L'Oscar per la guerra

Mariarosa Mancuso

"Dedico questo Oscar agli uomini e alle donne che portano una divisa, ai nostri militari che combattono in Iraq e Afghanistan, ai vigili del fuoco che ci sono sempre quando abbiamo bisogno di loro”. Non ha scordato proprio nessuno Kathryn Bigelow. Per un attimo sembrava di essere tornati all'epoca degli spettacoli per le truppe o della Hollywood Canteen fondata da Bette Davis e John Garfield: nel locale, i soldati in partenza per la Seconda guerra mondiale venivano serviti a tavola dalle star. Sul palco del Kodak Theatre non si era mai sentito nulla di simile.

    "Dedico questo Oscar agli uomini e alle donne che portano una divisa, ai nostri militari che combattono in Iraq e Afghanistan, ai vigili del fuoco che ci sono sempre quando abbiamo bisogno di loro”. Non ha scordato proprio nessuno Kathryn Bigelow. Per un attimo sembrava di essere tornati all'epoca degli spettacoli per le truppe o della Hollywood Canteen fondata da Bette Davis e John Garfield: nel locale, i soldati in partenza per la Seconda guerra mondiale venivano serviti a tavola dalle star. Sul palco del Kodak Theatre non si era mai sentito nulla di simile. Quando i candidati o i presentatori parlavano di guerra, era per chiedere di fermarla, giacché l'impresa era motivata esclusivamente dai pozzi di petrolio. Era per lanciare un bell'appello pacifista, senza se e senza ma: basta ricordare certe dichiarazioni di Michael Moore e Sean Penn.

    Dedica il suo Oscar ai combattenti una regista bella ed elegante, non un qualsiasi John Wayne. Speriamo che serva per togliere di mezzo la retorica del pacifismo naturale delle femmine. Kathryn Bigelow ha sempre girato film d'azione, a cominciare da “Point Break” con Patrick Swayze e Keanu Reeves, datato 1991: un quartetto di rapinatori surfisti si nascondono dietro le maschere dei presidenti Nixon, Reagan, Johnson, Carter. Bastò il dettaglio per farne una regista contro e per farsi ammirare da Quentin Tarantino, uno che quando bisogna combattere certo non sta indietro.

    Tarantino sceglie la Seconda guerra mondiale, raccontando in “Bastardi senza gloria” una storia alternativa dove gli ebrei uccidono Hitler. Kathryn Bigelow racconta l'Iraq, seguendo le giornate di un disinnescatore di bombe. Tutti sono pronti ad applaudire la prima e fantasiosa trama, esultando alla fine del film. Non tutti – fino a pochissimo tempo fa, il film è del 2008 – erano pronti a celebrare i militari americani in Iraq e i loro reali successi. Ma ora – sorpresa! – la Hollywood liberal e pacifista si schiera a fianco dei suoi soldati, spellandosi le mani per un discorso che appena un anno fa avrebbe raccolto solo fischi.
    Nel giro di poche ore, con la vittoria di “The Hurt Locker”, l'idea di guerra che guida “Avatar” è invecchiata di colpo, buona soltanto per qualche ideologo nostalgico. Secondo James Cameron a scatenare le guerre sono gli americani – o gli occidentali, che in questo caso è lo stesso – onde sottrarre le ricchezze a popoli pacifici che vorrebbero solo vivere in armonia con la natura. Niente a che vedere con la guerra secondo Kathryn Bigelow: sporca, confusa, eroica quando capita, rumorosa e rischiosa, ma a volte necessaria.