Camillo Langone risponde a Umberto Croppi

Consigli ad Alemanno per salvare Roma da architetti incapaci e cinici

Camillo Langone

Due giorni fa, Camillo Langone, nella sua rubrica cita l'assessore Umberto Croppi del comune di Roma. Ieri è arrivata la risposta dello stesso Croppi, alla quale Langone replica così.

Strano, molto strano che l'assessore Croppi non sapesse cosa stava combinando il sindaco Alemanno sul tema “Identità delle periferie”. Proprio lui, il vecchio rautiano che nel 2003 era intervenuto sull'identità nazionale in un convegno organizzato dalla Camera dei deputati. Magari considera che Tor Bella Monaca non sia Italia e che gli abitanti del Laurentino 38 siano irrecuperabili alla nostra civiltà e perciò possano essere usati per qualsiasi esperimento, carne da archistar. Oppure c'è dell'altro, vallo a capire.

    Due giorni fa, Camillo Langone, nella sua rubrica  cita l'assessore Umberto Croppi del comune di Roma. Ieri è arrivata la risposta dello stesso Croppi, alla quale Langone replica così.

    Strano, molto strano che l'assessore Croppi non sapesse cosa stava combinando il sindaco Alemanno sul tema “Identità delle periferie”. Proprio lui, il vecchio rautiano che nel 2003 era intervenuto sull'identità nazionale in un convegno organizzato dalla Camera dei deputati. Magari considera che Tor Bella Monaca non sia Italia e che gli abitanti del Laurentino 38 siano irrecuperabili alla nostra civiltà e perciò possano essere usati per qualsiasi esperimento, carne da archistar. Oppure c'è dell'altro, vallo a capire. E' strano, davvero molto strano che l'assessore alla Cultura del comune di Roma non sia stato nemmeno informato, magari da una segretaria o da un usciere, che il comune di Roma stava organizzando un grande convegno sulla cultura urbanistica romana. Addirittura veniamo a sapere che Croppi al convegnone non è stato neanche invitato.

    Possibile che all'Auditorium non ci fosse nemmeno una poltroncina per lui? Si vede che proprio non ce lo vogliono. Eppure al vecchio rautiano piaceva tanto il vecchissimo americano Richard Meier, uno dei più famosi relatori del maxiconvegno. Non molto tempo fa aveva dichiarato che lo scatolone fuoriscala dentro al quale Meier ha seppellito l'Ara Pacis, nascondendo già che c'era ben due chiese, non è affatto male e va lasciato così com'è, a imperitura memoria. Può darsi però che nel frattempo sia rinsavito e che Alemanno temendone il dissenso lo abbia volutamente emarginato. Ecco, Alemanno. Mi ricordo che durante la campagna elettorale che lo avrebbe portato in Campidoglio si aggirava sconsolato nel vuoto materiale e spirituale dello Scatolone: “E' uno sfregio per la città!”. Promise quindi di abbatterlo in caso di vittoria e stiamo ancora aspettando che dia il primo colpo di piccone, sono passati due anni ma sul lungotevere non è successo niente, niente di niente, solito traffico, solite grattachecche e solito Scatolone. L'Ara Pacis è ancora seppellita, i templi di San Rocco e San Girolamo, insomma Gesù Cristo, ancora umiliati: Roma e Gerusalemme prostrate davanti a New York.

    Adesso Alemanno si aggira nuovamente sul luogo del misfatto e indovinate con chi? Con Richard Meier, il misfattista. Confabulano di possibili soluzioni, di muretti da abbassare, di migliorie da sbandierare e altre pezze a colori. E' come se un paziente chiedesse un consulto proprio al chirurgo che lo ha operato lasciandogli un ferro in pancia. Fra l'altro, il chirurgo Meier il ferro nella pancia di Roma glielo ha lasciato apposta, non per errore: l'ideologia del modernismo prescrive di sfondare i tessuti, lasciare aperte le ferite e convincere i pazienti che il dolore è giusto, che il progresso lo esige. Sto parlando infatti di un'architettura che è sadismo e hybris. In molti casi si può aggiungere tranquillamente una terza parola: incompetenza. Nei sopralluoghi a margine del convegnone, Alemanno ha coinvolto pure Santiago Calatrava, un personaggio che vende lo stesso ponte a tutte le città del mondo, facendo credere ogni volta che è stato progettato appositamente.

    Un ponte Ikea spacciato per un Maggiolini. Almeno funzionasse. Macché: Calatrava ha sulla coscienza non so quante ossa, a Venezia ha sbagliato il disegno dei gradini del ponte sul Canal Grande e se non stai attento inciampi e se inciampi maledici l'architetto e il sindaco che l'ha voluto e gli altri complici che il giudice Nordio (c'è un giudice a Venezia) ha definito “incapaci e cinici”. Il ponte veneziano è un monumento al “dilettantismo, all'indifferenza ai vincoli regolamentari, all'insensibilità alle esigenze sociali”. Strano, molto strano, che un sindaco della destra sociale assoldi un simile campione. Che cosa c'è dietro se dietro non c'è Umberto Croppi?

    Siccome “non basta gridare contro le tenebre, bisogna accendere una luce” spiego in due righe ad Alemanno come potrebbe meritare, anche in architettura, l'aggettivo “identitario” che tanto gli è caro. Primo: farla finita coi convegni-passerella per divi anglofoni che atterrano a Fiumicino, fanno il danno e scappano. Secondo: assegnare direttamente i nuovi progetti romani agli architetti italiani, e sottolineo italiani, capaci di rinverdire i fasti dell'opus latericium (qualcuno ha presente i muri spettacolari della Domus Augustana?). Ecco i nomi: Massimo Carmassi, Andrea Pacciani, Pietro Carlo Pellegrini, Paolo Zermani.

    • Camillo Langone
    • Vive tra Parma e Trani. Scrive sui giornali e pubblica libri: l'ultimo è "La ragazza immortale" (La nave di Teseo).