Uno per ogni stagione

Tutti gli uomini del presidente della Camera

Salvatore Merlo

C'è consigliere e consigliere. Ci sono quelli adatti a far spirare il vento di fronda e quelli più bravi nell'attività diplomatica. Un leader ha bisogno di poter suonare più strumenti, se necessario uno diverso per ogni occasione. E' così da tempo per Silvio Berlusconi, è così anche per Gianfranco Fini, il quale non sarà il sovrano del proprio partito, ma nel Pdl ha saputo sostituire i colonnelli semiammutinati condensando attorno a sé una piccola corte funzionale al suo progetto.

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    C'è consigliere e consigliere. Ci sono quelli adatti a far spirare il vento di fronda e quelli più bravi nell'attività diplomatica. Un leader ha bisogno di poter suonare più strumenti, se necessario uno diverso per ogni occasione. E' così da tempo per Silvio Berlusconi, è così anche per Gianfranco Fini, il quale non sarà il sovrano del proprio partito, ma nel Pdl ha saputo sostituire i colonnelli semiammutinati condensando attorno a sé una piccola corte funzionale al suo progetto. Un sistema articolato che gli stessi interessati hanno definito “arcipelago” (parole di Carmelo Briguglio), composto essenzialmente da quattro isole: la fondazione FareFuturo, la holding Immobiliare An, il Secolo, e adesso la nuova associazione Generazione Italia.

    Ciascuna isola ha il proprio ruolo, ciascuna è guidata da una piccola fazione interna e non necessariamente simpatizzante o solidale nei confronti delle altre. Non è un mistero che Italo Bocchino abbia convinto il presidente della Camera a benedire la sua Generazione Italia (“una lobby che sponsorizza la leadership di Fini”) rivelandogli la possibilità, in tempi di appeasement con Berlusconi, di costruire un'alternativa agli sberleffi editoriali di quel Filippo Rossi (“io sono come Gianburrasca”) che dirige il web magazine di FareFuturo e che martedì scorso, criticando la subalternità del Pdl alla Lega, ha usato pensieri che furono di Fini, ma ha pure forzato i tempi della politica, con un editoriale polemico diffuso nel momento sbagliato. Risultato: ha provocato non poco imbarazzo al proprio committente. Come spiega un gran finiano di Montecitorio: “C'è chi non sa quando è il momento di parlare e quando invece è opportuno tacere”. In questo momento, più che a distinguersi da Bossi, Fini è interessato a cucire una solidarietà strategica con la Lega in vista di un nuovo equilibrio che possa far pendere anche il Cav., ora che si ritorna a parlare di riforme, verso il modello semipresidenzialista di tipo francese.

    Come spiega chi conosce bene Fini e ne ha accompagnato gran parte di quegli scarti che nel tempo ne hanno modificato l'immagine pubblica, “sarebbe un errore ritenere che lui preferisca Italo Bocchino a FareFuturo, le provocazione di Fabio Granata alla verve analitica di Alessandro Campi o viceversa”. Si tratta soltanto di una diversa natura di consiglieri, “ce ne uno per stagione – spiegano – e il segreto è sapere modulare gli accenti”. La politica e la diplozia si alternano alla fronda e alla polemica. Il presidente della Camera deve aver calcolato sin dall'inizio della legislatura la possibilità di non essere capito (“so di essere in minoranza”, ha detto al congresso del Pdl) o di venire ridotto alla caricatura di se stesso nei momenti di massimo anticonformismo e di apparente scapigliatura, persino dagli amici che animano la sua composita area. Anche per questo a FareFuturo si è aggiunta dal primo aprile l'associazione-corrente GenerazioneItalia.
    Come ripete spesso Carmelo Briguglio, alleato di Italo Bocchino nella segreta ambizione di scavalcare Ignazio LaRussa nel ruolo di rappresentanti ufficiali del presidente della Camera all'interno del Pdl: “Noi non replichiamo FareFuturo, siamo un'altra cosa. Niente pernacchie, noi diciamo: evviva Fini, evviva Berlusconi”. E dev'essere proprio vero.

    Il nuovo schema finiano sembra difatti mutuato dall'antica strategia con la quale l'ex leader di An controllava il proprio vecchio partito. Si può cambiare idea ma non si può guarire da se stessi. Così nella frequenza con la quale Fini fa trapelare irritazione (vera o simulata che sia) per le polemiche di FareFuturo o raffredda il rampantismo di Bocchino – quando il fedelissimo lavora a una revisione della governance del Pdl – il cofondatore rivela ancora una volta quella capacità di triangolare con le correnti, ovvero con le rivalità interne, per adattare attraverso di esse la rotta del proprio partito (e ora della sua sola persona) alle necessità della contingenza politica. D'altra parte che ci siano differenze e divisioni nell'arcipelago finiano non è, neanche questo, un segreto.

    Briguglio e Bocchino, ma anche Granata
    e la quasi totalità dei parlamentari finiani – al netto di quelli che in FareFuturo ci militano – non amano la linea editoriale della fondazione. Un sentimento ricambiato con simmetrica freddezza. Bocchino, in cuor suo, stigmatizza l'improntitudine con la quale si muove FareFuturo (“la politica è fatta di prassi, contingenze e opportunità”) mentre gli intellettuali-giornalisti della fondazione rivendicano una libertà di pensiero da contrapporre, dice qualche maligno, “ai vecchi schemi correntizi e irreplicabili con i quali certuni tentano di fare carriera e politica pro domo propria”. D'altra parte è quasi dall'inizio della legislatura che il gruppo più politico dei finiani ha provato a convincere il leader ad affiancare qualcos'altro a FareFuturo. In un primo tempo si era pensato di trasformare la fondazione An, la holding immobiliare gestita da Donato Lamorte, in qualcosa di spendibile sul piano delle idee. Come diceva quasi un anno fa Granata: “Ci vuole una struttura che possa rappresentare tutte le componenti. Perché FareFuturo, in questo momento, è solo di una parte”.

    Alla fine ce l'ha fatta Bocchino, autoconvintosi finiano sempre di più col passare del tempo e diventato adesso per il cofondatore del Pdl il più necessario degli amici, quello più dotato di capacità organizzativa e di senso dell'opportunità politica. Mesi fa lo aveva previsto Domenico Fisichella, l'ex gran consigliere di Fini, che intervistato dall'Unità diceva: “In una prima fase si potrà fare il gioco solitario della fronda, ma poi Fini dovrà chiamare a raccolta forze e uomini che condividano la sua linea”. E così è stato. Ma in una condizione di sempiterna riconvertibilità, perché GenerazioneItalia non è una corrente nel senso classico del termine; perché Fini le ha concesso finora soltanto un silenzio assenso (la “benedizione” è stata inufficiale); perché la mediazione con Berlusconi è ancora affidata a La Russa; e perché qualora si rendesse di nuovo necessario fare politica “a contrario” tutti gli osservatori interni al Palazzo sono pronti a scommettere su un nuovo equilibrio che torni a premiare il Gianburrasca Filippo Rossi e il pensatoio ribelle di FareFuturo. Ma per adesso tira un'aria diversa e l'apertura leghista al sempresidenzialismo, tanto caro a Fini che oggi il presidente della Camera ne rilancerà l'opportunità nel corso di un seminario, prescrive accortezza. Come dice Bocchino: “Non è la Lega il nemico”.

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    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.