A Parma, in Confindustria, non si fa politica: ma perché?

Giuliano Ferrara

Mi sono sempre domandato come fa la Confindustria a non avere una chiara, definita politica istituzionale e una politica estera, insomma come fa a vivere e lavorare senza un profilo che superi il negoziato di vantaggi corporativi nei rapporti con il governo e la ordinaria contrattazione con i sindacati. Senza essere anche un movimento, un soggetto portatore di idee generali sulla società e sullo stato.

    Mi sono sempre domandato come fa la Confindustria a non avere una chiara, definita politica istituzionale e una politica estera, insomma come fa a vivere e lavorare senza un profilo che superi il negoziato di vantaggi corporativi nei rapporti con il governo e la ordinaria contrattazione con i sindacati. Senza essere anche un movimento, un soggetto portatore di idee generali sulla società e sullo stato. L'assemblea di Parma, per molti aspetti una interessante riproposizione di analisi sociali, economiche, di sistema, ha rinfocolato in me questa curiosità: è possibile chiedere riforme strutturali dell'economia limitandosi a discutere, il che naturalmente è parte decisiva del mestiere degli imprenditori organizzati, del pil, della spesa pubblica, del fisco, del debito e del mercato del lavoro? E, soprattutto, a discuterne senza un netto profilo politico: posti degli obiettivi, con quale forma di governo o di stato è possibile raggiungerli? Quel campo specifico di riflessione e di azione degli imprenditori, una specie di economia senza politica,  è tutto il loro orizzonte?

    Per decenni la Confindustria, che in Italia nasce e si sviluppa come rappresentanza robusta e tendenzialmente onnicomprensiva di interessi imprenditoriali, per certi aspetti un'organizzazione perfino pletorica, ha avuto un segno distintivo di tipo politico direttamente connesso con la posizione ideologica della classe cosiddetta borghese. Guerra fredda, lotta di classe e concorrenza con l'industria di Stato facevano dell'associazione degli imprenditori privati un soggetto politico, un partito sociale naturaliter governativo, con un orientamento generale decisionista in politica istituzionale e occidentalista (Europa e America) in politica estera. Alleanze, finanziamenti, fondazioni, progetti, reti, comunicazione pubblica: nei rapporti con il sistema dei partiti della vecchia Repubblica Confindustria aveva una certa inventiva, talvolta perfino sinistra (nel suo giro maturarono ipotesi militanti e parecchio piccanti di infiltrazione organizzata nei meandri del potere costituito).

    L'associazione filtrava comunque i cambiamenti, passò gradualmente da un arcigno centrismo conservatore a un riformismo di centrosinistra, per non parlare delle follie pansindacaliste della metà degli anni Settanta. Comunque, il padrone faceva politica e aveva un'idea generale di come si dovessero perseguire i grandi scopi di modernizzazione. Se diceva “riforme”e “liberalizzazioni” contro le “arciconfraternite” stataliste non parlava a caso, e tutti pensavano a interlocutori come Guido Carli o Emilio Colombo e ad altri politici e grand commis de l'Etat, a incursioni in ambienti e settori diversi della classe dirigente, con una proiezione internazionale sempre abbastanza chiara. L'impressione è che negli ultimi quindici anni, mentre un imprenditore si è fatto uomo di stato e ha portato quel noto vento di follia e di anomala spregiudicatezza nelle istituzioni, gli imprenditori come tali hanno abbandonato il campo, si sono sostanzialmente ritirati dal gioco del potere per come lo si gioca nelle istituzioni politiche. L'ultimo sprazzo di movimentismo, di fantasia politica, lo si deve all'outsider Antonio D'Amato, un disegno rigettato dall'establishment e dalla grande impresa privata che ancora all'epoca contava qualcosa. E l'ultimo gruppo politico collegato al padronato in un disegno comune chiaro fu quello del welfare, dei Maroni e dei Sacconi e dei Biagi. Poi è cominciata un'epoca di esteriorità, di fuochi d'artificio verbali, di convegnistica e comunicazione anche brillante, ma senza il sale di una partecipazione alla lotta politica, nel senso di individuare obiettivi e contribuire a realizzarli.

    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.