Pdl in ebollizione

Fini e il Cav. passano dal penultimatum alle grandi manovre di pace

Salvatore Merlo

Pace fatta, o quasi. Basterebbe l'immagine del funzionalista e prepolitico Silvio Berlusconi impegnato a convocare organi di partito per la prossima settimana e persino “un congresso entro l'anno” a rendere il quadro di un appeasement con Gianfranco Fini cui manca soltanto un ultimo sigillo. Lo schema in pubblico è ancora quello di gettare la palla nel campo avversario, il Cav. dice di non voler rompere (“è Fini che se ne vuole andare”) mentre il presidente della Camera fa intendere che dipenderà tutto dal Cav. Ma sotto la superficie entrambi sono interessati a trovare un accordo “definito e duraturo”, entrambi disponibili a cedere qualcosa.

    Pace fatta, o quasi. Basterebbe l'immagine del funzionalista e prepolitico Silvio Berlusconi impegnato a convocare organi di partito per la prossima settimana e persino “un congresso entro l'anno” a rendere il quadro di un appeasement con Gianfranco Fini cui manca soltanto un ultimo sigillo. Lo schema in pubblico è ancora quello di gettare la palla nel campo avversario, il Cav. dice di non voler rompere (“è Fini che se ne vuole andare”) mentre il presidente della Camera fa intendere che dipenderà tutto dal Cav. Ma sotto la superficie entrambi sono interessati a trovare un accordo “definito e duraturo”, entrambi disponibili a cedere qualcosa. La prima novità è che l'ultimatum di quarantotto ore si è dilatato a giovedì, quando si terrà un consiglio di presidenza del Pdl. Sarà con tutta probabilità il giorno in cui i cofondatori sigleranno insieme una nuova alleanza “per ricominciare da capo”. Ora si tratta e si aspetta.

    Certo è necessario, prima, che la diplomazia finisca il proprio lavoro e produca una proposta di accordo. Dicono fonti del partito: “C'è tutto il tempo per trovare la quadra”. A mediare, oltre a Gianni Letta (che fa da raccordo) sono impegnati più di tutti gli ex colonnelli Ignazio La Russa e Gianni Alemanno, sostanzialmente spalleggiati dall'intero gruppo dirigente all'interno del quale si fanno ragionamenti di questo tipo: “Un divorzio da Fini significherebbe consegnarsi a Umberto Bossi e Giulio Tremonti”. Già nel corso dell'ufficio di presidenza convocato ieri per “comunicazioni urgenti”, il premier era parso ai presenti insolitamente pacato. Un atteggiamento mantenuto anche nell'incontro riservato con Giorgio Napolitano al Quirinale. Il leader del Pdl ha ribadito di essere interessato alle riforme, come gli chiede pressantemente anche la Lega, e con il capo dello stato ha minimizzato le frizioni con Fini spiegando che “è ossessionato dalla competizione leghista e forse gli manca un po' di visibilità”, ma niente di irrimediabile. E' vero che per il momento, dal punto di vista formale, è cambiato poco. Ma le minacce dei finiani potrebbero a breve rientrare e i propositi di guerra modificarsi nella bozza di un nuovo patto fondativo.

    I finiani hanno raccolto adesioni tra i parlamentari: “50 alla Camera, dodici al Senato” (più realisticamente circa 35 alla Camera e una decina al Senato). Sono le truppe di quel gruppo autonomo Pdl-Italia che (forse) ormai non ha più ragione di vedere la luce. Benché, in mancanza di un accordo esplicito, il piano d'azione per ora non cambi. Fini ha convocato i suoi fedelissimi per martedì nella sala “Tatarella” al palazzo dei gruppi, luogo evocativo di un ritorno alle radici di An. Si lavora a un documento politico che lo stesso cofondatore del Pdl intende presentare giovedì al resto del partito. Un testo il cui contenuto potrebbe modificarsi nelle prossime ore, passando da una notifica di divorzio a un piano di rilancio del patto condiviso con Berlusconi.
    Come dice Franco Frattini: “O troviamo un accordo o il Pdl è morto”. La strategia minacciosa di Fini non mette esplicitamente a rischio la tenuta del governo, ma mira a coalizzare intorno a sé anche sul territorio le roccaforti della Sicilia (terra dell'esperimento semiscissionista di Gianfranco Micciché) e della Campania (da cui proviene il fedelissimo Italo Bocchino) pescando anche tra i deputati nordisti del Pdl, preoccupati dall'avanzata di Bossi e compagni: tra Veneto, Piemonte e Lombardia sarebbero a rischio in prospettiva quaranta o cinquanta seggi del Pdl. Difficile davvero capire quanto il presidente della Camera creda a questo schema nel breve periodo e quanto invece lo consideri – per il momento – un azzardo tattico da contrapporre a un Berlusconi apparso fino a ieri restio a qualsiasi cedimento.

    Ma che compromesso è possibile? Fonti di Palazzo Chigi spiegano che una legittimazione ufficiale di Fini, compresa la sua inclusione nel tridente (con il Cav. e Bossi) alla tolda del centrodestra non è una richiesta irricevibile. Così come non vengono esclusi rimpasti nella governance del partito o nel governo. Tuttavia ancora ieri sera non era stata avanzata una richiesta precisa. Dai berlusconiani arrivano aperture: “Purché non si verifichi un totale stravolgimento degli organigrammi, La Russa potrebbe generosamente offrire il propio mandato”. Fonti vicine a Fini spiegano: “La cosa più urgente è ristabilire Fini al proprio rango di cofondatore”.

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.