I guru del clima fanno autodafè
C'è modo e modo di fare autocritica, e quello scelto dagli scienziati dell'Ipcc sul Wall Street Journal di lunedì la dice lunga sulle difficoltà che il catastrofismo climatico sta passando. Travolti dallo scandalo delle e-mail che rivelavano accordi tra climatologi per truccare i dati delle temperature globali e dalle previsioni sballate sullo scioglimento dei ghiacciai dell'Himalaya, gli esperti delle Nazioni Unite hanno deciso di ristrutturare l'Ipcc.
C'è modo e modo di fare autocritica, e quello scelto dagli scienziati dell'Ipcc sul Wall Street Journal di lunedì la dice lunga sulle difficoltà che il catastrofismo climatico sta passando. Travolti dallo scandalo delle e-mail che rivelavano accordi tra climatologi per truccare i dati delle temperature globali e dalle previsioni sballate sullo scioglimento dei ghiacciai dell'Himalaya, gli esperti delle Nazioni Unite hanno deciso di ristrutturare l'Ipcc. L'ex infallibile consesso di studiosi sarà “commissariato” da un comitato indipendente di esperti che dovrà studiare le migliorie necessarie a recuperare la credibilità perduta. Saranno raddoppiati i controlli sugli studi scientifici citati e i report dovranno riflettere i diversi punti di vista quando non si raggiungerà il consenso; soprattutto, chi scriverà i report dovrà evitare in ogni modo di suggerire azioni politiche per combattere i cambiamenti climatici.
I correttivi annunciati dal presidente Rajendra Pachauri si sono resi necessari dopo che in tanti avevano osservato come l'Ipcc si fosse trasformato negli ultimi tempi da analista scientifico in attore politico, danneggiando seriamente la causa ambientalista, mai così poco nel cuore della gente. Abbiamo semplificato troppo, questo il mea culpa degli esperti dell'Ipcc a chi li accusa di avere venduto come certezze previsioni che certe non erano affatto. La colpa sarebbe principalmente dei politici, che non si accontentano di documenti con previsioni troppo vaghe. “Si possono avere numeri più precisi?”, questa la domanda che i politici fanno in continuazione agli scienziati. I quali hanno due strade percorribili: cercare di spiegare loro che raramente la scienza dà la risposta esatta sul da farsi oppure dare quei numeri. Pressati da più parti, in questi anni troppi scienziati hanno spacciato versioni ipersemplificate dei problemi come sicure soluzioni agli stessi. Nascondendo i dubbi.
Tra i politici che più hanno fatto questo tipo di pressione c'è Al Gore. L'ex vicepresidente americano nel 2007 ha vinto un Oscar per un documentario sul riscaldamento globale zeppo di errori e si è aggiudicato il Nobel per la Pace in condivisione con l'Ipcc. Gore ha fatto la sua fortuna con un paio di libri e un tour di conferenze in cui, semplificando parecchio, spiegava come il mondo stesse andando verso rapida fine per colpa delle emissioni di gas serra prodotte dagli uomini. Per salvare il pianeta dall'autocombustione bisogna investire in energie rinnovabili. Al Gore ha fatto significativi investimenti in molte imprese che producono questo tipo di energia. Sbugiardato al congresso di Copenaghen sul clima per avere previsto lo scioglimento del Polo Nord basandosi sulle semplici dichiarazioni di uno scienziato, Al Gore è tornato a scaldare gli animi con un editoriale sul New York Times di domenica, riproponendo il personaggio che più ama interpretare: il sacerdote di una nuova religione salvifica, l'ambientalismo catastrofista. “Sarebbe un grande sollievo – scrive Gore – se i recenti attacchi alla scienza che studia il global warming ci dicessero che non dovremo più affrontare una calamità inimmaginabile”.
Al Gore ammette che ultimamente qualche colpo è andato a vuoto, ma ciò non toglie che il clima sta cambiando in modo repentino e la colpa è delle emissioni prodotte dall'uomo. Compito dei governanti è “usare le leggi come strumento di redenzione umana” imponendo la diminuzione di gas serra. Cosa che spesso porta più danni che vantaggi: ieri il Times ha pubblicato uno studio commissionato dal governo inglese sull'impatto ambientale dei biocarburanti. Si è scoperto che sono più dannosi della benzina tradizionale: un litro di carburante verde riduce le emissioni di CO2 del 35 per cento, ma trasformare le foreste di Indonesia e Malesia in piantagioni in cui si produce il biofuel fa aumentare le emissioni del 31 per cento, danneggia l'ecosistema e rende l'aria irrespirabile.
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