“Unputdownable” e altre cadute di stile

Un utile manuale per scovare le frasi fatte dei critici. E darsela a gambe

Mariarosa Mancuso

Succede a tutti, anche se non tutti lo confessano volentieri, per timore di sembrare un po' sciocchi, molto irritabili, o quantomeno superficiali. Succede che una parola o una frase, letta in una recensione o su un risvolto di copertina, abbia il potere di farci disamorare all'istante. Il libro in questione viene collocato in una (segretissima) lista nera, da cui difficilmente uscirà. “Intenso”, per esempio, perlopiù in unione con “affresco” – si parli di periodi storici o di saghe familiari – mette in fuga il lettore quasi quanto l'aggettivo “poetico” o “lirico” (come diceva Stephen King parlando di scrittura romanzesca: “Se la chiamano prosa, un motivo ci sarà”).

    Succede a tutti, anche se non tutti lo confessano volentieri, per timore di sembrare un po' sciocchi, molto irritabili, o quantomeno superficiali. Succede che una parola o una frase, letta in una recensione o su un risvolto di copertina, abbia il potere di farci disamorare all'istante. Il libro in questione viene collocato in una (segretissima) lista nera, da cui difficilmente uscirà. “Intenso”, per esempio, perlopiù in unione con “affresco” – si parli di periodi storici o di saghe familiari – mette in fuga il lettore quasi quanto l'aggettivo “poetico” o “lirico” (come diceva Stephen King parlando di scrittura romanzesca: “Se la chiamano prosa, un motivo ci sarà”).

    E' bello sapere che non siamo gli unici a coltivare simili reazioni. Michelle Kerns, su Examiner.com, ha messo in fila una ventina di aggettivi e formule sfruttatissimi dai recensori letterari. Variamente mescolati, producono un fai da te della critica, e volendo si può organizzare una tombola: vince il primo lettore che ne trova cinque nello stesso articolo. Perlopiù si tratta di parole che dicono e non dicono, fanno un gran polverone senza andar troppo nei dettagli, suggeriscono senza sbilanciarsi. “Provocatorio”, per esempio, si applica bene a tutto: vale per un romanzo che fa a pezzi l'etica come noi la conosciamo, ma anche per un romanzo che va controcorrente e celebra le virtù contadine. “Crudo” è appena meno maneggevole, presuppone un lettore adulto che non abbia un'idea consolatoria della letteratura e dei suoi dintorni. Ma basta accoppiarlo con “commovente” per riacchiappare i renitenti che vogliono affezionarsi ai personaggi. “Trascinante”, specialmente se il libro supera le trecento pagine, funziona come una bacchetta magica, e vale lo stesso per il neologismo “unputdownable”, impossibile da mettere giù (si intende: dopo aver letto le prime righe). “Attuale” fa da irresistibile calamita per chi legge i libri con l'intenzione di parlarne in società. Molto praticato anche il riferimento ad altri titoli di successo, che si suppone possano far scattare la scintilla: il “Codice da Vinci” ha aperto la strada a innumerevoli complotti universali, Philip Roth viene chiamato come garante appena un giovanotto ebreo debutta con il suo primo romanzo.

    Rifare l'esercizio con i risvolti e le recensioni
    italiane produce più o meno gli stessi risultati. In due orette di ricerca abbiamo trovato tutti gli aggettivi esposti al pubblico ludibrio da Michelle Kern, qualche volta anche fatto cinquina. E nello stesso tempo abbiamo collezionato un'altra serie nostrana di variazioni sul tema, perché si sa che i recensori americani scrivono per i lettori, e i recensori italiani invece scrivono per i colleghi. Poiché i risvolti spesso sono di mano dell'autore, il bottino comprende slogan più ricercati. “Lo sguardo” e “la voce”, presi singolarmente o in accoppiata e aggettivati nella maniera più varia, non figurano infatti tra i cliché anglosassoni. Da noi stanno in cima alla lista, assieme al “passato che ritorna” e al fatto che nessuna vicenda, sia essa gialla rosa oppure nera, vale mai per se stessa. E' sempre metafora di qualcosa: dalla solitudine cosmica dell'individuo allo stato fallimentare della nazione.
    “Sorprendente” compare in entrambe le liste, perché attrae parecchio e impegna pochissimo. “Divertente” non compare in nessuna delle due. Troppo diretto, troppo semplice, troppo preciso per prestarsi a equivoci, e c'è il rischio che lo scrittore si offenda per l'eternità. Meglio dire, in questi casi, “colto ed esilarante”.