Classifica di carta

Valentina Fizzotti

Che Dan Brown arrivasse in testa alla classifica dei libri più venduti in America nel 2009 con l'ennesimo thriller massonico costruito attorno al professor Robert Langdon non è una gran sorpresa. Ma lo è che a vendere più di tutti, fra i libri non di fiction, sia stata l'autobiografia della ex candidata repubblicana alla vicepresidenza degli Stati Uniti, Sarah Palin. Le cifre sono quelle diffuse dalla rivista Publishers Weekly, che si prende, rispetto ad altre classifiche, il tempo fino alla primavera dell'anno seguente per pubblicare la sua lista dei best seller dell'anno, in modo da poter puntigliosamente includere nei calcoli le copie invendute rispedite agli editori.

    Che Dan Brown arrivasse in testa alla classifica dei libri più venduti in America nel 2009 con l'ennesimo thriller massonico costruito attorno al professor Robert Langdon non è una gran sorpresa. Ma lo è che a vendere più di tutti, fra i libri non di fiction, sia stata l'autobiografia della ex candidata repubblicana alla vicepresidenza degli Stati Uniti, Sarah Palin. Le cifre sono quelle diffuse dalla rivista Publishers Weekly, che si prende, rispetto ad altre classifiche, il tempo fino alla primavera dell'anno seguente per pubblicare la sua lista dei best seller dell'anno, in modo da poter puntigliosamente includere nei calcoli le copie invendute rispedite agli editori. L'ex governatrice dell'Alaska di copie del suo “Going Rogue. An American Life” (“Scelte ribelli. Una vita americana, edito da Harper Collins) ne ha totalizzate quasi due milioni e settecentomila. Nelle librerie è arrivato il 17 dicembre 2009, ma già a ottobre, con le prevendite, nella classifica di Amazon aveva battuto proprio Dan Brown.

    Per quanto riguarda Brown, alla fine “The Lost Symbol” non è riuscito a eguagliare il successo del “Codice da Vinci”, ma è arrivato pur sempre sopra i cinque milioni e mezzo di copie. Questa volta il gran complotto da disvelare è ambientato nella capitale statunitense. Così, invece che infestare Castel Sant'Angelo a Roma (“Alla vostra sinistra la finestra da cui si è lanciato il cardinale in ‘Angeli e Demoni'”) i tour per gli affezionati di Dan Brown si sposteranno a Washington. Al secondo posto della classifica c'è il sempiterno John Grisham con un legal thriller, “The Associate”, che ha creato bagarre fin dalle anticipazioni (ambienta uno stupro di gruppo in un'università di Pittsburgh, che si è alquanto risentita). Lo stesso Grisham è anche al sesto posto con un racconto, “Ford County”. A seguire, fra gli altri, anche Stephenie Meyer, la creatrice dei vampiretti innamorati di “Twilight”, che hanno invaso gli zainetti di mezzo mondo prima di sbancare il botteghino anche nella loro versione cinematografica. Nel 2009 Meyer ha abbandonato i succhiasangue adolescenti per gli alieni, ed è arrivata soltanto al nono posto. Meglio di lei ha fatto James Patterson, che ha venduto più di un milione di copie con l'ultimo capitolo della saga di Alex Cross, il detective interpretato da Morgan Freeman.

    Si diletteranno pure con massoni e detective, gli americani, ma quando si tratta di far sul serio, ai manuali del buon vivere in epoca di fobie da global warming preferiscono i libri di politica, e soprattutto prediligono quelli di destra. Stando alla classifica delle vendite 2009 pubblicata da Publishers Weekly, nella saggistica i conservatori sbaragliano i liberal. Al secondo posto nella non fiction, anche se un bel po' sotto il best seller di Palin, è arrivato pur sempre un comico sanguigno, Steve Harvey, cranio nero lucidissimo e baffoni, che nel suo “Act Like a Lady, Think Like a Men: What Men Really Think About Love, Relationships, Intimacy and Commitment” chiarisce alle femmine che non hanno capito nulla dei maschi (con argomenti simili a “Non fare tanto la preziosa, tanto dietro di te c'è la fila”). Ma in terza posizione si è piazzato un presentatore radiotelevisivo superconservatore, Glenn Beck, che con la sua trasmissione su Fox News inchioda davanti agli schermi l'America “profonda” alle cinque di ogni pomeriggio (“Nuova superstar populista”, l'ha definito il Time, che nello scorso settembre gli ha dedicato una copertina). Nel suo – chiamiamolo così – manuale “Arguing with Idiots. How to Stop Small Minds and Big Government”, Beck spiega come fare a pezzi, con documentate motivazioni alla mano, i luoghi comuni dei fanfaroni, soprattutto quelli liberal. Un libello orgogliosamente repubblicano, da portarsi dietro quando si va a cena da amici democratici per ribattere senza sensi d'inferiorità (e sul controllo delle armi non si sa mai che cosa ribattere).

    Il manifesto conservatore del reaganiano di ferro Mark R. Levin, “Liberty and Tiranny”, è riuscito addirittura a sorpassare la biografia di Edward Kennedy, “True Compass. a Memoir”, nell'anno della sua morte. Insomma, è come se l'America obamiana in libreria fosse minoritaria. Sarah Palin ha venduto quasi tre milioni di copie del suo libro tutto Alaska, Dio e famiglia – compilato con la non moderata Lynn Vincent – e più di due milioni di persone giovedì scorso erano di fronte alla tv per vedere la prima puntata del suo show su Fox News, “Real American Stories”, naturalmente stroncato dalla critica. L'apoteosi dell'uomo comune, il trionfo del cittadino medio americano sulle difficoltà insormontabili della vita o l'immolazione patriottica del soldato semplice. Nonostante le polemiche che lo avevano preceduto (due star musicali avevano smentito interviste annunciate) e quelle che sono seguite (con i critici che hanno bollato la trasmissione come “più noiosa che brutta”), il giorno di Pasqua il New York Times, a denti stretti, ha dovuto riconoscere che esiste un “Sarah Palin Brand”, un marchio che vale almeno un milione e mezzo di dollari (tanto le ha dato la Harper Collins per il libro, cui in autunno potrebbe seguirne un altro) e probabilmente un sacco di voti. Lei, che oltre i Tea Party va avanti per sua strada, lei che meglio degli altri ha fatto il salto fra politica e tv senza fingere di andare per gradi, lei che piace perché ricorda che tutti hanno le capacità per farcela, lei che se ne frega di sembrare parte dell'establishment perché sa che questa noncuranza alla fine paga. Lei che potrebbe diventare il prossimo presidente, ma anche la prossima Oprah Winfrey.