Musica contro Chávez

Giulia Pompili

Si apre per Chávez il nuovo fronte dei cantanti. Ha iniziato Juanes, il cantante colombiano diventato famoso per La camisa negra, con un messaggio ai 350.000 iscritti alla sua pagina di Twitter (@juanes). Sabato 13 febbraio, mezzanotte e 40: “Mi hanno dato il Pin di Chávez, qualcuno lo vuole per mandargli messaggi sul Blackberry?”. Cinque minuti dopo, il secondo twit: “Ahí les va, H1J0D3PU7A”. Battuta peraltro vecchia, e traduzione abbastanza trasparente.

    Si apre per Chávez il nuovo fronte dei cantanti. Ha iniziato Juanes, il cantante colombiano diventato famoso per La camisa negra, con un messaggio ai 350.000 iscritti alla sua pagina di Twitter (@juanes). Sabato 13 febbraio, mezzanotte e 40: “Mi hanno dato il Pin di Chávez, qualcuno lo vuole per mandargli messaggi sul Blackberry?”. Cinque minuti dopo, il secondo twit: “Ahí les va, H1J0D3PU7A”. Battuta peraltro vecchia, e traduzione abbastanza trasparente. Subito, si è scatenato un pandemonio a livello mondiale. Addirittura da Teheran un utente firmatosi SaluomehZ ha risposto in inglese: “il popolo del Venezuela si solleva contro la dittatira di Chávez”. Da New York MaríaNYC ha chiesto messaggi di appoggio al cantante, dopo che a nove minuti dal messaggio lo stesso Juanues aveva commentato di essere sommerso dagli attacchi filo-chavisti. Ad esempio, quello di Fernando858: "questo è il Pin di @juanes MA1D1T0, deve imparare a non mettersi col Venezuela”. E quello di jdanielv3: “Juanes non ha colpa. Come ogni prodotto, non è neanche sicuro del proprio culo. In fondo vorrebbe essere chavista pure lui”. Più pacato @LaHojillaenTv, della statale Venezolana de Televisión (Vtv): “Sta solo cercando pubblicità gratis. Ignoratelo e lo farete piangere”. Risposta del cantante: “ho messo una barzelletta come tante altre che ci sono sullo stesso tema. Nel mio twitter metto quello che cavolo mi pare. Che credete di potermi venire a censurare? Siete matti!”. Il bello è che Juanes non solo è notoriamente orientato abbastanza a sinistra, con varie canzoni dal tono inequivocabilmente sociale. A settembre è andato pure a fare un “concerto per la pace” a Cuba che ha fatto infuriare gli esuli di Miami.

    E a quel punto è sceso in campo Willie Colón: portoricano del Bronx, notissimo trombonista-cantante-compositore-arrangiatore, e pioniere della salsa fin dagli anni '70. Anche lui ha fama abbastanza di sinistra, come noto sostenitore del Partito democratico. Ma a sua volta non sopporta Chávez, e dal suo @williecolon ha diffuso un video di YouTube di critica a Chávez, con il messaggio: “il popolo venezuelano si leva contro la dittatura di Hugo Chávez”.

    Il video è stato seguito da altri messaggi critici, a loro volta seguiti da repliche pro-chaviste. Ad esempio di @AmericanosVZLA: "Compagni, pure quel Tossico di @williecolon si è messo col Venezuela, andiamogli addosso a questo mangiamerda”. O di @JuanesMeBloqueo: “qui in Venezuela c'è dignità”. Risposta di Colón: “e migliaia di agenti infiltrati dal G2 cubano”. Dialogo anche con TROLL60: “accuse in Venezuela di dittatura e oprressione. E che c'è a Porto Rico?”. “C'è acqua, luce e sicurezza”.  Riferimento ai gravissimi problemi di delinquenza e penuria che stanno travagliando il Venezuela. Colón dice che sono i suoi tanti amici venezuelani a insistere con lui che non ce la fanno più. “Gente che solo voleva vivere in pace e badare alla propria famiglia”. A quel punto, sono inziati gli attacchi a Juanes e Colón assieme. Esempio,  @lubrio: "i tossici e narcotrafficanti di @Juanes e @williecolon meritano la mia attenzione. Sono topi travestiti da conigli”. Ma da Cuba è arrivata ai cantanti l'adesione entusiastica della blogger Yoani Sánchez: “la mia approvazione con le parole di Juanes in Twitter sui fatti del Venezuela. Non mi aspettavo altro da un uomo onesto come lui”.
    Il fronte dei cantanti anti-Chávez è composto anche da Enrique Iglesias, figlio di Julio Iglesias, che un concerto fatto a Caracas l'8 febbraio ha strappato un'ovazione col fare un brindisi “alla libertà di espressione”. Altro cantante spagnolo che si è messo contro Chávez è Alejandro Sanz, quello che duettò con Shakira in “La tortura” e che ha il torello della “Guernica” di Picasso tatuato sul braccio sinistro. Già a fine del 2007 un suo concerto in Venezuela era stato proibito, e una seconda proibizione si era avuta nel 2008, per le sue dichiarazioni critiche di Chávez. Da @AlejandroSanz, con 133.000 iscritti, ha mandato un messaggio ai media venezuelani dopo la seconda chiusura dell'emittente Rctv: “la mia solidarietà con la stampa libera venezuelana e con tutti i venezuelani che credono nella libertà”.

    Ma anche i cantanti venezuelani si agitano. Un ritmo di hip hop che sta scalando le classifiche in questo momento è “Sr. Presidente”, del rapper NK Profeta, alias del 27enne Leonardo Viloria, che dopo aver a lungo appoggiato Chávez si è ora pentito, e in versi ha raccontato la sua delusione. Proprio la polemica con Juanes e Willie Colón ha fatto da traino, facendo circolare la canzone su twitter. Lui, anche da @nkprofeta, insiste che non è di nessun partito, e non vuole essere strumentalizzato da nessuno. Però il suo testo è duro come pochi. Inizia con alcuni accordi angosciati, con un sottofondo di spari, raffiche e esplosioni, mentre la voce di Chávez annuncia: “se vuoi la pace, preparati alla guerra”. Dopo di che, inframmezzato dal tormentone “il Paese non è normale”, va avanti per sette minuti, ripassando tutta la storia venezuelana degli ultimi anni. Rivendica di averlo appoggiato, di essere “un bolivariano” e “un rivoluzionario” che “alla lotta mette il petto”, ringrazia per le “missioni sociali”, ma reclama: “Io voglio una Cuba libera, non una Cuba che mi faccia male. Io voglio che comandi lei, non Fidel Castro in Venezuela”. “A lei lo cambiò il potere”. “Per nessuno è un segreto che lei controlla i poteri”. “La tua verità non è l'unica”. Pesante il sarcasmo sui deputato chavisti. “Un Congresso di Etiqueta e Buchanan's sempre on the rocks”, riferimento alla mania dei venezuelani danaosi per il whisky. “Proprietà, soldi, così chi è che non ti applaude come una foca ammaestrata”. Invocazione finale: “ponga termine ai conflitti o ponga termine con la sua rinuncia”.  

     

    • Giulia Pompili
    • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.