Integra più l'odio dell'amore. Altrimenti, ce l'avrebbero detto
Ma davvero sono bastate quattro ore di guerriglia “interetnica” a via Padova, a Milano, per farci credere alla favola che sarà possibile integrare centinaia di migliaia di immigrati, che si ponga addirittura il problema di “integrare” immigrati di seconda e terza generazione, nati in Italia quindi o residenti qui da molti anni e che dovrebbero sentirsi per questo, almeno sulla carta, cittadini a pieno titolo?
Ma davvero sono bastate quattro ore di guerriglia “interetnica” a via Padova, a Milano, per farci credere alla favola che sarà possibile integrare centinaia di migliaia di immigrati, che si ponga addirittura il problema di “integrare” immigrati di seconda e terza generazione, nati in Italia quindi o residenti qui da molti anni e che dovrebbero sentirsi per questo, almeno sulla carta, cittadini a pieno titolo? Davvero possiamo credere che la scuola, il lavoro, la lingua, la cultura o il sacro rito, una bella cerimonia di richiesta e concessione della cittadinanza possano costruire di per sé “identità e incontro” quando gli stessi strumenti hanno non poche difficoltà a trasmettere senso dell'appartenenza comune e dell'interesse generale ai “giovani” delle tribù italiche? Davvero crediamo che sia possibile sciogliere i ghetti in armoniche città del sole? Davvero il governo della metropoli, qualunque esso sia, potrebbe prevalere sui comportamenti spesso ignobili del mercato, e costruire con l'ottimismo della volontà, in un afflato di solidarietà diffusa, “les lendemains qui chantent” della società multiculturale o interculturale che dir si voglia? Se tutto ciò fosse possibile, lo sapremmo già.
I paesi che molto prima e in misura molto maggiore dell'Italia hanno fatto i conti con la potenza del fenomeno migratorio ci avrebbero consegnato esempi corposi, modelli preziosi da studiare nelle facoltà universitarie o nei think tank governativi. Invece non c'è nulla di tutto ciò, né negli Stati Uniti né in Francia né in Gran Bretagna. In ogni paese comparabile, le grandi città si presentano come mera giustapposizione di ghetti, ognuno con la propria dominante etnica, puntualmente scossi da esplosioni di violenza sulle linee di confine. Sono agglomerazioni casuali, che occupano dapprima gli interstizi del tessuto urbano e poi si espandono seguendo dinamiche spontanee, incontrollabili e ingovernabili: l'immigrato della nuova ondata raggiunge quello della precedente, perché in una terra difficile e comunque estranea, la difesa primaria ma certamente efficace è ricostruire le condizioni di partenza, la famiglia, i parenti, gli amici, muovendosi all'interno della stessa etnia: neri, ispanici, chicanos, latino-americani, indiani, pachistani, e più vicino a noi, maghrebini, neri africani. I casi di “metissage”, i matrimoni misti sono l'eccezione: è l'insieme, la coesistenza di tante differenze giustapposte che dà l'immagine illusoria del melting pot. Anche l'uomo bianco e ricco ha il suo ghetto, dorato ma pur sempre ghetto, con muri di cinta, cancelli automatici, reti elettriche, guardie private, impianti di sicurezza sofisticati. Un attimo di distrazione può essergli fatale, basta sbagliare uscita sull'autostrada per accendere il falò della sua vanitosa vita.
Il problema non ha nulla a che vedere con l'immigrazione in quanto tale, meno che mai con la distinzione tra regolari e clandestini, fenomeno tutto sommato contenibile tant'è che con un po' di impegno il ministro degli Interni ci è riuscito e senza nemmeno fare strame del diritto o comunque non facendo peggio di altri. Il problema che pongono le società mature e che è emerso in via Padova è quello delle minoranze e rinvia per questo alla politica e alla sua capacità di farsi rappresentanza. Cercavano rappresentanza i neri americani che misero a soqquadro Los Angeles sparando su poliziotti americani e saccheggiando negozi di americani di origine asiatica. Cercavano e tuttora cercano rappresentanza i giovani francesi di altra pelle che mettono regolarmente a fuoco le banlieue. Via Padova ha anticipato il problema di come si fanno i conti con minoranze che non si riconoscono nella comunità in senso largo ma si considerano integrate alla realtà in cui vivono grazie all'inimicizia e all'odio. Storicamente fattori di integrazione più forti dell'amore.
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