Guerra non finita

Così Medvedev ha sbagliato la svolta strategica nel Caucaso

Luigi De Biase

Le due esplosioni di ieri nella metropolitana di Mosca sono un grosso problema per il presidente russo, Dmitri Medvedev, e per il suo potente premier, Vladimir Putin. Arrivano dopo la vittoria rachitica alle elezioni amministrative e le proteste contro il governo scoppiate – e soppresse – nella capitale dieci giorni fa. I servizi segreti seguono la pista che porta in Cecenia e non potrebbe essere diverso: i ribelli islamici hanno già colpito in questa maniera e nessun altro gruppo pare in grado di arrivare al cuore del potere russo con la stessa follia e potenza.

    Le due esplosioni di ieri nella metropolitana di Mosca sono un grosso problema per il presidente russo, Dmitri Medvedev, e per il suo potente premier, Vladimir Putin. Arrivano dopo la vittoria rachitica alle elezioni amministrative e le proteste contro il governo scoppiate – e soppresse – nella capitale dieci giorni fa. I servizi segreti seguono la pista che porta in Cecenia e non potrebbe essere diverso: i ribelli islamici hanno già colpito in questa maniera e nessun altro gruppo pare in grado di arrivare al cuore del potere russo con la stessa follia e potenza. Medvedev ha incontrato ministri e consiglieri poche ore dopo l'attacco e ha detto che il governo “schiaccerà il terrore”. Putin, che era in Siberia quando la metro saltava per aria, è stato ancora più duro: “Come sapete, oggi è stato compiuto un crimine enorme contro civili innocenti – ha detto – Sono sicuro che le nostre agenzie faranno di tutto per punire i criminali. I responsabili saranno eliminati”. Il Caucaso tormenta la Russia da quindici anni. Putin è salito al Cremlino nel 2000 promettendo di dare la caccia ai terroristi “anche nel buco del cesso”. Un periodo di pace ha convinto lui e Medvedev a sospendere una parte delle operazioni militari per aiutare l'economia della regione, ma il ritorno dei kamikaze nelle strade di Mosca mette in dubbio il cambiamento di strategia promosso negli ultimi mesi.

    Una svolta attribuita soprattutto al presidente Medvedev. Un anno fa, sulla base di rapporti delle autorità locali, ha deciso di ritirare ventimila uomini dalla Cecenia. Da allora gli attacchi contro gli obiettivi russi sono letteralmente raddoppiati e l'ascesa di un nuovo leader, Dokka Umarov, ha riportato i kamikaze sulla scena. C'è l'intervista a un ufficiale russo uscita nelle ultime settimane su alcuni bollettini che circolano negli ambienti delle forze armate che l'esercito subisce attacchi ogni giorno, “esattamente come accadeva prima”, e che le armi dei soldati sono poche e vecchie.

    I problemi non riguardano soltanto la Cecenia: il fronte della guerriglia islamica comprende tutta la regione, dalla Circassia al Daghestan, i ribelli sono diventati forti e sicuri quanto basta per colpire il presidente ingusceto e la caserma più importante di questa piccola Repubblica. Un paio di mesi fa, Medvedev ha affidato la guida del Caucaso a un nuovo governatore, Alexandr Khloponin. Un industriale con una grande esperienza nel mondo delle materie prime, ma forse la persona meno indicata per affrontare i terroristi di Umarov.

    Non è lui, tuttavia, il problema. L'attacco alla metropolitana di Mosca è il nuovo fallimento dei servizi segreti. I terroristi hanno colpito nel loro cortile di casa, alla stazione della Lubianka, la vecchia centrale del Kgb. E' il secondo grande attentato sul territorio russo nel giro di pochi mesi. Alla fine di novembre, una bomba ha fatto deragliare il Levski Express, un treno veloce che collega Mosca a Pietroburgo, uccidendo 40 persone. Le indagini sono terminate poche settimane fa, quando le forze speciali hanno catturato (morto) un certo Sayyed Buryatsky dopo una lunga battaglia al bordo tra la Cecenia e l'Ossezia del Nord. Per gli investigatori, Buryatsky era la mente dell'attacco al treno: i giornali lo hanno chiamato “Bin Laden russo”, un'etichetta lusinghiera per un fanatico trentenne noto più per le prediche, che per l'abilità con gli esplosivi. Altre operazioni militari potrebbero partire nelle prossime ore, ma gli analisti si chiedono se il Cremlino possa fare più di quanto fatto sinora. Da giorni l'esercito circonda i fortini dei ribelli nel Daghestan, eppure Mosca è finita sotto attacco.

    I terroristi ceceni non seguono le scadenze della politica russa, quindi nessuno si meraviglia se hanno colpito ora anziché due settimane fa, quando milioni di cittadini erano alle urne per le amministrative. Gli attentati ricordano spesso anniversari importanti per la guerriglia e ne sono caduti almeno due negli ultimi dieci giorni: il 21 marzo del 2009 l'esercito ha portato a termine una operazione antiterrorismo nel Daghestan, che è costata la vita a 21 persone. Il 26 marzo del 2000 Vladimir Putin è stato eletto per la prima volta presidente della Federazione russa. Oggi ha pochi motivi per celebrare la ricorrenza.