Come si diventa gentiluomini di Sua Santità
La dura selezione di quegli uomini in frac che stazionano a San Damaso
Quando si parla di gentiluomini di Sua Santità c'è anche chi, come il decano vaticanista Luigi Accattoli, la mette sul ridere e usando un linguaggio artatamente datato dice: “Alle volte un giornalista, pur morigerato, non si trattiene e imprende a dare consigli e dimanda, come fosse cosa sua, perché il Papa teologo non si liberi delle anticaglie, frac sparati croci d'oro et similia. L'attuale congiuntura può aiutarlo. Paolo VI fece novanta, si attende un Papa che faccia cento”. Ma a ben vedere, non sarà Benedetto XVI a fare cento.
Quando si parla di gentiluomini di Sua Santità c'è anche chi, come il decano vaticanista Luigi Accattoli, la mette sul ridere e usando un linguaggio artatamente datato dice: “Alle volte un giornalista, pur morigerato, non si trattiene e imprende a dare consigli e dimanda, come fosse cosa sua, perché il Papa teologo non si liberi delle anticaglie, frac sparati croci d'oro et similia. L'attuale congiuntura può aiutarlo. Paolo VI fece novanta, si attende un Papa che faccia cento”. Ma a ben vedere, non sarà Benedetto XVI a fare cento. Fu lui infatti, il 7 gennaio 2006, a ricevere in udienza i suoi gentiluomini e a dire loro: “Cari gentiluomini, la barca di Pietro, per poter procedere sicura, ha bisogno di tante nascoste mansioni, che insieme ad altre più appariscenti contribuiscono al regolare svolgimento della navigazione”. Tra queste, era sottinteso, le mansioni di quegli strani personaggi, i gentiluomini di Sua Santità – oltre cento oggi – che in sostanza altro non fanno se non, a turno, accogliere gli ospiti prima che il Papa si palesi nella stanza delle udienze.
Gentiluomini del Papa si diventa, non si nasce. Non occorre essere di sangue blu né appartenere a qualche circolo particolare. Gentiluomini si diventa, recita l'annuario pontificio, “con Biglietto – con la B maiuscola, ndr – della segreteria di stato vaticana”. Chi ne è degno? (Perché di “dignità” si tratta). Ne sono degne “persone che si distinguono per prestigio personale e che hanno acquisito particolari benemerenze verso la Santa Sede”. E', quindi, per doti personali, per azioni svolte (almeno sulla carta) indipendentemente dal proprio ceto o classe d'appartenenza, che si diviene gentiluomini: un incarico ambito perché è il sigillo, nero su bianco, di un legame del tutto particolare che si viene ad avere direttamente con il Papa. Non a caso è della “famiglia pontificia”, della famiglia del pontefice, che si entra a far parte.
Servono due cose, dunque: il prestigio e le benemerenze personali. Non è difficile dire di che cosa si tratta. Da una parte di servizi resi, magari per anni, alle dipendenze della Santa Sede o in collaborazione con essa. E' il caso, ad esempio, dell'ultimo gentiluomo nominato da Giovanni Paolo II prima di morire: lo spagnolo Justo Carlos Abella y Ramallo, per diverso tempo ambasciatore di Madrid in Vaticano. Oppure di uno degli ultimi gentiluomini creati da Benedetto XVI: l'ex direttore dell'Osservatore Romano, il professor Mario Agnes. Dall'altra si tratta di una particolare amicizia che negli anni si crea con un cardinale importante, o anche direttamente con il Papa.
Un'amicizia che porta la segreteria di stato a iscrivere, spesso su suggerimento di un vescovo o di un cardinale, questa o quella personalità nell'elenco dei gentiluomini. E' il caso del sottosegretario Gianni Letta. Di Francesco Alfonso, già consigliere capo della segreteria del presidente Carlo Azeglio Ciampi. Di Francesco La Motta, prefetto, già direttore centrale del fondo edifici di culto del ministero dell'Interno. E anche, ovviamente, di Angelo Balducci, iscritto nell'elenco dall'8 dicembre 1995.
Una volta che si diviene gentiluomini di Sua Santità si entra nella famiglia pontificia, la “nostra antica e benemerita corte”, come l'aveva definita Paolo VI nel motu proprio “Pontificalis domus” del 1968. Un gruppo eterogeneo formato da due rami: uno ecclesiastico, l'altro laico. Del ramo ecclesiastico fanno parte, tra gli altri, l'elemosiniere di Sua Santità, il teologo della casa pontificia, prelati d'onore e cappellani. Nel ramo laico ci sono il comandante della guardia svizzera pontificia, personale con svariati incarichi e poi loro, i gentiluomini.
Quale il loro compito? Lo sancì Paolo VI: svolgono all'interno della famiglia pontificia mansioni di “particolare responsabilità e di qualificata rappresentanza al servizio del Sommo Pontefice”. Principalmente, come detto, il compito dell'accoglienza di coloro che vengono ricevuti in udienza dal Papa. Un compito che non decade in caso di sede vacante. Perché, in sostanza, almeno che non vi siano gravi motivi, la nomina è a vita. (Si ricorda un caso eclatante di cancellazione dall'elenco dei gentiluomini del Papa: Umberto Ortolani, sodale di Licio Gelli nelle P2, venne insignito del titolo nel 1963. Fu depennato dall'elenco nel 1983. Il Vaticano non fece nessuna comunicazione ufficiale, semplicemente il suo nome sparì dall'annuario pontificio a partire da quell'anno).
A guardarli, i gentiluomini, quando in fila aspettano nel cortile di San Damaso l'arrivo in Vaticano di un qualche importante capo di stato, questo esprimono: dignità. Col loro frac nero, le medaglie, doppio petto e cravatta a fiocco, salutano uno alla volta questo o quell'ospite illustre. Il loro è un servizio non difficile, ma delicato.
Recita in proposito l'annuario pontificio: “Vestiti con il caratteristico frac nero ornato dal collare d'oro – segno di particolare dignità – i gentiluomini di Sua Santità dipendono dalla Prefettura della casa pontificia che ne predispone i servizi. Si fanno notare soprattutto in circostanze particolarmente solenni: le celebrazioni liturgiche pontificie, le visite di stato e i ricevimenti di personalità di riguardo, le presentazioni di credenziali da parte degli ambasciatori accreditati presso la Santa Sede, le cerimonie civili e le udienze papali. A loro compete essenzialmente l'accoglienza degli ospiti e il loro accompagnamento ai posti riservati. In alcune occasioni hanno anche l'incarico di rilevare presidenti e diplomatici alle loro residenze romane e guidarli fino all'appartamento pontificio per poi accompagnarli di nuovo alle loro sedi”. E' vero, Paolo VI nel 1970 mise in campo un'azione di snellimento della curia romana che fece scomparire alcune tradizionali figure: gli assistenti al soglio che affollavano l'altare e il trono del Papa, il patriziato romano, i corpi armati e i dignitari della corte pontificia che partecipavano alle liturgie senza alcun compito. Furono rinnovate e semplificate le sacre vesti e le suppellettili, rivisti il canto e la musica. Ma è difficile ipotizzare che Benedetto XVI voglia seguirlo su questa strada. La curia romana, oggi, ha altri problemi.
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