La diffamazione
Gianni Letta è di vecchio stile andreottiano, se ne impipa, non replica, detesta le smentite, precisazioni, rettifiche. Il lavoro sporco e inutile di chiedere conto della diffamazione nei suoi confronti tocca a noi. Tempo addietro notammo un titolo di Repubblica in pagina interna, ma a tutta pagina: “Appalti, la rete di Letta”. Il testo dell'articolo diceva che il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, il presidente operativo, aveva informato Guido Bertolaso, capo del servizio di Protezione civile e suo collega sottosegretario, di una procedura di infrazione a Bruxelles sui lavori del G8.
Gianni Letta è di vecchio stile andreottiano, se ne impipa, non replica, detesta le smentite, precisazioni, rettifiche. Il lavoro sporco e inutile di chiedere conto della diffamazione nei suoi confronti tocca a noi. Tempo addietro notammo un titolo di Repubblica in pagina interna, ma a tutta pagina: “Appalti, la rete di Letta”. Il testo dell'articolo diceva che il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, il presidente operativo, aveva informato Guido Bertolaso, capo del servizio di Protezione civile e suo collega sottosegretario, di una procedura di infrazione a Bruxelles sui lavori del G8. Bertolaso gli aveva risposto che la cosa non riguardava gli appalti ma questioni ambientali, Letta aveva chiesto se il ministero dell'Ambiente fosse intervenuto a difesa, Bertolaso aveva detto che molti funzionari dell'epoca di Alfonso Pecoraro Scanio, predecessore ulivista della Stefania Prestigiacomo, erano ostili al governo e non avevano alcuna voglia di difenderlo, cose così, normali, routine conversativa decente e legittima, ovviamente intercettata e pubblicata, tra sottosegretari cui risaliva la responsabilità di organizzare il G8. Il titolo doveva essere: “Letta al lavoro per il G8”. Ma voi capite che “la rete di Letta” in fatto di appalti dava tutto un altro gusto alla notizia. Un gusto non troppo sottilmente diffamatorio.
Ci risiamo. Ieri la prima pagina di Repubblica tirava in ballo Letta con questo altro titolo: “Rai, nelle telefonate spunta Letta”. Sapete che gli appalti come scandalo sono un po' giù di corda, fanno notizia soltanto i ripetuti arcigni dinieghi opposti alle richieste di scarcerazione degli indagati né si intravedono per il momento malloppi, tangenti, manifestazioni di corruzione più concrete di varie raccomandazioni, familismi e altri gravi inestetismi di atmosfera consortile o combriccolare. Oggi, come sapete, si portano più gli scandali telecom e, novissimi, quelli nati dalle intercettazioni di Trani sulle pressioni del capo del governo nei confronti di un membro dell'Autorità delle comunicazioni. Berlusconi al telefono dovrebbe mettersi il bavaglio che vorrebbe mettere a Santoro in televisione, ma è anche vero che la sua avversione al conduttore che manda in onda la sua vita privata e le moleste calunnie di uno Spatuzza, oltre che prevedibile e perfino giustificabile, era nota e stranota. Per rafforzare il pacco, ecco dunque spuntare Letta nei nastri che determinano e fissano reputazioni e buon nome di ciascuno nel salottone degli intercettati.
L'articolo riferisce di Giancarlo Innocenzi, docile ma ineffettuale membro berlusconiano dell'Autorità, il quale, terrorizzato dai cicchetti brutali del Cav., si rivolge disperato a Letta e lo implora, “come ultima spiaggia”, di chiamare Corrado Calabrò, presidente dell'Authority, e di indurlo a offrire a Mauro Masi, direttore generale della Rai, il destro istituzionale per bloccare gli eversori di Annozero (e gli insulti a lui stesso del capo). Le due prime risposte di Letta sono grugniti indecifrabili, probabilmente un “che due palle”. Poi scatta un criminalissimo: “Proverò a cercarlo”. Non un: “Lo cercherò”, che già non sarebbe da ergastolo, ma un: “Proverò a cercarlo”, che per chi conosca il linguaggio di Letta vuol dire abbastanza chiaramente: “Non mi rompere più con questa storia”. Il titolo avrebbe dovuto essere, in un riquadrato a pagina cinque: “E Letta scansò il problema Innocenzi”. Invece è: “Rai, nelle telefonate spunta Letta”. Quello “spuntare” com'è promettente, radioso, albeggiante, originario, che gusto e retrogusto di imbroglio in incubazione lascia percepire al lettore, quanto è poco sottilmente diffamatorio. “Campagna di calunnie, spunta Ezio Mauro”: ma vi sembrano titoli di un giornale serio?
Qui sotto cerchiamo di capire quali possano essere le ragioni politiche di una simile scorrettezza, che smentisce tra l'altro un'epoca celebre di fair play del gruppo Espresso verso un Letta da sempre giustamente considerato collaboratore leale dell'Arcinemico ma forte di un suo codice personale inappuntabile, e ambasciatore, e mediatore inviso piuttosto a qualcuno dei “suoi” che non a quelli dell'altra parte, sempre considerati interlocutori affidabili, che ricambiano, di un discorso pubblico e privato mai sospeso nonostante il teatro della discordia e le sue leggi spettacolari. Ma a parte la politica, c'è la questione della serietà professionale, o almeno della credibilità. Repubblica maneggia armi pesanti, non è un giornalino di attacco e basta, una feuille de chou costruita sulla diffamazione sistematica della gente di palazzo. Non abbiamo niente da eccepire quando si scatena, nell'incandescente atmosfera elettorale, per di più, sulle intercettazioni di Trani, che danno molto da pensare e fanno molto ridere. Ma se Letta avesse stuprato in un parco una tigre siberiana, il titolo non avrebbe potuto essere più campeggiante, più duro, più linciatorio: “Stupri di animali, spunta il nome di Letta”. Leggere poi nel pezzo che il sottosegretario stava giocando con il gatto di pezza di un nipotino sarebbe stato traumatico e anche risibile parecchio. O no?
Il Foglio sportivo - in corpore sano