La rivolta dei deputati del Pdl contro la norma che dipietrifica le liste
“Si vede che Mani pulite non ha insegnato niente, è un'operazione di negazionismo”. Chi parla è Sergio Pizzolante, deputato del Pdl, ex segretario del Psi di Riccione, una prima vita politica con Craxi, una seconda vita politica che ricomincia soltanto nel 2000 con l'ingresso in Forza Italia. Pizzolante è uno che il 1993 lo ricorda così: “Era come vivere sotto il Terrore robespierriano. D'improvviso mi crollò il mondo addosso e mi ritirai".
“Si vede che Mani pulite non ha insegnato niente, è un'operazione di negazionismo”. Chi parla è Sergio Pizzolante, deputato del Pdl, ex segretario del Psi di Riccione, una prima vita politica con Craxi, una seconda vita politica che ricomincia soltanto nel 2000 con l'ingresso in Forza Italia. Pizzolante è uno che il 1993 lo ricorda così: “Era come vivere sotto il Terrore robespierriano. D'improvviso mi crollò il mondo addosso e mi ritirai. Poi, anche per reazione a tutta la schiuma di Tangentopoli, lentamente noi sopravvissuti ci riaggregammo intorno a Berlusconi che rappresentava una reazione garantista a quel periodo storico controverso e orribile”. E dev'essere proprio per questo che l'ex craxiano oggi valuta l'ipotesi che il suo governo vari una legge sull'incandidabilità degli inquisiti come “una spaventosa ammissione di debolezza. Lo stesso errore che fece Craxi e che gli costò carissimo. Passasse questa legge di cui si parla, sarebbe la legittimazione di quella stagione orribile di ricatti e violenza, sarebbe la resa definitiva alla magistratura politicizzata e alle derive giacobine di parte dell'area finiana del mio stesso partito. Liste pulite? Le vogliamo tutti, ma non serve una legge speciale, ci vuole un atto di responsabilità politica da parte di chi quelle liste le compila”.
Il Consiglio dei ministri ieri non ha varato il ddl col quale, tra le altre cose, si vorrebbero restringere i criteri di candidabilità sull'onda emotiva delle indagini partite dalla procura di Firenze e delle contestuali propalazioni di intercettazioni telefoniche a mezzo stampa. Il governo ha preso una settimana di tempo per risolvere “alcune questioni tecniche”, ma Silvio Berlusconi ha confermato che la legge si farà. Eppure, in realtà, c'è un po' da dubitarne. Nel Cdm qualcuno ha fatto notare al premier che, nonostante i sondaggi, non è proprio il caso di scantonare verso il terreno del dipietrismo. E' anche per questo, per “ulteriori riflessioni”, che forse si è guadagnata una settimana di tempo. Difatti la norma provoca intensi malumori nel Pdl, talvolta stupore, spesso anche ironia. Quasi a conferma dei dubbi, il governo ha deciso di presentare non un decreto, ma un disegno di legge che, auscultate le idee prevalenti nel partito di Berlusconi, sarebbe comunque suscettibile di profonde modifiche nelle commissioni parlamentari. Persino un autorevolissimo dirigente del Pdl, in forma anonima, finisce con il confessare al Foglio che “si tratta di un intervento dannoso. Demagogico. Insomma, una cazzata che hanno suggerito i soliti avvocati spalleggiati da un gruppo di sondaggisti imbizzarriti”.
“E' come negare la nostra storia”
L'autorevole dirigente, uno che ovviamente viene da Forza Italia, è in buona compagnia all'interno del partito. Perché questa è l'idea diffusa tra i parlamentari del Pdl. Lo spiega anche il finiano bolognese Enzo Raisi, collega d'area di quel Fabio Granata che, giovedì, aveva chiesto le dimissioni di Denis Verdini. “Siamo tutti per la legalità”, spiega Raisi. “Ma qua bisogna stare attenti a non fare cavolate. Una legge come questa potrebbe persino essere usata per condurre delle lotte di potere interne ai partiti. L'abolizione frettolosa dell'articolo 68 ai tempi di Tangentopoli è la prova che non si fanno le leggi perché spinti dalle emozioni. Noi dobbiamo essere saldamente garantisti, più degli altri. E se proprio la devo dire tutta, io non ho ancora capito bene di quali reati si possano mai accusare Denis Verdini o Guido Bertolaso. Sfido i colleghi che non presenterebbero nei salotti della politica un loro amico imprenditore”. D'accordo con Raisi sono anche Benedetto Della Vedova, ex radicale, e Giuseppe Moles, che nel Pdl rappresenta con Antonio Martino, di cui è braccio destro, l'area più veracemente liberale.
Dice Della Vedova: “E' la nemesi. Capisco lo spirito del presidente Berlusconi ma di certo l'effetto sarebbe devastante. Qui cerchiamo un riequilibrio dei poteri tra politica e magistratura, ebbene approvare una legge del genere significherebbe andare nella direzione opposta: confermare e acuire lo squilibrio. Non dobbiamo andare alla ricerca di nuove grida manzoniane, ma fare funzionare le regole che ci sono, impegnandoci a farle rispettare”. Chiosa Moles: “Non candidare gentaglia dovrebbe essere già una cosa normale, un atto di responsabilità che non si può imporre per legge. Il rischio è quello di indebolire ancora di più la politica e forse, per il centrodestra, persino di negare parte della propria storia”.
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