Il futuro del Pdl in 48 ore

Pranzo indigesto tra Fini e il Cav. E' l'ora dei penultimatum di guerra

Salvatore Merlo

Quarantott'ore per sciogliere l'impasse degli aut aut incrociati di Gianfranco Fini e Silvio Berlusconi. I due leader si sono lasciati con questo minaccioso penultimatum, ieri pomeriggio alla Camera. Difficile, ma non ancora impossibile, una soluzione. Nessuno dei due ha intenzione di cedere all'altro. Così il Pdl forse non subirà una vera scissione, ma cambierà certamente il proprio volto. “Nulla sarà più come prima” è l'adagio che accompagna in queste ore le telefonate tra i dirigenti del partito. Ma niente crisi di governo, pare.

    Quarantott'ore per sciogliere l'impasse degli aut aut incrociati di Gianfranco Fini e Silvio Berlusconi. I due leader si sono lasciati con questo minaccioso penultimatum, ieri pomeriggio alla Camera. Difficile, ma non ancora impossibile, una soluzione. Nessuno dei due ha intenzione di cedere all'altro. Così il Pdl forse non subirà una vera scissione, ma cambierà certamente il proprio volto. “Nulla sarà più come prima” è l'adagio che accompagna in queste ore le telefonate tra i dirigenti del partito. Ma niente crisi di governo, pare. Al massimo un semidivorzio tra i due leader e un ritorno a qualcosa che assomiglia al vecchio schema di An e FI: Fini guiderebbe all'interno del Pdl un sottogruppo “Pdl-Italia”, senza i colonnelli e con parte del gruppo ex aennino.

    La scena che riassume la giornata è questa: in una Montecitorio deserta, Umberto Bossi, seduto su un divanetto del secondo piano, guarda l'ingresso serrato dello studio di Fini, a pochi metri da lui, e riferendosi al proprio incontro con Berlusconi osserva: “Il vertice c'è già stato ieri, a Palazzo Chigi”. Al di là della porta ci sono gli altri due leader del centrodestra. Stanno avendo lo scontro più duro degli ultimi mesi. Fini squaderna il proprio cahier de doléance e notifica al Cav. il fallimento del loro patto di bronzo, minaccia la creazione di un gruppo autonomo interno al partito, chiede legittimazione politica, e dice: “Sono stato truffato”. Il premier tenta di blandirlo, spiega che avere voce in capitolo nel Pdl talvolta è un problema anche per lui. Poi tenta di dissuaderlo: “Quella che proponi è una pazzia. Pensaci bene. Ricordati del fallimento dell'Elefante con Mario Segni”. Ma il cofondatore del Pdl non arretra di un passo, e allora il Cav.: “Prenditi almeno una settimana per riflettere, parlane con i tuoi”. E l'altro: “Mi bastano quarantotto ore”.

    Al termine dell'incontro la situazione è di stallo, l'incrocio di due penultimatum contrapposti. Da una parte Fini vuole restituito il 30 per cento del Pdl, per come statuito nel patto fondativo; in alternativa si candida a rappresentare il malcontento antileghista del partito in una propria formazione interna ma autonoma. Dall'altra parte Berlusconi non ritiene di dover restituire proprio niente, ma neppure ha intenzione di rompere lui per primo con l'ex leader di An. Starà a guardare: “Il pallino lo ha in mano Fini – ha spiegato agli amici – decida che cosa vuole fare. Di certo non sarò io a cacciarlo. Faccia pure il suo gruppo autonomo, se crede”.

    Ma ora che succede? La crisi di governo non rientra al momento tra gli scenari possibili, così dicono. La sola ipotesi è stata smentita dal vicecapogruppo del Pdl a Montecitorio Italo Bocchino, subito dopo aver incontrato Fini con gli altri fedelissimi del presidente della Camera. “Sosterremo sempre il governo”. Anche la terza carica dello stato ha voluto far intravvedere il sereno tra le nubi, con una nota: “Berlusconi deve governare fino al termine della legislatura perché così hanno voluto gli italiani. Il Pdl, che ho contribuito a fondare, è lo strumento essenziale perché ciò avvenga. Pertanto va rafforzato, non certo indebolito”. Renato Schifani, presidente del Senato, suona minaccioso: “Se la maggioranza si divide, la strada è segnata. Si va al voto”. Ma dal campo berlusconiano arrivano anche segnali distensivi, al netto del bombardamento di qualche falco isolato. Lo stesso Berlusconi si è premurato rapidamente di far smentire un virgolettato con il quale gli si attribuiva la richiesta delle dimissioni di Fini. Non solo. Gianni Letta ha ricevuto l'incarico di mantenere aperti i contatti con il presidente della Camera per le prossime 48 ore, quelle che potrebbero cambiare l'aspetto del Pdl per come lo si è conosciuto fino a oggi.

    I pragmatici raccontano che un accordo potrebbe passare dalla concessione al campo finiano di quote di potere, non soltanto nel partito. “Ci sono state richieste precise”, dicono alludendo anche al rimescolamento dei coordinatori (La Russa?). Chissà. Fini pubblicamente non chiede incarichi per i propri uomini al governo, nel Pdl o nelle imprese pubbliche, ma qualcuno – si dice – ha garantito che qualora fossero esaudite certe istanze, si faciliterebbe la ricomposizione. Anche se ciò fosse vero, il premier non pare volerle accontentare: “Si rischia di ricucire da una parte per sfasciare da un'altra”.

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.