La resa irrevocabile al dolore, la speranza irresistibile nella libertà
Interessante coincidenza: nel racconto ‘Un curioso suicidio' Patricia Highsmith sostiene che l'essere umano sa darsi la morte quando le linee della vigliaccheria e del coraggio si incontrano formando l'angolo giusto”. L'annotazione, datata 22 gennaio, è di Roberta Tatafiore, morta suicida per avvelenamento un anno fa. Lei, quell'angolo giusto lo ha misurato, cercato e costruito lungo tutti, o quasi, i sessantacinque anni della sua vita. Ed è insieme consolante e disperante la lettura del diario che Roberta ha tenuto da gennaio all'inizio di aprile 2009, mentre curava nei dettagli la propria uscita dalla vita.
Interessante coincidenza: nel racconto ‘Un curioso suicidio' Patricia Highsmith sostiene che l'essere umano sa darsi la morte quando le linee della vigliaccheria e del coraggio si incontrano formando l'angolo giusto”. L'annotazione, datata 22 gennaio, è di Roberta Tatafiore, morta suicida per avvelenamento un anno fa. Lei, quell'angolo giusto lo ha misurato, cercato e costruito lungo tutti, o quasi, i sessantacinque anni della sua vita. Ed è insieme consolante e disperante la lettura del diario (lo ha appena pubblicato Rizzoli, si intitola “La parola fine” e sarà in libreria mercoledì prossimo) che Roberta – femminista della prima ora, giornalista, studiosa della società e coraggiosa antropologa di se stessa – ha tenuto da gennaio all'inizio di aprile 2009, mentre curava nei dettagli la propria uscita dalla vita.
E' consolante, perché fino all'ultimo Roberta è se stessa, con la sua intatta capacità di autoanalisi, con il suo senso critico vittorioso su ogni conformismo, anche su quello della retorica sulla “libertà di morire”. Roberta è ancorata alla vita anche nel momento in cui sembra già guardarla da un altro mondo. Quel diario è anche straziante, esattamente per gli stessi motivi, e perché della consapevolezza di chi lo ha scritto fa parte la certezza di non poter salvare da una grande sofferenza chi le vuole bene.
“Nella vita di Roberta Tatafiore – scrive nella presentazione Daniele Scalise, uno dei quattro amici ai quali lei spedì il diario prima di uccidersi – vi sono molti elementi ordinari e straordinari: l'amore e la passione, il femminismo, la politica e la scrittura, il giornalismo, ma soprattutto la ricerca inarrestabile per ‘la verità che rende liberi', come ogni tanto ripeteva senza enfasi”. La verità di Roberta, a voler raccogliere con la cura che meritano le sue parole, è l'irrevocabile resa alla sofferenza che l'accompagna fin da bambina. Lo racconta lei stessa (senza enfasi, appunto), in un esercizio di scavo a volte sovrumano, mentre descrive i motivi (paure, circostanze, lutti, come la morte violenta del padre) che le hanno “appiccicato” all'anima la prossimità al suicidio “come un velo di cipolla”.
C'è un'altra cosa consolante e straziante, nell'esercizio di geometria che ha avvicinato Roberta all'“angolo giusto”. E' la percezione di come lei abbia voluto anticipare i pensieri, i dubbi, la rivolta di chi lo avrebbe letto. E' lei a chiedersi se “il campo minato di bugie” sul quale cammina per depistare amici e parenti, prima di darsi la morte, “non sia che un trucco della mente inventato apposta per essere scoperta. In questo caso dire tutte queste panzane può essere un modo surrettizio per sfidare proprio coloro che tengo lontani a occuparsi di me. E per ordire a loro danno un ricatto postumo: ‘Non vi siete accorti di niente, e così mi sono ammazzata'. Che orrore. Spero che il mio inconscio non sia così persecutorio come ora mi appare. D'altra parte: c'è risentimento e rabbia nel suicidio” (16 gennaio). E' ancora lei a parlare “dell'autoinganno insito nel suicidio stesso”, perché “nel gesto del suicida c'è l'estremo tentativo di riaccostarsi al mondo e di salvare la propria immagine nel mondo” (23 gennaio). Ed è sempre lei a notare che “la condizione di moritura può anche essere fonte di piacere, un piacere sottile come un'ostia che si insinua nei pensieri di libertà” (9 marzo).
Prima, a febbraio, le pagine del diario si concentrano sulla vicenda di Eluana Englaro, contesa “da un'indecente scommessa tra chi si accaparrerà per primo il suo simulacro: i politici che la vogliono tenere in vita o i medici impegnati da suo padre a farla morire” (7 febbraio). In uno dei suoi ultimi articoli sul Secolo d'Italia (raccolto in appendice del libro con altri usciti sul sito donnealtri.it), Roberta rimpiangeva “il luogo e il tempo in cui l'accabadora assicurava nella totale privatezza la morte senza agonia”. Diffidava del “monopolio statale sull'eutanasia”, lei che aveva creduto di poter trovare nell'associazione svizzera Dignitas un surrogato dell'accabadora (ma aveva rinunciato, nel timore di non essere considerata idonea al suicidio assistito nel colloquio con lo psichiatra). Il 16 marzo, dopo una giornata passata con “l'amica-che-sa”, scarica dal sito del Vaticano il Cantico dei Cantici e poi scrive: “Hanno capelli belli come lana di capra, le spose del Cantico; godono di una verginità sapiente che le aiuta a non separarsi da sé”. Non separarsi da sé: questa era Roberta.
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