Il surreale rapporto del fondo per la popolazione

Per l'Onu le donne sono sì delle vittime, ma del riscaldamento globale

Nicoletta Tiliacos

Ci sono cose che invecchiano in fretta. Ma, più che invecchiato, sembra appartenere a un'altra era geologica il rapporto dell'Unpfa (United nations population fund) sullo “Stato della popolazione nel mondo 2009”, dedicato a “donne, popolazione e clima”. Eppure, sono passati solo quattro mesi dalla sua uscita, programmata in occasione della conferenza internazionale sul clima tenutasi a dicembre a Copenaghen. Una kermesse tanto pletorica quanto fallimentare, oltre che, come si ricorderà, segnata dall'imbarazzo per la scoperta dei taroccamenti operati in seno al Gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici.

    Ci sono cose che invecchiano in fretta. Ma, più che invecchiato, sembra appartenere a un'altra era geologica il rapporto dell'Unpfa (United nations population fund) sullo “Stato della popolazione nel mondo 2009”, dedicato a “donne, popolazione e clima”. Eppure, sono passati solo quattro mesi dalla sua uscita, programmata in occasione della conferenza internazionale sul clima tenutasi a dicembre a Copenaghen. Una kermesse tanto pletorica quanto fallimentare, oltre che, come si ricorderà, segnata dall'imbarazzo per la scoperta dei taroccamenti operati in seno al Gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici (Ipcc) allo scopo di accreditare, insieme con l'allarme sul riscaldamento globale, la tesi che a provocarlo siano soprattutto le attività umane.

    Una responsabilità per niente dimostrata (così come non è affatto dimostrato il riscaldamento globale stesso) ma ovviamente data per scontata nell'introduzione al rapporto Unpfa (pubblicato in Italia dall'associazione non governativa Aidos), che porta l'autorevole firma di Ban Ki-moon: “Prove sempre più evidenti mostrano come i recenti cambiamenti climatici siano principalmente il risultato dell'attività umana”, scrive arditamente il segretario dell'Onu. “Gli esseri umani provocano il cambiamento climatico. Questo li colpisce. Hanno bisogno di adattarvisi. E solo gli esseri umani hanno il potere di fermarlo”. Addirittura. “I gas serra non si sarebbero accumulati così drammaticamente se il numero degli abitanti della terra non fosse cresciuto così rapidamente, se cioè fosse rimasto a 300 milioni di persone, ossia la popolazione mondiale di mille anni fa, anziché raggiungere gli attuali 6,8 miliardi”. Per questo, “gli scienziati, inclusi gli autori dei rapporti del Gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici, riconoscono che l'importanza della velocità e della portata della recente crescita demografica inciderà sull'aumento delle future emissioni di gas serra”.

    Affermazioni davvero spericolate, quelle del segretario delle Nazioni Unite, soprattutto alla luce delle dimissioni a catena nell'Ipcc dopo la scoperta della manipolazione dei dati sul riscaldamento, e ridicolizzate da studi come quello, recentissimo, del National Oceanic and Atmospheric Administration statunitense (pubblicato da Science), che dimostra come negli ultimi dieci anni la temperatura globale non sia affatto aumentata ma semmai diminuita. Ma la cosa che vale la pena sottolineare, al di là dell'effetto patetico di affermazioni “scientifiche”, è la morale della favoletta raccontata dall'Unpfa, in particolare sul ruolo che le donne avrebbero negli scenari di cambiamento climatico, come vittime dello stesso ma anche come possibili agenti dei rimedi e delle inversioni di rotta.

    E allora, al di là dei catastrofismi presentati
    come verità rivelate (“Non c'è tempo da perdere, siamo già sull'orlo del precipizio”, pag. 19), il rapporto non fa altro che ripetere il solito, vecchio ritornello della crescita demografica da arginare. Le donne, da brave, sono pregate di farsene carico, e gli stati di intervenire, con opportuni programmi di “salute riproduttiva”, per ottenere una crescita meno veloce. Per premio, “se si concretizzasse lo scenario con crescita bassa previsto dalla Divisione per la popolazione delle Nazioni Unite (circa 8 miliardi di persone entro il 2050), potrebbero esserci tra 1 e 2 miliardi di tonnellate in meno di emissioni di carbonio rispetto allo scenario di crescita media (un po' più di 9 miliardi di persone entro il 2050)”. Si riesuma addirittura un rapporto del 1992 del comitato dell'Accademia nazionale delle scienze degli Stati Uniti, secondo il quale “gli effetti della pianificazione familiare sulle emissioni di gas serra sono importanti a tutti i livelli di sviluppo”, vale a dire nel primo come nel terzo mondo.

    Anche la Nobel per la Pace Wangari Maathai dice la sua, tra “empowerment”, “sostenibilità ambientale” e “programmi contraccettivi”. Auspica che si prendano “in considerazione le differenze di genere nell'impegno mondiale per la riduzione del cambiamento climatico e per l'adattamento a esso”. Ma non aspettatevi, né da lei né da altri, nelle quasi cento pagine molto patinate del rapporto Unpfa, una sola parola sui cento milioni di bambine scomparse in Asia (abortite, lasciate morire, non curate) alle quali l'Economist ha dedicato la sua storia di copertina due settimane fa. Una catastrofe reale e senza precedenti, contro la quale le diplomazie onusiane non hanno mai mostrato una gran voglia di intervenire. Preferiscono, si sa, occuparsi di aria calda (anzi, fritta).