Francesco Forte sull'assalto leghista agli istituti di credito

Impossibile prendere le banche senza farsi prendere la mano

Francesco Forte

La scalata dei leghisti alle banche è un'avventura che auguro loro di fare con molta prudenza, per non precipitare da un pendio franoso. C'è un tipo di cariche, relativamente facile da raggiungere, che può dare cattiva reputazione a chi segue una politica di parte e di sprechi, come sin qui le sinistre. 

    La scalata dei leghisti alle banche è un'avventura che auguro loro di fare con molta prudenza, per non precipitare da un pendio franoso. C'è un tipo di cariche, relativamente facile da raggiungere, che può dare cattiva reputazione a chi segue una politica di parte e di sprechi, come sin qui le sinistre. Il compito di Roberto Cota o Luca Zaia potrebbe essere quello di fare repulisti di ciò, adottando una politica non clientelare ma meritocratica. Poi ci sono le cariche operative nelle banche, di cui mi accingo a discorrere. A queste due specie di cariche – diciamo così operative – di cui si è avuta un'infelice esperienza anche nell'epoca della lottizzazione ufficiale, cioè quella della Prima Repubblica, se ne aggiunge una terza specie, quelli di mera rappresentanza.

    Anche queste nella prima Repubblica erano ufficialmente lottizzate, ma per lo più fra ex parlamentari e sottosegretari usciti dal giro o che avevano lasciato il posto ad altri, in cambio di una poltrona dorata in cui sonnecchiare o da utilizzare per dare prestigio alla propria attività professionale o imprenditoriale, o come mezzo per consentire di svolgere una attività di partito, senza costi per il partito. Una delle ragioni per cui all'epoca di Tangentopoli la Dc perse, quasi di colpo, la sua presa sulla pubblica opinione, fu il fatto che la gente si era oramai stufata di vedere in giro questi personaggi, con automobile blu e autista, che non portavano nulla alle imprese pubbliche o alle banche. Il Psi di queste poltrone di rappresentanza ne aveva ben poche; alla sua eliminazione ci pensò Mani pulite. Ma forse anche perché non aveva avuto questi scranni per far sonnecchiare il suo personale politico e intellettuale, è riemerso nella Seconda Repubblica, anche con ruoli di primo piano.

    Ma l'insegnamento che viene dalla Prima Repubblica è anche questo: non poche banche politicizzate, soprattutto del mondo cattolico ma anche di quello laico, sono finite nei guai e in alcuni casi ciò ha creato danni rilevanti all'economia italiana. L'Imi per esempio, controllato dalla Dc, si trovò immerso in contese politico finanziarie, come la guerra chimica fra Eni, Sir e Montedison. Inspiegabilmente sono stati chiusi gli impianti di Sir, facendo perdere alla Sardegna la possibilità di diventare un hub chimico di importanza euro-mediterranea. C'è poi il caso del Banco Ambrosiano, coinvolto in una vicenda intricata finita con la morte di Calvi a Londra. E ancora la vicenda Bnl-Atlanta. Quanto alle nomine lottizzate, ho partecipato ai metodi per la spartizione nelle riunioni con la Banca d'Italia, quando si era deciso che si dovessero seguire criteri di professionalità, consultando noi esperti. Ma generalmente quasi nessuno di quelli che erano ai vertici bancari aveva requisiti professionali attendibili. Riuscimmo a far eliminare i non laureati, ma non quelli privi di una laurea in discipline economiche e giuridiche. Rimasero così molti ingegneri, medici, etc., lontani da ciò che serve nel campo bancario. E molti furbi bancari che s'inventarono una casacca di partito per fare carriera. La Lega cercherà di stare in guardia. Ma mi pare una mission impossible.