La partita americana di Benedetto XVI

Paolo Rodari

E' negli Stati Uniti che il Vaticano sta giocando la partita più difficile sui preti pedofili. Da una parte deve difendersi da due corti federali, quella dell'Oregon e quella del Kentucky, che hanno aperto un procedimento contro il Papa per alcuni casi di abusi su minori commessi da preti – a ore è atteso il pronunciamento della Corte suprema degli Stati Uniti in merito al ricorso che il Vaticano ha presentato in Oregon – dall'altra deve sostenere i vescovi delle varie diocesi stretti tra il crescere delle denunce di abusi su minori commessi da preti.

    E' negli Stati Uniti che il Vaticano sta giocando la partita più difficile sui preti pedofili. Da una parte deve difendersi da due corti federali, quella dell'Oregon e quella del Kentucky, che hanno aperto un procedimento contro il Papa per alcuni casi di abusi su minori commessi da preti – a ore è atteso il pronunciamento della Corte suprema degli Stati Uniti in merito al ricorso che il Vaticano ha presentato in Oregon – dall'altra deve sostenere i vescovi delle varie diocesi stretti tra il crescere delle denunce di abusi su minori commessi da preti, il fuoco che la stampa alimenta su tali denunce, e le richieste di risarcimento presentate dalle vittime o dai loro parenti che si fanno sempre più significative. Un maelström: i giornali alimentano i sospetti, l'opinione pubblica si allinea a questi sospetti, e per gli studi legali delle vittime è facile ottenere dei risarcimenti.

    Al problema dei processi in corso in Oregon e Kentucky, il Vaticano sta rispondendo coi suoi legali. Alla seconda questione è stato invece Benedetto XVI a rispondere personalmente, dando un segnale non trascurabile. E' di ieri infatti la notizia della nomina di un presule dell'Opus Dei, il messicano José Gomez, a vescovo coadiutore di Los Angeles. Tra dieci mesi, quando il cardinale Roger Mahony compirà 75 anni, sarà Gomez a prendere il suo posto, e dunque a guidare una delle diocesi statunitensi che più di altre ha pagato, anche in senso letterale, lo scandalo dei preti pedofili: Mahony ha sborsato più di seicento milioni di dollari per risarcire le vittime. Per farlo, ha svenduto gli immobili di proprietà della diocesi creando non pochi malumori nel clero locale e nei fedeli. Tanto che in molti gli contestano una linea troppo soft nella gestione degli scandali: perché un conto è risarcire le vittime, un altro è dilapidare un patrimonio senza valutare a dovere se le denunce si riferiscono ad abusi effettivamente avvenuti. Da una parte Mahony ha pagato per ogni denuncia. Dall'altra ha fatto poco per prevenire il fenomeno. E' vero, nel 2005 ha provato a giocare d'anticipo: ha mandato al New York Times i dossier riservati riguardanti gli oltre cento preti di Los Angeles accusati di pedofilia. Il quotidiano newyorkese ha lodato la sua volontà di trasparenza, e ha pubblicato ogni cosa. Ma poi ha continuato ad attaccare la diocesi, contribuendo ad alimentare i sospetti contro i preti.

    In Vaticano le perplessità per il modo con cui Mahony ha gestito gli scandali non sono poche. Tanto che sembrano aver influito sulla scelta del suo successore. Perché è opinione comune che gli abusi verificatisi nella California meridionale non siano più gravi di quelli denunciati in altre parti del paese. E che, per questo motivo, la risposta della diocesi americana è stata esagerata: e altro non ha fatto che provocare un effetto valanga. Come Los Angeles, moltissime altre diocesi sono state sommerse da denunce per fatti verificatisi anche più di cinquant'anni fa.
    La nomina di Gomez è un segnale chiaro che Ratzinger ha deciso di dare. Tant'è che ieri molti siti web dei principali media statunitensi annunciavano l'arrivo di Gomez così: “A conservative bishop for Los Angeles”. L'attesa era tanta. Tutti aspettavano di vedere quale direzione il Papa avrebbe voluto prendere. Se dare una nomina di continuità con Mahony, uno dei cardinali ritenuti più liberal degli Stati Uniti. Oppure se cambiare registro.

    Gomez è senz'altro una scelta di discontinuità. Ed è un nome che farà molto parlare di sé in futuro. Leader dei cattolici ispanici americani – nel 2005, quando era arcivescovo di Sant'Antonio, venne nominato dal Time Magazine tra i più influenti ispanici degli Stati Uniti – deve molto al periodo in cui ha collaborato come ausiliare dell'arcivescovo di Denver Charles Chaput. Questi ha lavorato per “sponsorizzarlo” a Roma. Ma molto ha fatto per lui anche il cardinale Justin Francis Rigali, arcivescovo di Philadelphia, tra i più influenti cardinali statunitensi. Dopo l'insediamento diverrà cardinale, e il suo peso nel mondo ispanico non sarà secondario in caso di conclave. E' vero, Gomez era in una terna di nomi presentata al Papa non senza il consenso di Mahony. E ciò significa che, nonostante le divergenze, qualche punto in comune i due presuli ce l'hanno. Tra questi c'è senz'altro la questione immigrazione. E cioè la necessità di non sottovalutare la spinta e l'impulso che gli immigrati possono dare al paese e al suo cattolicesimo. Sono i cattolici ispanici a unire con maggiore forza le due Americhe. I dati sono noti e sono il frutto di più ricerche pubblicate negli Stati Uniti negli ultimi mesi: più di due terzi dei latinos nel paese, il 68 per cento, sono cattolici. La loro presenza non può essere trascurata. Anche per questo il Papa ha scelto Gomez. Per questo, e per dare una svolta alla gestione del clero nella diocesi.