L'unica Croce Rossa anche per gli eurostati si chiama Fmi
Tra aprile e maggio, la Repubblica ellenica deve rifinanziare 23 miliardi di euro. Il governo di Atene ha testato il mercato con un'emissione a dieci anni i cui tassi si sono assestati al 6,4 per cento l'anno, oltre il doppio di analoghe emissioni tedesche. Indice eloquente che si tratta di titoli a rischio
Tra aprile e maggio, la Repubblica ellenica deve rifinanziare 23 miliardi di euro. Il governo di Atene ha testato il mercato con un'emissione a dieci anni i cui tassi si sono assestati al 6,4 per cento l'anno, oltre il doppio di analoghe emissioni tedesche. Indice eloquente che si tratta di titoli a rischio poiché a breve la Grecia potrebbe dover dichiarare o una crisi di liquidità o addirittura un'insolvenza.
Pullulano le riunioni internazionali. Il 26 febbraio scorso, il primo ministro George Papandreou ha avuto un lungo incontro, ad Atene, con il presidente della Deutsche Bank, Josef Ackerman, che starebbe coordinando un consorzio di banche per il “salvataggio” dell'Ellade. Il 5 marzo, a Berlino, Papandreou vedrà Angela Merkel; poi il 9 marzo, a Washington, Barack Obama. L'unico appuntamento che, se in programma, viene trattato con molta discrezione, dovrebbe essere con Dominique Strauss-Kahn (DSK, per gli amici), il quale, a pochi passi dalla Casa Bianca, guida il Fondo monetario internazionale come direttore generale.
I consorzi di banche, quando sono stati organizzati per tendere una mano a uno o più paesi indebitati, hanno raramente avuto esiti positivi. Le analisi retrospettive sulla “crisi latino americana” della fine degli anni Ottanta e della crisi asiatica della fine degli anni Novanta documentano – come ha scritto lo stesso premio Nobel per l'economia, Joseph Stiglitz – che hanno aggravato, non curato, oppure meramente alleviato, la situazione. Le banche non sono istituti per l'assistenza e la beneficenza (Ipab).
Un piano di aiuti europei, o più specificamente dell'area dell'euro, comporta pure esso più costi che benefici. Il principale sostenitore di un piano “europeo” è il presidente francese Nicolas Sarkozy: a suo giudizio, se il salvataggio fosse attuato da altri (leggi Fondo monetario internazionale), ne resterebbe ferito “l'orgoglio dell'euro”; verosimilmente “Sarkò” non vede di buon occhio un successo di DSK, probabile suo sfidante alle prossime presidenziali. L'opinione pubblica tedesca ha difficoltà a mandare giù l'idea di dovere aiutare i greci a continuare ad andare in pensione a 60 anni, visto che nella Repubblica Federale l'età per la quiescenza è stata portata a 67 anni. Anche ove Papandreou riuscisse a convincere, sempre in nome dell'“orgoglio dell'euro”, Angela Merkel, l'aiuto non verrebbe né dai tesori né dalle banche centrali, ma da istituti bancari pubblici come la francese Caisse des Dépôts et Consignations, la tedesca Kreditanstalt für Wiederaufbau e simili (come la nostra Cassa depositi e prestiti), distogliendoli dalle loro ragioni sociali (mutui agli enti locali, supporto a investimenti a lungo termine in infrastrutture, ambiente, innovazione e sviluppo sostenibile). In breve, un “papocchio” in nome dell'“orgoglio dell'euro”.
Ma è proprio in ballo l'“orgoglio dell'euro”? Stati, regioni e città di unioni monetarie ben funzionanti hanno nel passato recente avuto crisi di solvibilità, insolvenze e pure aperto procedure fallimentari senza che le rispettive monete uniche ne risentissero, oppure se ne adombrassero. Pure ove “l'orgoglio dell'euro” fosse in ballo, la Croce Rossa mondiale è il Fondo monetario internazionale, che dispone di strumenti appropriati (come ha mostrato di recente in Ungheria, ora candidata a entrare nell'unione monetaria). Le risorse dell'organizzazione nata a Bretton Woods sono state triplicate (a questo scopo) dal G20 (l'Italia ha appena versato la propria quota aggiuntiva).
Un appello dell'area dell'euro al Fondo monetario internazionale salverebbe capra e cavoli: non ci sarebbe alcun rischio d'intaccare l'“onore dell'euro” (l'appello sarebbe unanime), la Grecia avrebbe le cure del caso e allo stesso tempo non si frammenterebbe l'ordine finanziario internazionale.
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