Dal Foglio del lunedì
La conversione di Fini è la fortuna di Berlusconi
Insisto. A Berlusconi non poteva capitare fortuna maggiore di un fenomeno come la “conversione di Fini” (è il titolo del libro di Salvatore Merlo, in uscita da Vallecchi). Il nuovo Fini, che Feltri stuzzica e provoca con il nomignolo di “compagno Fini”, corregge l'anomalia berlusconiana senza imporre al suo titolare di ridimensionarsi; allarga lo spazio dell'Italia berlusconiana, con incursioni semantiche e popolarità politica perfino nel rintronato centrosinistra.
Insisto. A Berlusconi non poteva capitare fortuna maggiore di un fenomeno come la “conversione di Fini” (è il titolo del libro di Salvatore Merlo, in uscita da Vallecchi). Il nuovo Fini, che Feltri stuzzica e provoca con il nomignolo di “compagno Fini”, corregge l'anomalia berlusconiana senza imporre al suo titolare di ridimensionarsi; allarga lo spazio dell'Italia berlusconiana, con incursioni semantiche e popolarità politica perfino nel rintronato centrosinistra; è uno della combriccola del PdL e della maggioranza di governo, ma parla e agisce da leader istituzionale, affiancando quel tonante capotribù che è il Bossi e il beniamino incontrastato della nazione, il populista liberale Berlusconi. Al contrario di Casini, che poteva sempre andarsene solitario al centro sotto la protezione del clero italiano, alimentando quell'inguacchio permanente che è il minuscolo centrismo bifornista all'italiana, Fini è per l'oggi e per il futuro legato al suo destino di capo della destra, di politico cresciuto al successo nello schema per lui intoccabile del maggioritario. Va bene, sarà diventato antipatico al Cav., che non sopporta distinguo e opinioni troppo diverse dalle sue, ma avercene di alleati così obbligati, non dalla propria benevolenza ma dal proprio interesse, a stare dentro l'alleanza e a scommettere sulla sua buona riuscita.
Nonostante molti segugi della cronaca politica, con un eccesso di credulità nei loro stessi pettegolezzi, attribuiscano a Fini il carattere di terminale di una vasta manovra avvolgente dei poteri forti, la solita grande finanza sempre in agguato contro il genuino volere del popolo, Fini in realtà ha poco potere di attrazione, poco magnetismo sociale ed economico. Non è un pivello, ha le sue relazioni, a quasi sessant'anni e con una carriera pubblica alle spalle sarebbe strano che non fosse così; ma è semplicemente ridicolo attribuirgli reti protettive, ingombranti padrinati e onnipotenti mandanti. Quello che Fini aveva, il dominio pieno sull'apparato di un partito del 12 per cento, ora più o meno ce l'ha Berlusconi come ombrello carismatico del nuovo partito unificato, in parte perché Fini ha perso il controllo politico sul suo partito, in parte perché Berlusconi non perde il vecchio vizio dell'annessionismo, della seduzione personale.
Fini non è certo uno stupido e ha una buona attrezzatura politica, ma non è competitivo sul terreno del Cav., parlo della simpatia, della facilità di comunicazione semplice e sofisticata insieme, parlo di tutti i caratteri che fanno dell'anomalo conducator un unicum italiano nel mondo. Fini ha percorso la strada opposta: Berlusconi in tutti questi anni ha fatto di tutto per precisare, definire sempre meglio, approfondire la sua anomalia personale, la distanza dall'ordinario professionismo politico, la riluttanza a lasciarsi assorbire dalle istituzioni e da una cultura democratica e azionista che sulle istituzioni si è seduta, con trucco e parrucco, per cercare di liberarle dall'usurpatore; Fini al contrario, da Fiuggi in poi, passando per Gerusalemme, ha fatto di tutto per accreditarsi come uno del gruppo, come un solido politico di partito alla ricerca di un appeal che non è in conflitto con le ipocrisie e gli equilibri delle istituzioni repubblicane.
Insomma, Berlusconi in questo diabolico tridente con Bossi e Fini non ha veri rivali, essendo Bossi il capo di una potente nazione autonomista confinata al Nord, e Fini un uomo che si è integrato nel Palazzo e che non gareggia per il consenso popolare. E allora perché non tiene a freno il suo Io, che è certo prudente avere sempre vigilante e all'erta, ma senza eccessi di amor proprio? Il controcanto è parte della politica. Quando Casini, reduce dalle tele di ragno centriste come presidente della Camera e mandante di Follini, minacciò di intorbidare le acque in piena campagna elettorale, Berlusconi ebbe l'istinto di correre un rischio, e lo cacciò, condannandolo alla riserva indiana. Quello alla fine era un controcanto pericoloso. Ma Fini è lì, con i suoi seguaci, molti dei quali sono tutto sommato persone apprezzabili, che hanno scelto un ruolo di minoranza, che non gestiscono chissà quale potere, che agitano temi di politica e cultura con impertinenza, talvolta anche con indulgenza al conformismo delle idee correnti. Fini rivendica rispetto, uno spazio vitale, non essere umiliato e marginalizzato platealmente, vuole ossigeno per continuare a crescere sulla propria strada, costruendo il profilo di una conversione repubblicana che, tutto considerato, gli fa onore e fa onore al Cav. che l'ha resa possibile, al pari della conversione governativa e costituzionale della Lega di Bossi e Maroni. E allora, se chiede questo e non altro, che senso ha fargli la faccia feroce, caro Cavaliere? Berlusconi non ha bisogno di tifoserie, ne ha fin troppe, ma di triangolazioni e capacità politiche trasversali che lo accompagnino, a Dio piacendo, nell'unico luogo politico confacente al compimento della sua carriera repubblicana, al lieto fine, cioè il Quirinale. Fini non è un nemico, in questa prospettiva.
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