Il grande business della salute
Campagna elettorale? Tolti i guai quotidiani di Berlusconi con la magistratura, i pasticci i decreti i pronunciamenti sulla presentazione delle liste, le liti tra gli esponenti dei due schieramenti, le ormai malinconiche adunate simil oceaniche a sostegno non si capisce bene di quali programmi per le regioni da una parte e dall'altra, che resta da annotare? Quel poco, quel pochissimo di contenuto che ha fatto capolino qua e là ha riguardato esclusivamente la sanità. Sia perché si continua a finire in carcere per faccende che allignano in quest'ambito, vedi l'ex vicepresidente della Puglia Frisullo, sia perché i soli accenni dei politici a temi concreti è sempre lì che vanno a parare.
Campagna elettorale? Tolti i guai quotidiani di Berlusconi con la magistratura, i pasticci i decreti i pronunciamenti sulla presentazione delle liste, le liti tra gli esponenti dei due schieramenti, le ormai malinconiche adunate simil oceaniche a sostegno non si capisce bene di quali programmi per le regioni da una parte e dall'altra, che resta da annotare? Quel poco, quel pochissimo di contenuto che ha fatto capolino qua e là ha riguardato esclusivamente la sanità. Sia perché si continua a finire in carcere per faccende che allignano in quest'ambito, vedi l'ex vicepresidente della Puglia Frisullo, sia perché i soli accenni dei politici a temi concreti è sempre lì che vanno a parare. Casini, commentando le attività del premier e le controattività degli altri, ha annotato, papale: “Si preoccupassero di vedere se e dove funzionano gli ospedali nelle regioni dove si va a votare”. E che dire allora del centrosinistra toscano che confina il clou della campagna elettorale, il confronto tra il candidato alla presidenza della regione Enrico Rossi e il segretario del Pd Pier Luigi Bersani, in una saletta da 290 posti sotto un cartellone a parete intera e tutte maiuscole che recita “Prima di tutto la salute”, neppure si fosse trattato di un convegno della Sim, Società italiana di medicina?
Gli ospedali, la salute. Tutto il resto, per dirla con Califano, è noia. Quando non hai idee è lì che devi buttarti. E' una vecchia regola, dicono che funzioni. Andassero allora tutti a imparare, i nostri politici, dal mitico don Verzé, mi vien da dire, instancabile propagandista full time della vita fino a 120 anni per tutti (più cristiano di così), purché ipercontrollata scientificamente medicalmente e pure geneticamente in via preventiva (non lo dico io, è la traduzione alquanto bonaria del pensiero e delle parole di don Verzé). E del resto, ed è tutto meno che un caso, c'è grandissima assonanza, per esempio, tra un Nichi Vendola (un tipo che chiudi gli occhi e ti sembra di sentire i predicatori millenaristici d'altri tempi) e don Verzé. Il primo ha messo in ballo 120 milioni di euro per il San Raffaele del Mediterraneo, il secondo dice che, votasse in Puglia, voterebbe Vendola, grande sensibilità, grande cultura. Un supporter di primissimo piano di Berlusconi può parlare così alla vigilia del voto? Altroché se può, quando in ballo ci sono soldi, ospedali e megalomania sanitario-biomedica. E tutti zitti come topi, anzi. A incavolarsi sono rimasti, io non credevo che esistessero neppure più, i Proletari comunisti (Pcm la sigla del partito e tanto di falce e martello stile Cominform su bandiera sventolante) che ci vanno giù duro e, posso dirlo?, mica tanto a sproposito. Definiscono don Verzé “il vero signore della sanità privata” e il progetto di Ospedale del Mediterraneo di Taranto, “un investimento che consente al S. Raffaele di mettere le mani sulla sanità pugliese, approfittare dello sfascio e della corruzione di Tarantini e company per sostituirla con un rimedio peggiore del male”. Che il rimedio sia peggiore del male non è dato sapere e sembra anche piuttosto improbabile, visto il male, ma è un fatto: don Verzé è il vero principe della sanità privata, al suo confronto i tanti imprenditori del settore appaiono dilettanti arruffoni allo sbaraglio. Sarà la protezione dello Spirito Santo, ma se si eccettua lo stop che ha dovuto incassare a Roma, quando di traverso si mise nientemeno che Rosy Bindi, i progetti di don Verzé camminano sicuri e, compatibilmente con un paese dai tempi peggio che lunghi qual è il nostro, spediti.
Ma sì, proprio lei, il ministro della Sanità del primo governo Prodi, che nel 1999 varò un progetto di riforma che secondo il parere di molti (e anche di chi scrive ) è il solo vero progetto riformatore dopo la legge 833, quella che nel 1978 istituiva il Servizio sanitario nazionale. Né ci si deve meravigliare della scarsa stima che l'ex ministro e attuale presidente del Pd nutre da sempre per don Verzé. La prima ha infatti sempre agito, tutto l'opposto di quel che ha fatto il secondo, in nome del primato del pubblico nella sanità. L'impianto della sua riforma si ancorava – ma questo è solo un mio giudizio, va da sé – attorno a tre necessità relativamente nuove: (a) stabilire livelli essenziali (ma non minimi, chiariva allora il ministro) di assistenza, uguali per tutte le regioni, da individuare nel Piano sanitario nazionale, che diventava così lo strumento di una effettiva programmazione sanitaria; (b) far funzionare l'accreditamento di strutture/servizi privati come una leva della programmazione pubblica, da manovrare a seconda delle reali esigenze e manchevolezze della rete dei servizi sanitari, e dunque del tutto fuori da una logica di competizione pubblico-privato, come invece l'aveva piuttosto concepito il centrodestra con il ministro De Lorenzo (e come viene ancora oggi pensato per esempio in Lombardia); (c) e infine modificare nel profondo il punto più delicato di tutto il servizio sanitario, ovvero il rapporto di lavoro dei medici, chiamandoli a una scelta esclusiva: di qua, nel pubblico, o di là, nel privato. Ma garantendo al tempo stesso, per chi avesse fatto la scelta delle strutture pubbliche, più adeguate retribuzioni e la possibilità di svolgere attività libero-professionale in quelle stesse strutture.
Progetto non in tutto felice ma senz'altro ambizioso e competente, quello di Rosy Bindi non poteva tuttavia funzionare, ben che andasse, che per metà. I livelli essenziali di assistenza sono poco più di un'invenzione propagandistica, se lasciati alla teoria: una volta stabiliti ci sono mille e un modo, nelle regioni, per aggirarli, infischiarsene, svuotarli di significato. L'accreditamento delle strutture/servizi privati, a dispetto di tutti gli indirizzi di programmazione, segue logiche perverse e rappresenta la vera fonte del malcostume, quando non infrequentemente il terreno di coltura della corruzione. La scelta di qui o di là dei medici è stata pagata piuttosto cara, con una commistione di attività pubblica e attività professionale intra moenia nella quale la prima sollecita la seconda e la seconda si riverbera, condizionandola, sulla prima.
E tuttavia è vero, dopo il tentativo bindiano non c'è stato più niente dello stesso respiro e che si muovesse in un orizzonte altrettanto ambizioso. A parte programmi e leggi settoriali, si è vivacchiato, lasciando che il sistema trovasse più o meno spontaneamente i suoi equilibri all'interno di budget prestabiliti, ma pur sempre crescenti più dei budget degli altri servizi pubblici. Col risultato che di tutto si può parlare meno che di Servizio sanitario nazionale e che le distanze tra i diversi Servizi sanitari regionali non hanno fatto che aumentare anno dopo anno sotto tutti gli aspetti. Anche sotto quello della corruzione, oltre che relativamente all'efficienza e al rispetto dei vincoli di bilancio. Il sud è stato, sanitariamente parlando, letteralmente decimato. Non c'è regione che non sia stata o commissariata dal governo, per debiti accumulati, o messa sotto inchiesta dalla magistratura per malversazioni, corruzioni/concussioni, affari nient'affatto puliti. Quanto resterà di tutto questo trambusto, a onor del vero, è tutto da vedere: l'ex presidente della regione Abruzzo, Ottaviano del Turco, sembrava avere già la corda al collo, quando lo trassero in galera, ma ne è uscito e quella corda tutto sembra, oggi, meno che robusta. Eppoi Napoli e Calabria, Lazio e Puglia, lambita più volte la stessa Lombardia. Non c'è che l'imbarazzo della scelta. Quasi sempre ci sono di mezzo i rapporti coi privati, quando scoppia lo scandalo. Il punto è che nella sanità pubblica italiana i privati hanno mille spazi in cui la loro opera è richiesta, ma anche mille modi per inserirvisi e mille pieghe in cui nascondersi. Perché la sanità pubblica italiana è uno straordinario moltiplicatore di affari privati, una roba che Keynes non avrebbe mai e poi mai potuto neppure immaginare fosse vissuto mille anni. Ci sono le grandi industrie, da quelle farmaceutiche a quelle degli apparecchi biomedicali, specifiche del settore, ma ce ne sono un'infinità di altre, come quelle di computer ed elettroniche, di ingegnerizzazione dell'informazione e di robotica, che nella sanità trovano sempre maggiori possibilità di applicazioni, lavoro, affari. In realtà i confini tra il mondo della sanità, e più generalmente ancora della salute, e il mondo tout court si vanno non semplicemente rimodellando, ma incessantemente assottigliando: e non è il mondo a entrare nella sanità, ma la sanità a entrare nel mondo e occuparlo. La salute, il desiderio di salute, è senz'altro uno dei principali, se non il principale, motore dello sviluppo economico-produttivo dell'occidente, e uno dei cardini, se non il cardine per eccellenza, dei consumi, dei comportamenti, dei modi di essere e di sentire dei popoli occidentali. Se anche soltanto ipotizzassimo un mondo senza malattia, e dunque senza più il desiderio e la spinta alla salute, l'occidente appassirebbe, regredirebbe, sprofonderebbe nell'afasia e nel declino.
L'occidente non può sopravvivere senza malattia. A tal punto questo è vero che deve inventarsela quando non c'è o non ce n'è abbastanza, quando non è così diffusa o quando ha un grado complessivo di pericolosità non sufficientemente elevato. Commentando il rapporto sullo stato di salute della popolazione italiana si è arrivati a dire che, siccome nell'ultimo anno la vita media delle donne italiane, che si avvicina agli 85 anni, non è cresciuta ancora, “ciò crea grossi problemi”.
Su questo terreno così profondamente emotivo ogni incursione che proclami di essere fatta a fin di bene trova porte aperte, anche se non serve a nulla, perfino se è dannosa. E' un terreno di illusioni e promesse per tutti, e allora sotto a chi tocca. Non viene premiato tanto chi è capace di ottenere e documentare risultati migliori, una maggiore efficacia, ma chi promette di più e, in fin dei conti, anche chi le spara più grosse. Perché un tale mega sistema, ed è di questo che le competenti autorità dovrebbero soprattutto preoccuparsi, non è capace di una reale autovalutazione, e dunque di operare una meditata e fondata selezione tra una vera e propria ressa di servizi e attività che si presentano, tutti, all'insegna dell'urgenza e della indispensabilità. La sanità è così diventata il vero regno dei piazzisti moderni, nel quale non bisogna tanto saper fare quanto sapersi vendere.
Succede così che per correre dietro a chi si sa vendere non si trovi il tempo di fare le cose più essenziali, anche quando sono state individuate a regola d'arte. Per esempio, il Piano sanitario regionale 2008-2010 della regione Puglia nel capitolo dedicato alla salute delle donne recita: “Nella nostra regione il Consultorio familiare non ha inciso nella promozione della salute di genere perché poco conosciuto dalla popolazione, con dotazioni organiche insufficienti o mal distribuite, con sedi inadeguate e di difficile individuazione, con risorse strumentali carenti, privo di strategie di intervento, scollegato dalle altre strutture territoriali e ospedaliere”. Hai detto nulla. Risultato: un maggiore indice di abortività da quando è stato legalizzato l'aborto e il 52 per cento di aborti eseguiti in case di cura convenzionate, un record che ha dell'incredibile se si pensa che si concentra in Puglia quasi la metà di tutti gli aborti fatti in Italia in case di cura private. Ma il profetico Nichi Vendola – che a furia di spingere lo sguardo all'infinito e oltre, come proclamava Buzz Lightyear in “Toy story”, finisce per perdere di vista anche quello che ha sotto il naso – si fionda sul San Raffaele del Mediterraneo, vuoi mettere?
Tanto a che servono i piani sanitari se nessuno si prende neppure la briga, magari a cominciare dall'assessore al ramo, di andarseli a leggere – anche in quanto, sia detto a giustificazione dei non lettori, pressoché illeggibili? Ma poi, ammettiamolo, che te ne fai di piani sanitari regionali dove trovi stipato di tutto, ma proprio di tutto, e per ogni tassello del tutto trovi affiancata la sua bella ricetta teorica (la pratica è una questione un tantino diversa), declinata un punto via l'altro a mo' di tavole dei dieci comandamenti?
Cosicché ti capita di imbatterti pure nel capitolo intitolato nientemeno che “Health technology assessment e biotecnologie” nel quale si afferma che “I criteri [relativi alle priorità delle biotecnologie] saranno ispirati a queste tre dimensioni:
– magnitudo dell'impatto sulla salute della popolazione;
– impatto sul workload e sull'organizzazione dei servizi sanitari;
– impatto sulle finanze del Servizio sanitario regionale.
Applicando i criteri definiti, le biotecnologie individuate come potenzialmente rilevanti sono:
– vaccini anti Hpv, anti meningococco e anti pneumococco;
– utilizzo dei test molecolari nei programmi di screening (Hpv, Dna fecale, P16 ecc.);
– marcatori di rischio genetico;
– farmaci biologici nei malati cronici;
– tecniche di procreazione;
– terapia genica”.
Fine. Ed è come dire nulla, zero. Consigli per la vendita, artifici retorici, aria fritta. E se nel Lazio pensassero a come guardare all'organizzazione dei servizi essenziali, per vedere di farne godere a tutti senza dover aspettare la fine dei tempi? E sì che hanno un servizio epidemiologico niente male e che sforna indicatori a tutto spiano. Gli servissero a qualcosa.
Ma che, così come sono concepiti, i piani sanitari regionali finiscano non tanto per indirizzare, stabilendo precisi obiettivi e risultati, i servizi e le reti dei servizi, quanto per consentire a qualsivoglia soggetto di potercisi intrufolare per vedere di ricavarci qualcosa, lo dimostrano anche le tante formulazioni retoriche di difficile decifrazione, neppure fossero geroglifici, di cui sono infarciti. Ne prendiamo una, dal piano della Lombardia, tratta dal paragrafo dall'impegnativo titolo “La prevenzione: il rilancio sulla base dell'evidenza scientifica”. Eccola: “Il potenziamento della programmazione delle attività di prevenzione appare lo strumento efficace con il quale guidare il processo di revisione degli interventi di prevenzione oggi erogati. Vanno quindi privilegiati gli interventi e le azioni previsti e consolidati in specifici programmi e piani appositamente definiti, non sottovalutando comunque il ruolo e l'efficacia di norme previste a garanzia della salute collettiva”. Circonvoluzioni complicate come quelle cerebrali per significare che occorre rafforzare quel che già si sta facendo. E se pensate che ho decontestualizzato apposta per depistare il lettore sbagliate di grosso. L'insieme è molto peggio.
Il Foglio sportivo - in corpore sano