluzione islamica del 1979, ha annunciato di aver prodotto il primo lotto di uranio arricchito al 20%.

    In Iran non c'è niente di neutrale. La bomba, l'uranio arricchito al 20 per cento, le sanzioni, l'occidente colpevole e gli anniversari. Il regime crede di poter tirare i fili come vuole. Teheran strilla per bocca di Ali Khamenei e Mahmoud Ahmadinejad e poi, secondo uno dei suoi schemi più rodati, affida una parziale smentita a un suo funzionario, concedendo che l'accordo di Ginevra può ancora essere salvato. Ma a Washington anche l'Amministrazione che più di ogni altra “si è fatta in quattro” per dialogare con l'Iran riconosce che il dialogo non ha dato frutti e il presidente americano, Barack Obama, invoca “sanzioni significative” in tempi brevi, impone già misure contro le Guardie della Rivoluzione, consapevole – come lo è anche Franco Frattini, ministro degli Esteri, che ieri ha ribadito la necessità delle misure economiche – che il nodo più ostico da sciogliere resta quello cinese. Nel frattempo a Teheran la commemorazione della Rivoluzione va in scena oggi e la città è paralizzata da un senso di inevitabilità. Gli appelli e le minacce, i divieti, le canzoni, i cartelli e le poesie, tutto rimanda a qualcos'altro in un parossismo simbolico che tende a suggerire, a torto o a ragione, l'imminenza di un grande appuntamento con la storia. Quest'anno più di ogni altro è difficile rimanere indifferenti, il 22 di Bahman.

    All'allegoria non si sfugge nemmeno nell'oscurità del teatro Shahr di Teheran. In queste settimane il gruppo teatrale Piadeh presenta “Vita di Galileo”. La scenografia è essenziale, la luce sapiente. Gli occhi degli spettatori convergono su Galileo che domina la scena e invita a guardare al cielo con occhi nuovi, mentre una ghigliottina sulla destra del palco materializza oscuri presagi. “Abbiamo voluto puntare l'accento sul contrasto tra la logica e l'ignoranza, la modernità e l'arretratezza”, ha spiegato il regista Dariush Farhang, precisando, con una punta di gigantismo persiano, di non amare le “opere inerti” e di aver preso in considerazione le “aspirazioni dei nostri tempi”. In questa “Vita di Galileo” c'è poco Bertolt Brecht e molto Ahmad Shamlu. Quando uno dei protagonisti prende a prestito i suoi versi e proclama: “Io non ho paura della morte in una società dove lo stipendio di un becchino è più alto della dignità e dell'onore di un essere umano”; quando Galileo incontra il Papa e, sempre attraverso la voce del poeta-dissidente Shamlu, vaticina: “Questa neve continuerà a scendere”, nella platea scoppia un applauso fragoroso, lo scienziato pisano è lontano e tutti si domandano se questo sarà un Bahman di neve o di fuoco. Per gli zoroastriani “Bahman” era il tempo della buona morale, dell'armonia che guida l'individuo verso i pensieri giusti e le azioni rette e nella loro cosmogonia Vohu Manah (Bahman) è una delle sei scintille divine di Ahura Mazda, ogni scintilla rappresenta una fattezza del creato e il dieci del mese si festeggia il Sadeh, la festa del fuoco.

    Per la Repubblica islamica Bahman è semplicemente il mese del trionfo della Rivoluzione, la ricorrenza cade il 22 del mese, l'11 di febbraio, e la data è onorata anche sulla bandiera con 22 iscrizioni stilizzate di “Allah-o-Akbar”. Ma nel farsi contemporaneo “bahman” significa anche valanga, e il richiamo di Galileo alla neve ha il sapore di una premonizione per chi è seduto nelle poltrone del teatro Shahr, uno dei primi luoghi banditi dai tribunali dell'inquisizione khomeinista. Ma chi travolgerà la neve se valanga sarà? Nell'annus horribilis del regime gli anniversari non hanno portato bene. Non c'è stata occasione in cui la Repubblica islamica sia riuscita a dimostrare che i disordini post elettorali sono un capitolo chiuso. Oggi la polizia di Teheran si prepara a fronteggiare 3 milioni di manifestanti ostili. Le indiscrezioni parlano di 500 mila fedeli del regime piovuti da tutto il paese sulla capitale. Migliaia di persone sono state fermate, schedate, minacciate. Basta un gesto, una parola fuori posto. Le maglie della repressione sono sempre più larghe. Non bisogna più essere attivisti politici, intellettuali riformisti o giornalisti. I cancelli delle prigioni si aprono per molto meno, è sufficiente essere dei simpatizzanti, dei fratelli o delle madri.

    Se si evita il carcere l'avvertimento è perentorio: lontani da Teheran il 22 di Bahman o le conseguenze saranno estreme. Nella capitale le connessioni internet funzionano a singhiozzo, così come gli sms. Gli informatori del regime si sono insinuati nei social network e nelle università non c'è riunione in cui occhi febbrili non si scrutino gli uni gli altri alla ricerca di delatori. Le moschee sono un terreno di scontro come un altro e gli ayatollah ribelli si stanno abituando alle minacce, alle incursioni e agli arresti. Per difendere la sacralità della commemorazione rivoluzionaria lungo tutto il percorso che unisce piazza Imam Hossein a piazza Azadi, sulle grandi arterie di viale Azadi ed Enghelab sono state piazzate telecamere a circuito chiuso e altoparlanti. “Sarà la tomba della sedizione”, ha annunciato il generale Ahmad Reza Radan, certo che gli occhi e le orecchie dell'ayatollah Khamenei saranno capaci di dissuadere le velleità dei manifestanti. Le riprese consentiranno alle forze di sicurezza di fermare “terroristi e hooligan”, gli amplificatori annegheranno le loro voci nei roboanti cori revolutionary-correct.

    Per alimentare l'inquietudine, indiscrezioni provenienti dal comando della polizia di Teheran parlano di tecnologie avanzate in grado di riconoscere gli elementi nemici anche se bendati e mascherati. Chi ha deciso di sfidare la furia dei bassiji non si fermerà davanti alle voci, chi sta per scendere in strada rileggerà il vademecum della polvere (“siete polvere e spazzatura”, sentenziò Ahmadinejad a giugno a proposito della piazza) perché manifestazione dopo manifestazione si affinano le tecniche del regime, ma anche quelle dei suoi contestatori. Il decalogo parte con il kit di sopravvivenza: maschera, occhiali scuri, cappello, vestiti comodi e scarpe sportive per correre più forte che mai, niente armi, ma curcuma per curare le ferite e fazzoletti imbevuti di aceto conservati dentro una borsa del ghiaccio per resistere ai lacrimogeni.

    I rinforzi arrivati dalle province avranno atteso la notte della vigilia nelle basi limitrofe alla piazza. Ora della mattina alcuni saranno carichi di adrenalina, molti altri saranno semplicemente ragazzi tesi, spaesati e stanchi. Per piegarli – suggerisce il decalogo – bisognerà tentare di dilatare i tempi. Impedire ad Ahmadinejad di salire sul podio per il suo discorso è la missione impossibile dei rivoltosi di Bahman, ma disturbare la recita della solidarietà nazionale offerta in pasto alla tv di stato sarebbe un risultato eccellente. Mir Hossein Moussavi, Mehdi Karroubi e Mohammed Khatami, ribelli di palazzo attenti a dondolarsi sul confine dell'ortodossia costituzionale, hanno invitato il popolo verde a scendere per strada. Sempre in bilico tra la riscoperta degli “autentici” valori khomeinisti e un furtivo abbraccio alle istanze più radicali, non perdono il vizio di lanciare il sasso e poi nascondere la mano, perché dietro le quinte si continua a mercanteggiare solleticando le ambiziosi di quanti nel sistema auspicano di cambiare i giocatori, ma non le regole del gioco. Il 22 di Bahman però tutti si arroccano sulle proprie posizioni come se il destino della Repubblica islamica si decidesse nel perimetro intorno a piazza Azadi e alla sua torre. E invece il futuro dell'Iran nasce in luoghi come Birjand nel Khorasan, regione di mistici e poeti che si apre verso l'Afghanistan.

    A Birjand tutti si conoscono. Mohammed e Hamed, ex compagni di scuola, continuano a incrociarsi e a scambiarsi qualche parola. L'estate scorsa non si poteva non parlare delle elezioni. A luglio Hamed si professava certo della regolarità del voto, Mohammed, invece, era disinteressato. Ma a settembre Mohammed è un altro. Ha iniziato a frequentare gli “incivili”. Di ritorno a Birjand ha cercato di conquistare amici e conoscenti alla causa della ribellione. Era prudente, soprattutto davanti a Hamed che era “uno di loro”, ma un giorno dopo una passeggiata insieme non si è potuto trattenere. Hamed ha difeso il suo mondo, ma poi è tornato da Mohammed scuro in volto. Le immagini delle violenze per mano dei suoi compagni bassiji lo hanno stravolto. I due si perdono ancora di vista, ma il 7 dicembre, quando Mohammed cerca di resistere in piazza agli assalti della polizia di Birjand, intravede il viso di Hamed a pochi metri da sé e si accorge che è al suo fianco “contro di loro”. Sembra una favola edificante per blog antiregime, ma è una storia vera documentata dal Los Angeles Times.

    La bomba a orologeria che minaccia il cuore del regime ticchetta in tutte le Birjand d'Iran perché per Khamenei la platea di “Vita di Galileo” a Teheran è quasi una causa persa e chi rischia di stravolgere il destino dell'establishment sono tanti altri Mohammed e Hamed, chi minaccia il sorriso di Ahmadinejad sono gli operai che protestano e chiedono condizioni di lavoro decenti, ma per ora non rispondono agli appelli per uno sciopero generale, e i bazaari che resistono all'imponderabile per non perdere quel che resta dei loro privilegi. Tra poche ore ripartirà il lamento di quanti per credere in un altro Iran devono trovare prima un uomo della provvidenza e si ricomincerà con la conta della piazza, come fosse possibile equiparare coloro che inneggiano alla rivoluzione con i fucili a favore e coloro che la sfidano a mani nude. Torna in mente il Galileo di Brecht, quando il figlio Andrea, deluso dall'abiura esclama: “Sventurato il paese che non ha eroi”, e Galileo gli risponde: “Sventurato il paese che ha bisogno di eroi”.