Viva il televoto
La democrazia in Italia è ufficialmente in pericolo (secondo Dario Franceschini, secondo Antonio Di Pietro, secondo il popolo viola e secondo il Csm), mancano poche ore al colpo di Stato e non resta che consolarsi, anzi appigliarsi, all'unico modello di elezione democratica che sopravviverà al golpe: la democrazia del televoto. Rassicurante, immediato, comodamente godibile dal divano di casa, è la nuova frontiera elettorale. Ha previsto, nella sua grande modernità, un alto tasso di deficienti, quindi ha eliminato sul nascere l'obbligo di presentare liste.
La democrazia in Italia è ufficialmente in pericolo (secondo Dario Franceschini, secondo Antonio Di Pietro, secondo il popolo viola e secondo il Csm), mancano poche ore al colpo di Stato e non resta che consolarsi, anzi appigliarsi, all'unico modello di elezione democratica che sopravviverà al golpe: la democrazia del televoto. Rassicurante, immediato, comodamente godibile dal divano di casa, è la nuova frontiera elettorale. Ha previsto, nella sua grande modernità, un alto tasso di deficienti, quindi ha eliminato sul nascere l'obbligo di presentare liste: l'unico ritardo ipotizzabile è quello del voto oltre il gong, quando Antonella Clerici, Alessia Marcuzzi, Milly Carlucci o Maria De Filippi, fiere guardiane della democrazia immaginaria, gridano esultanti: stop al televoto.
A quel punto ogni voto oltre il termine è automaticamente nullo, senza bisogno di pasticciare con decreti, senza necessità di ricorsi al Tar, senza il rischio di recarsi stancamente al seggio, dopo tutta la fatica fatta per trovare il certificato elettorale, e inciampare in un radicale incatenato o in un radicale disidratato che vuole (giustamente) impedire lo svolgersi di elezioni contrarie al principio di legalità. Il televoto ha un enorme successo, un'affluenza bestiale (centinaia di migliaia di persone inviano sms costosi a numeri anche difficili da memorizzare pur di eleggere il re della serata: il vincitore del Grande Fratello, la semifinalista di Ballando con le stelle, il ripescato di Sanremo, la squadra vincente di Amici) ed è praticamente irresistibile: con un telefonino in mano si possono fare miracoli, anche senza sapere nulla di ciò che si sta guardando. Basta una lacrima di troppo, una buona battuta o un moto di antipatia per desiderare intensamente di contribuire, da casa, agli altari o alla polvere di un candidato tivù.
Non c'è gara: nella democrazia reale bisogna leggere, ad esempio, lo slogan elettorale di Lidia Ravera: “Contro il disincanto. Riprendiamoci la politica” e faticare per decifrarlo, nella democrazia immaginaria e televisiva basta ascoltare i fischi a Emanuele Filiberto per decidere di votarlo, o le urla isteriche contro Mauro del Grande Fratello per essere certi di aver trovato il nuovo vincitore. Premere il pulsante “invio” offre tra l'altro un crudele senso di onnipotenza superiore a quello della crocetta sul nome della lista: è come azionare i comandi della botola in cui far precipitare il candidato perdente. Che comunque si dimena, soffre, balla con la caviglia dolorante, ammicca, regala sforzi anche maggiori rispetto ai candidati nella democrazia reale.
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