Parla il grande accusato dal gruppo Espresso
La versione di Mario Resca, fuori da “cricche” e società per “fare affari”
Non si sente uno della “cricca”, Mario Resca, direttore generale per la Valorizzazione del patrimonio culturale che il gruppo Espresso ha descritto – alludendo a presunti conflitti d'interesse, compensi d'oro, uffici principeschi – come un “uomo del fare affari” che, per dirla con Repubblica, “può gestire le gare come vuole con la società controllata Ales… una sorta di Iri della Cultura” e come un affiliato alla losca (per Repubblica) “Beni culturali spa”, “tutta protesa alla prateria di appalti che si apre per la valorizzazione del patrimonio storico e monumentale”.
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Non si sente uno della “cricca”, Mario Resca, direttore generale per la Valorizzazione del patrimonio culturale che il gruppo Espresso ha descritto – alludendo a presunti conflitti d'interesse, compensi d'oro, uffici principeschi – come un “uomo del fare affari” che, per dirla con Repubblica, “può gestire le gare come vuole con la società controllata Ales… una sorta di Iri della Cultura” e come un affiliato alla losca (per Repubblica) “Beni culturali spa”, “tutta protesa alla prateria di appalti che si apre per la valorizzazione del patrimonio storico e monumentale”. E meno male (per Repubblica) che i magistrati di Firenze la “inchiodano”. “Ma quale cricca”, ripete Mario Resca trasecolando e raccontando se stesso come un “uomo d'impresa” abituato “fin da ragazzo a far funzionare le cose” – infanzia in una famiglia operaia, gioventù con borse di studio a raffica dopo una rapida partecipazione al Sessantotto (da cui Resca ha tratto la massima “la cultura è di tutti”, in cui tuttora crede fermamente) e carriera veloce in Italia e all'estero, passando per gli uffici Fiat, Versace, Rizzoli e Lancôme. Poi, l'esperienza da commissario straordinario post crack Cirio (“abbiamo salvato tutti i dipendenti”) e l'incarico alla McDonald's, di cui è stato presidente e amministratore delegato. Posizione, questa, per cui Resca è stato più volte sotto il fuoco di un mondo della cultura inorridito alla vista di un manager industriale che approda alla gestione musei: “Ci sono abituato”, dice Resca, “in tanti anni alla McDonald's ho affrontato, nell'ordine, l'opposizione dei no global, dei fan dello slow food e di Fausto Bertinotti”. Pare, però, che si siano quasi tutti ricreduti. Con Bertinotti Resca è in ottimi rapporti, con il settore slow food non è più in guerra – perché se il fast food spopola lo slow food, per contrasto, si impone con più evidenza agli intenditori, spiega. Anche con le associazioni che lavorano con i Beni culturali Resca ha sperimentato prima diffidenza, dice, e poi rispetto (“chiedete al Fai se non sono il primo a voler tutelare il territorio”).
Non capacitandosi “degli attacchi concentrici”, Resca dice “sono qui soltanto per lavorare”, guarda la bandiera italiana dietro al tavolo e sospira: “Non è un oggetto qualsiasi, per me. Voglio aiutare il mio paese e per questo ho accettato l'incarico, viaggiando come un matto all'estero, ascoltando i colleghi, presentandomi nei musei italiani con regolare biglietto, non annunciato, per cercare di capire che cosa non va e trovare soluzioni. Avrei potuto benissimo fare altro, potrei fare altro, potrei anche guadagnare più dei centosessantamila euro di stipendio che percepisco come direttore generale – questa è la cifra, non i proventi d'oro di cui favoleggia il gruppo Espresso. Faccio quello che faccio per passione, non sono un politico, non sono neppure iscritto a un partito politico”. Resca definisce “fantasiose e infanganti” le “illazioni giornalistiche” che parlano delle cifre a sua disposizione: “Non gestisco fondi Arcus, tanto per cominciare”, dice alludendo alla società per lo sviluppo dell'arte, della cultura e dello spettacolo che opera ai sensi della legge 16 ottobre 2003, n. 291 e il cui capitale sociale è interamente sottoscritto dal ministero dell'Economia, mentre l'operatività aziendale deriva dai programmi di indirizzo che sono oggetto dei decreti annuali adottati dal ministro per i Beni e le Attività culturali (che esercita i diritti dell'azionista di concerto con il ministro delle Infrastrutture).
“Alla mia direzione”, dice Resca, “sono stati assegnati un totale di tre milioni di euro per il triennio 2010-2012. Per il funzionamento della direzione ho avuto duecentomila euro e non due milioni di euro, come riporta l'Espresso. Per la comunicazione e promozione un milione e mezzo di euro e non i tre milioni citati dall'Espresso”. Lo “sconcerto” di Resca si fa contrattacco sulla famigerata (per Repubblica) Ales (Arte, Lavoro e Servizi spa). “La Ales”, dice Resca, “sin dalla sua costituzione nel 1998, sotto il governo D'Alema, in base alla legge 197/97 elaborata sotto il primo governo Prodi, prevedeva nel suo statuto e nel suo oggetto sociale tutte le specifiche contestate dal Gruppo Espresso, a partire dai servizi al pubblico nei musei – come la guardiania, le visite guidate, la gestione dei centri ristoro – e a partire dai servizi di manutenzione edifici e di manutenzione e riparazione impianti. La Ales è accusata di essere un mezzo d'affari, ma le recenti modifiche statutarie che la pongono sotto la mia direzione generale mirano a valorizzare pienamente questa società che non parteciperà a gare, non opererà in deroga al regime di appalti, insomma non farà nulla di quello che Repubblica ed Espresso imputano alla ‘Beni Culturali spa'”.
“Non gestisco io le gare per il rinnovo delle concessioni dei servizi aggiuntivi in musei, biblioteche, siti archeologici”, dice Resca, “ma stiamo lavorando alla definizione delle linee guida sulle quali lavoreranno i soprintendenti. Erano scaduti da due anni e passa molti contratti per le attività di gestione di biglietterie, bookshop e caffetterie all'interno dei musei. Abbiamo affidato la stesura delle nuove linee guida a due società di consulenza – che all'uopo hanno vinto una gara appositamente indetta e gestita da Arcus. C'è stata una levata di scudi, come se avessi toccato interessi consolidati. Forse perché nei bookshop non vogliamo avere editori ma librai, come ovunque all'estero”. Repubblica a questo proposito sottolinea un presunto conflitto d'interesse. Resca, scrive Rep., è nel cda della Mondadori, “che controlla la Mondadori Electa, società leader nella gestione dei punti vendita all'interno dei musei”. Resca risponde: “L'Electa l'ho trovata già qui, non sono nel cda Electa e comunque non sarà la mia direzione generale a gestire le gare future”.
Durante il giro preventivo per i musei, Resca (operativo dall'estate 2009) si è allarmato: “I Beni culturali sono uno dei possibili asset del futuro, devono essere competitivi, eppure non sono stati valorizzati. A parte la scarsità di risorse, ho trovato mostre fatte solo per aumentare il prezzo del biglietto, musei che invece di essere ‘user friendly' allontanano i visitatori. Io però rifiuto il concetto per cui solo pochi eletti possono accedere al patrimonio culturale”. Per questo Resca ha lanciato la campagna sul Colosseo (lo slogan “se non lo visitate ve lo portiamo via” è visto con perplessità da Repubblica e dai cittadini più tradizionalisti) e si è buttato nella comunicazione “ai giovani” con annunci via Twitter, Facebook e YouTube. Oggi usciranno i dati relativi alla gestione Resca e, dice Resca, “il trend dopo anni è finalmente positivo”. Amareggiato per “le calunnie”, il direttore generale si consola con una notizia dall'est: “Grazie a un accordo firmato con la Cina, avremo un'area permanente italiana all'interno di un nuovo grande museo in piazza Tienanmen. E molte altre buone notizie sono in arrivo per i Beni culturali italiani”.
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