Palchetto della libertà

Il Pdl romano s'accampa per gridare al golpe tra yuppie e gladiatori

Stefano Di Michele

“Libertà! Libertà! Libertà!…”. Sul mesto palchetto allestito a San Lorenzo in Lucina, l'onorevole Beatrice Lorenzin, giovane e carina, ci mette tutto l'impeto necessario e tutta la voce che ha per scandire la magica parola. Ma la piccola folla lì davanti resta muta e ferma – è stordita da un paio di giorni (“da sabato c'ho le palle che mi girano a mille”, dice un capo romano pidielle), cala pure qualche goccia di pioggia, e nessuno ritma, e tutti si guardano intorno. Due coppie anziane. Dice una signora, sconsolata: “Io me ne vado, è rimasto poco”.

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    L'ufficio centrale elettorale della Corte d'Appello di Roma non ha ammesso alle elezioni regionali del Lazio il listino collegato a Renata Polverini. Mancherebbe la firma di uno dei rappresentanti di lista di cui l'ufficio elettorale si sarebbe accorto solo dopo l'accoglimento.

    “Libertà! Libertà! Libertà!…”. Sul mesto palchetto allestito a San Lorenzo in Lucina, l'onorevole Beatrice Lorenzin, giovane e carina, ci mette tutto l'impeto necessario e tutta la voce che ha per scandire la magica parola. Ma la piccola folla lì davanti resta muta e ferma – è stordita da un paio di giorni (“da sabato c'ho le palle che mi girano a mille”, dice un capo romano pidielle), cala pure qualche goccia di pioggia, e nessuno ritma, e tutti si guardano intorno. Due coppie anziane. Dice una signora, sconsolata: “Io me ne vado, è rimasto poco”. L'altra, con vigore, e indicando il silenzioso consorte lì a fianco: “Noi rimarremo sempre”. Arriva la Polverini, di nero cappotto tutta calzata – che pare Matrix nel momento decisivo. “Renata! Grande Renata!”. In tutta la piazza – piccola di suo, poco affollata ancora alle quattro del pomeriggio – due applausi due. Clap. Clap. Pure Alemanno non trionfa, ché vanno a mille gli attributi, ma bassa è la pressione politica. Giusto il nome del Cavaliere – “Viva Silvio Berlusconi!” – generale corale applauso tra la pur non trabocchevole folla – più e meglio del “Viva Viva Sant'Eusebio!” di manfrediana memoria.

    E' offeso, il popolo pidielle. Offeso e stranito. In questa disputa tutta capitolina con l'ex autista Atac di moderata caratura berlusconiana (ma pur sempre tallonato da un secondo di ortodossia finiana) che si fronteggia al momento drammatico della consegna delle schede con il vigile urbano Diego Sabatinelli, quieto militante radicale – tranviere e pizzardone, disputa che più romana de' Roma nun se poteva, manco fossero scesi in campo i grattacheccari e i serciaroli. “La violenza!”, urlano i sostenitori del primo, e presentano denuncia. “Violenti noi?”, s'inalberano i compagni del secondo, e denunciano pure loro. Nell'aria più sconforto che profumo di caffè, oggi a piazza San Lorenzo in Lucina. “Tranquillo, nun se perde un voto”, ma manca il nemico chiaro e definito – escluso che tale possa essere il pizzardone boniniano.

    E siccome Roma è sempre Roma, ecco che il pizzardone Diego era compagno di scuola ed è amico del consigliere pidielle Federico Mollicone – e uno non sa se piangere o ridere, così quando arriva sul telefonino il messaggio che bisogna andare in aula a votare, parte la replica ironica, “alle 16,45 manderò un mio delegato”. E' stordito, il pidielle di Silvio e Gianfranco, a Roma idealmente di Romolo e Remo (gli uni e gli altri bene cominciarono, è che la fine si fa sempre incerta), dove si va sempre due a due (come i carabinieri, scrive Libero, e trattasi sostanzialmente di un partito di matti, dice il Giornale, e dunque “tale la disinformazione che è arrivata anche ad alcuni giornali amici”, alto si leva il lamento lassù, sul palchetto. Qui c'è, quello che c'è, del popolo post predellino, e dunque signore con scialletti di pellicce e borsette di gran firma, eleganti signori e fancazzisti incravattati tardo yuppie che camminano col busto in avanti e la cravatta firmata a penzoloni, facce di brava gente arrivata incazzata – ma silente: incazzati sì, ma con chi? – dalla provincia; di là frotte compatte di giovanotti post fascisti che inalberano striscioni post fascisti (ma con la stessa grafica di allora) e conquistano le prime file.

    Poche bandiere del partito, molte del “Popolo di Roma”, che nel sito vanta nobilissime ascendenze e grandi aspettative: “Una volta il Campidoglio era il Senato di Roma. Oggi con Alemanno sindaco è tornato luogo di romanità…” – sì, buonanotte. Il quale sindaco è pure lui sul palco, e prova a caricare insieme alla Polverini (“ahò, avemo visto la paura in un pugno di Polverini”, fa il verso a Eliot un colto post fascista), quelli che chiamano Bonino “la Signora Emma”, intesa Sora Cecioni di splendente memoria, “è un golpe! è un golpe!”, chi mette di mezzo le dittature sudamericane “amiche dei comunisti”, chi più appropriatamente quella rumena comunista. E siccome a non far passare il consegnatore di firme pidiellini furono le forze dell'ordine, l'annotazione è “sugli occhi affranti dei carabinieri che dovevano mandare via i nostri, chi ha dato gli ordini?”. Dentro il gran piatto d'acqua del berlusconismo, nella piazza d'urbe, i due partiti galleggiano quali due distinte e distanti macchie d'olio. “Non cadiamo nel disfattismo!”, sia mai. Per due giorni ognuno si affratellerà nella maratona oratoria – un po' surreale, ma che altro fare? Con la speranza che ciò che il predellino unì, la mattana romana non separi.

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