Frangetta nera su sfondo rosso

Marianna Rizzini

Con te, come te, e tu come me: a leggere la rossissima pagina Web di Renata Polverini, candidata presidente del centrodestra alla regione Lazio e già presenza fissa dei talk-show politici (con adorazione bipartisan, “Ballarò” in testa), si capisce che Renata Polverini vuole “con te e come te” affrontare “le sfide del presente”, con te “valorizzare talenti”, con te farla finita “con la politica che parla solo di problemi” e con te “costruire il futuro” – non si tratta di un “te” qualsiasi, dice Polverini al quinto o sesto “con te”, ma proprio di te “che, come me, questa terra la conosci bene”.

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    Con te, come te, e tu come me: a leggere la rossissima pagina Web di Renata Polverini, candidata presidente del centrodestra alla regione Lazio e già presenza fissa dei talk-show politici (con adorazione bipartisan, “Ballarò” in testa), si capisce che Renata Polverini vuole “con te e come te” affrontare “le sfide del presente”, con te “valorizzare talenti”, con te farla finita “con la politica che parla solo di problemi” e con te “costruire il futuro” – non si tratta di un “te” qualsiasi, dice Polverini al quinto o sesto “con te”, ma proprio di te “che, come me, questa terra la conosci bene”. Se non fossero parole di Renata Polverini potrebbero sembrare parole del Walter Veltroni pre Lingotto, suo fan della prima ora. Senonché potrebbero essere anche parole di Claudio Velardi, consulente di Polverini per la comunicazione e dalemiano di vecchia data – ma il Velardi dalemiano “appartiene a un'altra stagione politica”, per usare le parole che Polverini ha rivolto non a Velardi ma all'avversaria Emma Bonino (“Emma appartiene a un'altra stagione politica”). Che fosse un voluto confronto di età tra signore in gara o un'autodescrizione di Polverini come “candidata che vuole affrontare le sfide del presente”, il quotidiano Repubblica ha dato per buona la prima interpretazione, ed Emma Bonino ha risposto: la differenza tra noi è l'esperienza, sono stata ministro e commissario.

    Che lo slogan “con te voglio affrontare le sfide del presente” sia opera di Velardi oppure no, c'è chi, dal fronte opposto, si diverte a punzecchiare più il post dalemiano Velardi che la candidata Polverini, lodando “la strategia di sfondamento a sinistra di Renata, in contrasto con le strategie dalemiane sul piano nazionale”. E però Polverini, pur difendendo a spada tratta la scelta del colore rosso per manifesti, giacche e loghi vari (al grido di “superiamo le barriere”), usa ancora volentieri espressioni da patriota senza macchia – “ho provato vergogna per quel vile attacco, il lancio di statuetta sul premier”, ha detto agli ospiti (paganti) della cena di finanziamento all'Eur, quartiere che, almeno per l'architettura, è a prova di battute su “quanto è rossa Renata”. Ora comunque è uscita la versione in grigio del manifesto “con te”, e i sostenitori storaciani sono più sereni. Né Polverini si offende se “Striscia la Notizia” la blocca ai comizi chiedendole “è vero che sei così di destra che ti chiamano frangetta nera?”. Anzi, in quei casi la candidata risponde “bellina questa” e sorride di un sorriso ampio quasi quanto quello che sfoggia quando nomina il tricolore, antidoto riequilibrante del rosso dei manifesti, come spiega in fretta quando qualcuno le chiede: “Ma tutto 'sto rosso, perché?”. Il sorriso più ampio di tutti, comunque, si è schiuso sul volto di Renata davanti a Silvio Berlusconi che le faceva i complimenti per la “meravigliosa carriera nel sindacato” e si metteva a cantare con lei l'inno nazionale, sempre durante la cena di finanziamento – e Polverini l'inno lo cantava per intero, a differenza di molti convenuti incapaci di ricordare strofa oltre l'elmo di Scipio, e a differenza della ragazza con boccoli che, seduta a un tavolo, guardava il palco attonita, non proferendo parola. Poi il sorriso di Renata lasciava il posto a un'espressione tra il soddisfatto e il poco decifrabile, e la candidata pareva una giocatrice olimpica sul podio, con Gianni Alemanno e il premier con medaglia a parimerito. “La Thatcher una volta mi ha detto, alle Bermude, che non si può governare leggendo articoli antipatizzanti”, raccontava il premier intrattenendo gli astanti, e Polverini restava imperscrutabilmente sorridente. “Erano in lizza due amiche”, Luisa Todini e Renata Polverini, diceva il premier al palazzo dei Congressi, sotto loghi enormi che scendevano dal cielo. Renata sorrideva sempre più imperscrutabilmente, come l'amica Luisa in abito grigio-viola e pendenti infiniti. Poi, a sentire gli applausi, Luisa sgranava gli occhi grandi da cartone animato giapponese e Renata sorrideva in modo leggermente più intelleggibile (sorriso di orgoglio, più o meno). “La Thatcher si faceva portare dal suo ufficio stampa soltanto gli articoli favorevoli”, proseguiva il premier, chiamando a gran voce Paolo Bonaiuti – “Paolino dove sei? Beh, dopo aver detto a Paolino: ‘Fa' come il capo ufficio stampa della Thatcher, portami solo gli articoli favorevoli', non l'ho più visto per tre mesi”.

    Tutti ridevano – ridevano gli imprenditori, ridevano gli amministratori locali, rideva il petroliere, rideva il costruttore, ridevano, dondolando, gli orecchini delle signore convenute, rideva il senatore Andrea Augello – attivissimo nella campagna Polverini al punto da essere definito dagli amici “l'angelo custode di Renata” (alcuni esponenti del Pdl, in verità, avrebbero voluto anche vederlo al posto di Renata, ma ora come ora è “un'altra storia politica”, come direbbe Renata). Rideva dunque “l'angelo custode” e, racconta un presente, rideva pure “la Beatrice di nome e di fatto”: Beatrice Lorenzin, giovane deputata pdl, portavoce del comitato Polverini, guida bionda di Renata attraverso la campagna elettorale. Beatrice sorride meno e più di Renata (a seconda delle incombenze in agenda), controlla l'i-phone incessantemente, arriva di corsa e scappa di corsa con il cappotto blu e i jeans orlati di pioggia – e si chiamerà pure Beatrice, ma la sua faccia dice: “La campagna elettorale non è un paradiso”. Se non saltano fuori scambi di battute con Emma Bonino sui soldi spesi per i manifesti, se non tocca correre a fare comunicati “contro le nomine a tutto spiano e in extremis nella sanità” – appena sente “sanità” Lorenzin fa un comunicato sulle nomine – ecco che arriva la dichiarazione di Pier Ferdinando Casini: cara Renata va' oltre al Pdl, cara Renata attenta ai saluti fascisti (dei seguaci di Francesco Storace).

    Polverini, qualsiasi cosa succeda, chiusa in giacche avvitate, continua a sorridere dello stesso sorriso di difficile decrittazione (preoccupato? sereno? emozionato? rilassato? di sfida? scanzonato?). Sorridi di qui, sorridi di là, appare ugualmente ieratica agli operatori della sanità che la appoggiano a Viterbo, ai rappresentanti delle varie categorie che vorrebbero invitarla a cena mentre lei dice “no alle lobbies”, a chi le fa domande sulla privatizzazione dell'Acea mentre lei dice “è un bene pubblico” e ai dubbiosi del nucleare che non sanno se appoggiarla a Roma – tanto che alla fine Polverini, inizialmente più taciturna sul tema, ha detto: “Il Lazio non ha bisogno di centrali nucleari e presto ci sarà il federalismo energetico” – e a quel punto il deputato pdl Giorgio Stracquadanio le ha dato di “masochista e contraddittoria”.
    “Lavoro, famiglia, salute e futuro”, queste sono le mie parole chiave, dice Polverini agli incontri della mattina come a quelli del pomeriggio. “Vengo dal sindacato e so che i problemi vanno sciolti prima di avviare un progetto”, ripete, mentre la frangetta si separa sulla fronte, i supporter le dicono “tu sei la destra pragmatica”, “tu sei l'alfiere del quoziente familiare”. Renata annuisce e di solito dice qualcosa su qualche nuovo osservatorio (“quello su sicurezza e legalità c'è già”, le hanno fatto però sapere i vertici di un preesistente comitato). Poi l'occhio le si fa sottile – per sorridere, naturalmente.

    Sorridi di qui, sorridi di là, il sorriso di Renata è diventato più misterioso di quello della Gioconda. Strategia di comunicazione? Sincera amenità? Fatto sta che il viso di Renata, più corrucciato che disteso, pare spesso sforzarsi di non virare verso lo sbuffo di stizza mentre pronuncia, con insopprimibile accento romano, il suo intercalare “vojo di' ”, ovvero un “voglio dire” di prorompente assertività. Forse ne direbbe di più, di “vojo di' ”, Polverini, vuoi per stanchezza vuoi per abitudine al talk show vuoi perché non sempre gli interlocutori le appaiono ragionevoli, ma ora l'istinto sembra dover lottare contro un'espressione stabilmente conciliante. Un estimatore di Renata spiega perché, a suo avviso, Polverini, pur sorridendo, sembri nel contempo non sorridere affatto: “Ai tavoli sindacali meno sorridi meglio è. Renata ha imparato l'imperscrutabilità del giocatore di poker e della sfinge”.
    “Poraccia, Renata, con 'sto giro de peppe, ride pure”, commenta invece l'esponente politico del Pdl romano che osserva la candidata Polverini peregrinare per il quartiere Esquilino, di sabato mattina, nel gelo, con le mani incrociate dietro la schiena, stretta nel cappotto spinato, mentre passa da un'antica coloreria a una bottega di tovaglie a una rivendita di ferri da stiro di pregio. Il fatto è che i negozianti storici dell'Esquilino si sono appuntati le prime dichiarazioni di Polverini, hanno adottato Polverini e non temono di apparire invadenti e ingombranti nel loro assieparsi attorno a Polverini, chiedendole chiaro e tondo: “Fa' qualcosa per noi”. Tu hai detto che ci avresti difeso, le ricordano un po' blandendola un po' inchiodandola a promesse che vorrebbero già vincolanti. Le regalano una maglietta e Renata, alla maniera di Sabrina Ferilli, dice: “Un secondo spogliarello non lo faccio”.

    Nessuno ricorda dove abbia fatto il primo (“chissà se le hanno regalato un'altra t-shirt”, si chiede una signora), ma si intuisce che i donatori di maglietta, pur arrivando secondi, mirano immediatamente alla foto ricordo. Già che c'è, un esponente del comitato di quartiere tira fuori pure un'immagine fumée in cui si intravedono suo padre, suo nonno e forse suo cugino, in anni lontanissimi, con il Colosseo in dissolvenza. Altra foto, e Polverini riparte sotto il diluvio al braccio di un paio di collaboratori. A guardarli avanzare, sembrano sul set di “Singin' in the rain”, baldanzosi e rassegnati all'acqua. L'illusione svanisce non appena i tre vengono circondati dai turisti curiosi con trolley al seguito, dai fotografi e dai negozianti cinesi (e non) usciti da show room deserti e botteghe di cibi misti – tutta gente che fa gocciolare gli ombrelli sulla manica di Renata. Renata, senza scomporsi, ascolta quelli che la invitano al bar e assaggia un cornetto, seduta tra composizioni di frutta da natura morta e casse di vino mezze aperte. Senza scomporsi segue il candidato locale nella pasticceria d'antan e accetta un bignè, lo segue nel negozio di pasta all'uovo d'antan e anche nell'alimentari etnico gestito da un italiano che si è adattato all'invasione cingalese e, dice, “alla fuga degli italiani dell'Esquilino nelle borgate”. A quel punto Renata rinuncia ad accettare la fetta di papaya. “Dal bigné alla papaya è troppo”. Non molla, Polverini, e anzi dice “'nnamo avanti”, neppure quando i cittadini dell'Esquilino se la litigano: se tu la porti da “Pitran taglie forti”, io la porto nel negozio di tubetti di vernice. Alla fine tocca andare da entrambi, ed ecco che Polverini si ritrova ad ascoltare le doléances di un giovane titolare (preoccupato per i pochi clienti e per l'affitto da pagare ai redentoristi) al pari dei ricordi dell'anziana madre di costui.

    Intanto un collaboratore maldestro pesta un quadro appoggiato per terra e urta una scatola di pastelli di marca Caran d'Ache – un prodotto che non si vedeva dalle elementari, come minimo. Se Polverini si ferma, c'è subito qualcuno che se la prende con Veltroni – e non importa se un tempo Veltroni aveva pensato di chiamare Polverini in squadra. “Veltroni”, dice una cittadina con ampio cappello, “ha lasciato che la Dandini incombesse sull'Ambra Jovinelli”. “Questo quartiere”, insiste la signora, “è figlio dell'ipocrisia della sinistra e di decisioni a piffero, e il prossimo sarà il Pigneto”. Polverini prende appunti prima che qualcuno la subissi di particolari sui “bed and breakfast abusivi che se ne fregano delle regole condominiali e si trasformano in bordelli o case da gioco” e risponde: “Siamo qui apposta”. Dopodiché si mette in marcia prima verso una bottega di teli, stoffe e aghi – “so ricama', so' andata dalle suore”, dice alla proprietaria. Poi muove verso il mercato coperto accanto a piazza Vittorio, con gran soddisfazione di un anziano sostenitore, convinto che il luogo vada visto per poter mettere fine “a questa zozzeria”. “E' invaso da questi stranieri”, incalza un'altra esponente del comitato di quartiere, “uno entra sano ed esce ammalato”. Polverini ancora non si è pronunciata (favorevolmente) sull'eventuale sciopero degli immigrati per i diritti degli immigrati, come farà da un altro mercato la settimana successiva. “La vera emergenza”, sostiene una nonna dell'Esquilino mentre Polverini si guarda attorno, è “la tubercolosi che entra nelle scuole con gli immigrati”. Polverini non manca di annuire ma chissà che cosa pensa davvero, lei candidata stimatissima dal Secolo d'Italia e dai finiani aperturisti in tema di nuova cittadinanza (finianamente ci prova, Polverini, a dire “che risolvere la situazione aiuterebbe gli stessi figli degli immigrati”, dimenticando per un momento i compagni di coalizione che puntano su legge e ordine. Ma l'esponente del comitato di quartiere insiste sul “degrado”, sul “contrabbando cinese” e sulla persistente “barbarie ai giardinetti”). Tra banchi di olive e sacchi di spezie grigiastre, Polverini, al mercato, stringe mani incessantemente – qualcuno dice “ti votiamo, ti votiamo”, qualcuno si limita a salutare. Impossibile proseguire la camminata con le dita incrociate dietro la schiena, posa che evidentemente Polverini predilige. Questo, forse, è il prodromo della contrattura muscolare confessata da Polverini alla cena con Berlusconi, non prima di aver ringraziato “di cuore” gli astanti che hanno sborsato mille euro per dare slancio economico alla sua candidatura. “Stamattina mi sono svegliata e ho sentito un dolore al braccio”, racconta improvvisamente Polverini sulla scia del premier che inanella aneddoti. Cosa sarà, cosa sarà mai quel dolore al braccio, si era chiesta all'alba la candidata. Era il muscolo dolorante per aver stretto migliaia di mani – “e siamo solo all'inizio”, commenta un cronista dalla sala stampa dell'edificio dove è in corso la cena, incollandosi allo schermo con telecamera a circuito chiuso e addentando un pezzo di sformato identico a quello che stanno mangiando i commensali di Renata.

    Chissà cosa c'era poi dietro al sorriso di Polverini durante la pur affettuosa riunione del comitato di sostegno “Laici e Liberali per Polverini”, nella sede del quotidiano l'Opinione, affollatissima di paladini dei diritti civili e difensori dei detenuti che amano definirsi “terra di confine”. Piacevole era di sicuro ricordare con Arturo Diaconale i bei tempi “di quando si andava tutti in via del Corso” (Arturo in redazione, Renata al sindacato, ha detto Renata in un momento amarcord). Piacevole era ricevere lodi sperticate da gente che si diceva “felice di appoggiarla nonostante una vecchia consuetudine di amicizia e comuni battaglie con Emma Bonino”. Forse meno piacevole era ascoltare uno scatenato Mauro Mellini attribuirle una patente non si sa quanto comoda (“voglia o non voglia, Renata è una candidata liberale”) e poi vedere un liberale ignoto alzarsi in piedi per dirle: “Renata, tutti pensavano fossi la candidata del Vaticano, ma poi hai ridato fiato alla campagna liberale”. E meno male che, poco prima, l'ex radicale ora pdl (finiano) Benedetto Della Vedova aveva invitato gli astanti a “sgombrare il campo dal rischio di infilarci in un referendum tra laici e cattolici”. Renata, serafica, rassicurava: “Certo che no, certo che non sarà un referendum tra laici e cattolici. Certo che prenderò in considerazione l'idea di un osservatorio sui diritti civili”, mentre fuori Gianni Alemanno e Francesco Storace storcevano il naso di fronte alle sue dichiarazioni pro coppie di fatto, anche se non pro matrimonio gay. (Il fatto è che Polverini aveva dapprima dato l'impressione di voler condurre una campagna dall'aria vagamente più ruiniana – complice l'esordio a Rieti, con il sacerdote nero che le augurava buona fortuna in piazza, e complici le dichiarazioni pro life e pro famiglia).

    Non sembra battere ciglio, Polverini, neppure quando le dicono – e gliel'hanno già detto più volte – “grazie al fatto che la sfida è con Emma Bonino, la competizione tanto più ti farà onore”. La candidata finge di non sentire, mantiene l'espressione di quando ascolta l'ortolano di piazza Vittorio dirle: “Sei una brava ragazza” (lei ribatte: “Grazie per la ragazza”) o di quando la trovano dimagrita (lei risponde: “In 'sti giorni, il pranzo è difficilissimo, la cena complicata”). Poi, dimentica per un secondo del sorriso, si adombra appena, alza le spalle, guarda e passa. E va a trovare la Roma mentre la Lazio minaccia vendette contro il centrodestra.

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    • Marianna Rizzini
    • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.