La Lega conta

Alessandro Giuli

Nessuno può rimproverare alcunché a Gianfranco Fini e alla destra organica al Pdl quando lamentano che non deve essere la Lega a “dettare l'agenda” di governo e quella delle riforme. Come la leadership, anche l'egemonia politico-culturale di una coalizione è sempre contendibile. Altro discorso va fatto invece sulle motivazioni, diremmo quasi sulle movenze un po' scomposte – “non vogliamo morire leghisti” – adottate da alcuni finiani per indicare nella Lega ciò che la Lega non è più (se mai lo è stata). Vale a dire un malanno stagionale della politica italiana condensatosi in un partito al limite della soglia di tolleranza costituzionale.

    Nessuno può rimproverare alcunché a Gianfranco Fini e alla destra organica al Pdl quando lamentano che non deve essere la Lega a “dettare l'agenda” di governo e quella delle riforme. Come la leadership, anche l'egemonia politico-culturale di una coalizione è sempre contendibile. Altro discorso va fatto invece sulle motivazioni, diremmo quasi sulle movenze un po' scomposte – “non vogliamo morire leghisti” – adottate da alcuni finiani per indicare nella Lega ciò che la Lega non è più (se mai lo è stata). Vale a dire un malanno stagionale della politica italiana condensatosi in un partito al limite della soglia di tolleranza costituzionale. Certo la tribù di Bossi conserva ancora alcuni stilemi un po' selvatici (ma è quasi tutta scena) e ha una sua metrica espressiva così elementare da sembrare rozza. Fatto sta che la Lega, vista con gli occhi essenziali del realismo, ha voti e consensi generalisti sedimentati, governa nelle regioni di frontiera dell'identità italiana (il Piemonte sabaudo e il Veneto redento con la Grande guerra), guida fra gli altri il ministero dell'Interno e lo fa con l'eccellente Roberto Maroni come quasi mai in passato.

    Di fronte all'evidenza della normalità, si può controbilanciare l'egemonia leghista sui temi che un tempo erano alimento elettorale della destra (sicurezza e identità) o si può sperare d'incardinare il Carroccio alle sue più alte responsabilità nazionali. Ma di sicuro non ha senso imitare i centristi dell'Udc che nella loro bolla d'irrilevanza propalano una padanofobia disancorata dal dato di realtà. Quel dato che si finisce per smarrire a forza d'indignarsi per i pranzi del lunedì tra il Cav. e Bossi, quasi fossero l'appuntamento di due figure anomale. E poi attenzione: imbracciata l'unità di misura della convenzionalità, come non ammettere che il centrodestra è formato dalla combinazione di un imprenditore extrapolitico (il Cav.), di un movimento regionalista (la Lega) e di un partito già neofascista? Tre anomalie.