Ma davvero ci conviene mollare le odiate atomiche di casa?

Luigi De Biase

Un anno fa, durante un discorso al castello di Praga, Barack Obama ha lanciato una grande sfida ai paesi della Nato e ai partner come la Russia: cancellare le armi nucleari e mettere fine alla “mentalità da Guerra fredda”. Domani, il presidente americano torna nella capitale ceca per il nuovo accordo sulla riduzione delle armi atomiche, conosciuto con la sigla Start. Con lui c'è il capo del Cremlino, Dmitri Medvedev: insieme, rappresentano i due paesi che possiedono gli arsenali atomici più importanti del pianeta.

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    Un anno fa, durante un discorso al castello di Praga, Barack Obama ha lanciato una grande sfida ai paesi della Nato e ai partner come la Russia: cancellare le armi nucleari e mettere fine alla “mentalità da Guerra fredda”. Domani, il presidente americano torna nella capitale ceca per il nuovo accordo sulla riduzione delle armi atomiche, conosciuto con la sigla Start. Con lui c'è il capo del Cremlino, Dmitri Medvedev: insieme, rappresentano i due paesi che possiedono gli arsenali atomici più importanti del pianeta. Molti sostengono che questo sia il primo, vero successo di Obama in politica estera, altri pensano che l'intesa penalizzi i migliori alleati dell'America. In Iran, le centrali continuano a produrre uranio arricchito e l'esercito testa missili in grado di colpire Israele e l'Europa. In Corea del nord, il regime chiude le porte dei siti sospetti ai commissari dell'Onu. Forse è il momento meno opportuno per rinunciare alla supremazia nucleare.

    Il Trattato di Praga prevede che gli Stati Uniti e la Russia
    riducano i loro arsenali del trenta per cento nei prossimi sette anni. I dettagli dell'accordo saranno pubblici nei prossimi giorni, ma è possibile che Obama decida di tagliare il numero di testate distribuite in Europa. Una delle ricerche più accurate sul punto è stata eseguita nel 2005 da un think tank americano, il Natural Resources Defence Council (Nrdc). Nel Vecchio continente ci sono 200 bombe B61, ordigni costruiti nei laboratori di Los Alamos nel Nuovo Messico a partire dagli anni Sessanta. Si trovano in Italia, Germania, Francia, Olanda, Inghilterra, e Turchia, sono nelle basi Nato o sotto la custodia degli alleati, che le dovrebbero consegnare agli americani in caso di necessità. Gli analisti di Nrdc dicono che l'Italia ospita novanta bombe: un deposito è nella base di Aviano, presso il quartier generale della 31esima Fighter Wing, l'altro a Ghedi, in provincia di Brescia. In Belgio, il governo ha fatto sapere che presenterà al più presto una mozione alla Nato per chiedere ai paesi del Vecchio continente di restituire le ultime B61 rimaste sul territorio europeo. In Turchia, questa ipotesi solleva un dibattito piuttosto ampio. Il quotidiano Zaman dice che l'operazione dovrebbe ottenere il consenso di tutte le parti in causa: “Niente atti unilaterali”. Alla base di Incirlik, tre ore d'auto dal confine con la Siria, ci sono novanta testate. La loro presenza, sostengono alcuni rappresentanti del governo, serve come deterrente verso altri paesi della regione.

    Il premier turco, Recep Tayyip Erdogan, ha difeso in molte occasioni il programma atomico dell'Iran, ma non sarebbe affatto felice di avere gli arsenali vuoti e un vicino imprevedibile munito di armi nucleari. “Non sappiamo ancora se l'Iran oltrepasserà la soglia – dice al Foglio Mustafa Kibaroglu dell'Università Bilkent di Ankara – Se diventerà una potenza nucleare, i calcoli cambieranno e alcuni paesi saranno costretti a rivedere la loro posizione. Non credo, tuttavia, che la sola presenza delle bombe americane sia un deterrente credibile nei confronti dell'Iran”. Dal fronte diplomatico non arrivano buone notizie: il Consiglio di sicurezza dell'Onu si è riunito lunedì e non ha incluso il dossier tra i punti discussi in aprile. Bisognerà aspettare più di un mese per aprire le trattative sulle possibili sanzioni contro gli ayatollah.
    Questa è la seconda pedina importante che Obama sposta nel campo delle relazioni atlantiche. La prima mossa è arrivata lo scorso anno, quando il capo della Casa Bianca ha rinviato la costruzione dello scudo spaziale, un progetto del suo predecessore, George W. Bush, per proteggere l'Europa da un attacco iraniano. Lo scudo prevedeva una base missilistica in Polonia e un radar nella Repubblica ceca. Medvedev e il suo premier, Vladimir Putin, lo hanno sempre considerato come una minaccia piuttosto esplicita nei confronti della Russia.

    Il governo di Varsavia e quello di Praga hanno deciso di partecipare al piano nonostante le resistenze dell'opinione pubblica. Per questo, la scelta di Obama è stata vissuta da molti come un disimpegno pericoloso: l'ex presidente ceco Vaclav Havel e venti vecchi leader dell'est, fra i quali Lech Walesa, hanno scritto una lettera aperta ai principali quotidiani europei per esprimere le loro perplessità. La presenza di armi americane sul territorio del Vecchio continente rafforza i legami fra le due sponde dell'Atlantico. Il Trattato di Praga, così come la rinuncia allo scudo spaziale, può logorare i legami. “Non ci sono molte testate atomiche in Europa ma la loro importanza, da un punto di vista simbolico, è elevata – spiega al Foglio Pavel Baev dell'International Peace Research Institute di Oslo – La Russia ha un atteggiamento poco collaborativo quando si parla dei suoi arsenali. Quanti sono? Dove sono? Che cosa contengono? Ci sono ancora tante cose che dovremmo sapere e il nuovo accordo rischia di essere inutile senza trasparenza. Obama può provare a mettere la palla nel campo di Medvedev. Può dire: ‘Noi abbiamo ritirato le armi dall'Europa, ora tocca a voi'. Per fare questo, però, bisogna che il fronte della Nato sia compatto”.

    Il mondo senza testate atomiche è un sogno di tutti i pensatori liberal, ma Obama è il primo presidente democratico che apre sul serio il dossier. I colloqui sulla riduzione degli arsenali nucleari sono partiti all'epoca di Richard Nixon, che non ottenne grandi risultati. Poi è stata la volta di Ronald Reagan, impegnato in una lunga trattativa con Mikhail Gorbaciov. Il primo accordo porta la firma di George H. W. Bush e di Boris Eltsin. Eltsin concede grande spazio a quell'avvenimento nelle sue memorie: ricorda Bush vittima di un crollo nervoso dopo la sconfitta elettorale patita contro Bill Clinton, ma ancora capace di trovare le energie per concludere il patto pochi giorni prima di lasciare la Casa Bianca. A quei tempi, ridurre il numero delle testate atomiche presenti in Europa, negli Stati Uniti e nei paesi del blocco sovietico era il segno di una nuova era, ma oggi l'operazione potrebbe avere conseguenze impreviste per Obama.

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