Il “nichinismo” come teologia politica

Vendola, l'eroe delle due chiese che i pugliesi faticano assai a non votare

Stefano Di Michele

Se Nichi ha vinto una volta, è praticamente certo: Nichi vincerà una seconda volta. Se in Puglia, contro tutte le previsioni, cinque anni fa l'hanno eletto – nonostante fosse comunista, o più che altro “nichinista”: suggestivo e surreale memoria della compagna Marietta “delle pezze vecchie” sommata a quella della Madonna di Sovereto, omosessuale, persino inviso al centrosinistra – in Puglia, come dicono le previsioni, lo rieleggeranno, persino con gran turbamento dalemiano, avendo Massimo, negli ultimi lustri, fatto per la pugliesità ben più delle orecchiette e del locale barocco.

    Se Nichi ha vinto una volta, è praticamente certo: Nichi vincerà una seconda volta. Se in Puglia, contro tutte le previsioni, cinque anni fa l'hanno eletto – nonostante fosse comunista, o più che altro “nichinista”: suggestivo e surreale memoria della compagna Marietta “delle pezze vecchie” sommata a quella della Madonna di Sovereto, omosessuale, persino inviso al centrosinistra – in Puglia, come dicono le previsioni, lo rieleggeranno, persino con gran turbamento dalemiano, avendo Massimo, negli ultimi lustri, fatto per la pugliesità ben più delle orecchiette e del locale barocco. Indefinibile, Nichi si è fatto imprendibile – per i suoi stessi alleati, figurarsi per i suoi avversari – “Rocco chi?”, strillava Berlusconi, non riuscendo né a farsi entrare in testa il nome né a convincersi che quel Palese (tanto bravo, per carità, ma ordinario d'aspetto per tacer del vestiario, pur con assoluto conseguente impegno a votarsi alla giacca blu) potesse essere alternativa al fuoco acceso, tra il Tavoliere e il Salento, dalla passione per il “nichinismo”.

    Se il candidato – comunista e omosessuale e credente e poeta, scisso tra due chiese e di due chiese ugualmente praticante – ha al dito una fede d'oro dono di un pescatore di Mola, “il ricordo più ricco che aveva di sua madre, il mio anello di fidanzamento col popolo di Puglia!”, e avanza a colpi di citazioni di san Paolo, “io sono nel palazzo, non sono del palazzo”, lo sa bene il Cavaliere che dovrebbe inventarsi qualcosa di ancora più suggestivo, un fuoco (finto) e artificiale – e mica confidare in san Nicola, che continua a non dar segni né di sconforto né di alterazione. Essendo il meno berlusconiano di tutti, paradossalmente Nichi è quello che le armi berlusconiane – la sorpresa, il laterale che si fa centrale, il contrario che si somma al suo opposto – meglio usa e riassume. Nonostante i travagli della sua giunta, nonostante l'ennesimo sacrificio primariale del mite Boccia, cosa resta da fare agli adepti berlusconiani allungati tra Adriatico e Ionio – sospesi tra la devozione e il trullo? Gettare l'allarme? “Comunista!”. E quello: “Certo, grazie”. Frocio? “Omosessuale, prego”. Ateo! E qui il loro temuto disastro potrebbe farsi completo.

    Come e perché Nichi vincerà, si capisce benissimo leggendo il nuovo libro intervista con Cosimo Rossi (“La fabbrica di Nichi”, Manifestolibri). Siccome il governatore pugliese è berlusconianamente (ma pure dalemianamente) indecifrabile, è praticamente inespugnabile. Perché prima dell'approdo al “nichinismo” – o meglio: sostanza del “nichinismo” stesso, è l'intreccio delle due chiese da cui Nichi ha tratto curiose e non rinnegate suggestioni. Parla di quella cattolica con accenti capaci di far impallidire un Buttiglione alle prese con gli appunti in polacco. E di quella comunista con sacralità da composizione di processione patronale. “La chiesa è pesante, ma Dio è leggero. Dio ha la leggerezza dell'Ecclesiaste, della gazzella che corre sul monte degli aromi, l'immagine che chiude il ‘Cantico dei cantici'”. E però, “l'importanza della discendenza di Pietro” rispetto alla chiesa cattolica, “con una sua intrinseca, strepitosa grandezza”. In certe pagine, con il dovuto rispetto parlando, ci si sposta dalla visione di Rocco a una visione alla santa Teresa, diciamo così: “Il punto che mi sconvolge è il seguente: la croce è il trono di un regno… La crocefissione è un'incoronazione. E' un potere invertito, un potere capovolto”.

    E ancora meglio: “Di fronte all'inseminazione divina di Maria, di fronte alla pista di Betlemme, ai vagiti del bambino nella grotta, alle peripezie del Nazareno, alla croce, al sepolcro, alla pietra che rotola, all'ascensione al cielo, al mistero della resurrezione, io mi spoglio di ogni sapere e mi abbandono”. E' una metavisione, dice così il candidato, una “flessione che provo, che vivo, che sento annunciarmi passi, pensieri, gesti e cose inesplicabili. Quello che mi afferra e che mi stritola è la follia della croce, quella che san Paolo chiamava ‘la follia della croce'”. Sarà per il vescovo Tonino Bello che tanto peso ha avuto nelle sorti vendoliane, sarà per l'adolescenziale passione per san Domenico Savio, defunto giovanetto e saggiamente elevato a protettore nientemeno dei “pueri cantores” – e senza dubbio in tali frangenti avrà il suo bel da fare.

    Poi la chiesa comunista, essendo l'unica possibile chiesa comunista quella del Pci: “Quando vedevo la solennità dell'incedere di Nilde Iotti, le irritazioni di Luciano Lama, il silenzio pensoso di Paolo Bufalini, l'iracondia ballerina di Alessandro Natta, la riflessività petrosa e scavata di Ingrao, l'intelligenza scattante di Gerardo Chiaromonte…”. Dice, ma non rimpiange: “Un monastero in cui scorreva il sangue, non per una battuta a Porta a porta, ma scrivendo un libro intero che era la risposta a un altro libro intero…”. E dunque, mentre nonne vestite in nero e mamme borghesi tifano per lui, fricchettoni di nuovo conio e secchioni universitari (“perché Nichi è pure secchione”), fanno ala, pescatori di pesci e preti che accudiscono anime si sommano, tutto si complica per il buon Palese – nonostante l'eccellente lavoro sartoriale fatto alle sue giacche. In Puglia difficile non dirsi nichinisti – e magari non si sa neanche bene perché.