Berlusconi deve trovare un antidoto alla degenerazione cortigiana
Il Cav. si è arrabbiato. Ha visto le veline contro il suo coordinatore Verdini, di chiara fabbricazione interna. Ha preso cappello. Si è offeso, e sabato ha dettato una smentita, con tanto di rimprovero a un pezzo della sua corte o del suo staff: qui non sono i giornali a inventarsi tutto, c'è qualcuno che li imbecca, e a forza di guerricciole interne finisce che perdiamo le elezioni regionali.
Il Cav. si è arrabbiato. Ha visto le veline contro il suo coordinatore Verdini, di chiara fabbricazione interna. Ha preso cappello. Si è offeso, e sabato ha dettato una smentita, con tanto di rimprovero a un pezzo della sua corte o del suo staff: qui non sono i giornali a inventarsi tutto, c'è qualcuno che li imbecca, e a forza di guerricciole interne finisce che perdiamo le elezioni regionali, per le quali invece siamo piazzati benissimo in partenza. Era ora che si tentasse, almeno, di dare uno scrollone al palazzo del Re.
Da mesi ci sono due Berlusconi. Uno che riesce a imporre il suo passo: fa la politica estera, affronta le emergenze. L'altro è sempre sotto assedio mediatico: vita privata, scandali e indagini anche le più fumose, duelli rusticani nel partito di maggioranza (il Pdl, quella formazione parecchio anarchica incerta tra p come “popolo” e come “partito”), propalazioni sui programmi del governo, uscite individualiste, rivalità, voci sulle nomine che contano, fatterelli vari che creano imbarazzo.
Queste situazioni non dipendono dalla cattiveria degli uomini o dal destino cinico e baro. Una corte è una corte, e i cortigiani sono vil razza dannata, lo si sa dal melodramma. Ma dietro il fumo divisivo, l'avvelenamento dell'aria, la guerra di tutti contro tutti, il rincorrersi continuo delle voci, l'attribuzione all'appartamento presidenziale di intenzioni inventate, dietro tutto questo c'è sempre un difetto di conduzione che risale al principe. Berlusconi non va in Parlamento da quando presentò alle Camere il governo, e sono quasi due anni. Non fa un discorso impegnativo da mesi e mesi. Non tiene ferma la barra e non la fissa con chiarezza su una rotta di iniziative e di riforme discernibile, che sia il segno esterno chiaro del significato del suo comando, della sua leadership.
Questo stato di fatto, una sorta di acedia del potere berlusconiano, in cui i guai del privato si riflettono sull'umore pubblico, creano tedio e irritazione nel principe, non può non avere conseguenze come quelle che a sorpresa sabato scorso il Cav. ha lamentato con furore: le manovre intestine, una sregolata battaglia intorno all'osso della cosiddetta successione, in una generale e un po' grottesca anticipazione di tutte le voglie, di tutte le ambizioni, di tutte le velleità che distinguono e connotano una varia e vasta umanità politica.
Basterebbe che Berlusconi rendesse chiaro quel che è nelle cose, ma è nascosto dall'opaca cortina dell'inerzia, del malmostoso piétiner sur place di un Achille crucciato sotto la sua tenda. E che cosa è nelle cose? Il fatto, nudo e semplice, che il Cav. ha le carte, il consenso, e si spera le idee, per chiudere la legislatura, completare i tre anni di mandato che gli è stato conferito, facendo funzionare la maggioranza, mediando e guidando le sue truppe, i suoi luogotenenti, i suoi generali e colonnelli, verso un traguardo di riforme, di cose significative da fare e da impostare anche per il dopo. Chiudere bene la legislatura vuol dire per Berlusconi avere vinto la partita, questo lo sanno tutti, ed è per questo che sono tutti così agitati.
Con questa storia del governo del fare, che genera consenso, che si può vendere bene sul mercato dell'impressionismo politico, si rischia però di sottovalutare la funzione di ideazione, progettazione e prefigurazione che è della politica, che è del governo. La politica non è solo una cosa che si fa; la si pensa, anche, e la si comunica in una cornice retorica in grado di persuadere, animare, trascinare, far sognare a occhi aperti. Se Berlusconi non si dà una vera spinta per le riforme, se non decide di intaccare qualche stallo e non fa alcune scelte vere, che costano qualche forzatura ma alla fine rimettono in moto non solo l'immagine ma il ruolo, la funzione politica del leader, il rischio di una lunga degenerazione cortigiana della sua leadership può diventare il nostro penoso e surreale teatrino quotidiano.
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