Kate machine
Tutti parlano e scrivono di Kate Moss, da vent'anni, lei invece sta zitta. Volentieri si fa fotografare nuda, ma parla soltanto se deve lanciare una borsa, un profumo, una linea di abbigliamento con il suo nome scritto sopra. Kate Moss non spiega come salvare il pianeta, non è pubblicamente preoccupata per l'inquinamento, non esprime opinioni sulla politica, sui cuccioli di foca e nemmeno su di sé. Il silenzio l'ha conservata sexy senza renderla odiosa.
Tutti parlano e scrivono di Kate Moss, da vent'anni, lei invece sta zitta. Volentieri si fa fotografare nuda, ma parla soltanto se deve lanciare una borsa, un profumo, una linea di abbigliamento con il suo nome scritto sopra. Kate Moss non spiega come salvare il pianeta, non è pubblicamente preoccupata per l'inquinamento, non esprime opinioni sulla politica, sui cuccioli di foca e nemmeno su di sé. Il silenzio l'ha conservata sexy senza renderla odiosa.
Perché non è un silenzio snob e corrucciato, da star indignata per la violazione della privacy: Kate Moss si lascia violare, inseguire, aspettare sotto casa, fotografare senza trucco (unica a restare bella anche quando, nelle intenzioni, dovrebbe essere scandalosamente brutta e con le rughe), filmare mentre si droga, paparazzare mentre fa il bagno in topless con la sigaretta in mano, denunciare per disturbo della quiete dai vicini di casa che la notte vogliono, noiosi, dormire (Kate Moss ha trentasei anni, una figlia e ancora fa le ore piccole, si diverte, beve vodka tonic oppure champagne, fuma Marlboro light, non fa sport, non fa yoga, non medita, forse non va nemmeno in analisi, ha comprato a Parigi, al Trocadéro, una casa da ventidue milioni di euro, in tre stanze dell'appartamento di Londra e in un'ala della casa di campagna le stanno catalogando il guardaroba, se si sente giù va a St Tropez). Alla sua età le modelle muoiono come i calciatori, a lei invece dedicano mostre, statue, sculture, quadri, riflessioni filosofiche, e adesso una teoria sociologica francese: secondo Christian Salmon, scrittore e membro del Centro di ricerca sulle Arti e il Linguaggio, autore di “Kate Moss machine” (La Découverte), Kate è l'imprescindibile simbolo della rivoluzione neoliberista degli ultimi vent'anni. Cioè più o meno da quando Kate Moss, nata in periferia a Londra, si comprò un paio di stivali di Katharine Hamnett e capì che le piaceva la moda.
Un'individualista, una che vende attitudini e piccoli romanzi (gli amori, la droga, il rock, i fatti suoi) come i banchieri vendono azioni e gli immobiliaristi case. Un'imprenditrice, un marchio, la garanzia di mostruoso successo per qualunque cosa lei pubblicizzi o indossi (anche i capelli spettinati e grigi con cui si è presentata al Ritz a Parigi), una dea che non ha bisogno di spiegare nulla: deve soltanto scendere le scale di casa, aprire la porta con un paio di shorts e una borsetta, camminare veloce e, se le va, occhiaie o sorriso, guardare in camera. I maschi eterosessuali non sempre si capacitano, anche perché Kate Moss ha poche tette, non è alta, porta spesso le ballerine, una sua amica grassa la chiama “culosecco”: ma che lavoro fa quella, non si è ancora capito.
Fa l'idolo, fa l'icona, fa quella che sbadatamente dice: “Niente fa stare bene come sentirsi magre”, senza dover andare nei talk show a pentirsi. “Tutto quello che so è che mi piace quel che mi piace”, ha detto a Vogue Paris. Non vuole nemmeno sembrare un'intellettuale, una stilista, una cuoca, una madre perfetta. Non si cala gli anni, forse non usa il botulino, ha dei fidanzati rock'n roll che non la lasciano cantare sul palco anche se a lei piacerebbe molto. Hanno, giustamente, il terrore di essere seppelliti in un lampo dal neoliberismo sexy di Kate Moss.
Il Foglio sportivo - in corpore sano