Mutandine & chiffon

Mariarosa Mancuso

Neanche una riga se non a pagamento”, diceva Billy Wilder, convinto che le sceneggiature riuscissero meglio se qualche soldo passava di mano. “Memorie retribuite”, precisa Carlo Fruttero sulla copertina di “Mutandine di chiffon” (appena uscito da Mondadori). Serve a sgombrare il campo dagli equivoci, avvertendo il lettore che non si tratta di un'autobiografia progettata dallo scrivente ma di testi occasionali scritti su commissione. Anche un po' a rievocare lo scandalo provocato, tra i letterati italiani che sprezzavano il vil denaro e celebravano l'Ispirazione, dalla & che univa i nomi di Fruttero & Lucentini. I conti con la nostalgia e con il genere letterario sono chiusi per sempre a pagina 23.

    Neanche una riga se non a pagamento”, diceva Billy Wilder, convinto che le sceneggiature riuscissero meglio se qualche soldo passava di mano. “Memorie retribuite”, precisa Carlo Fruttero sulla copertina di “Mutandine di chiffon” (appena uscito da Mondadori). Serve a sgombrare il campo dagli equivoci, avvertendo il lettore che non si tratta di un'autobiografia progettata dallo scrivente ma di testi occasionali scritti su commissione. Anche un po' a rievocare lo scandalo provocato, tra i letterati italiani che sprezzavano il vil denaro e celebravano l'Ispirazione, dalla & che univa i nomi di Fruttero & Lucentini. I conti con la nostalgia e con il genere letterario sono chiusi per sempre a pagina 23: “Ho imparato a considerare i ricordi, sia altrui sia – soprattutto – personali, come qualcosa di molto simile all'accattonaggio molesto”. D'accordo, o quasi. Ma purtroppo lo pensano solo gli scrittori bravi a intrattenerci, mai i narcisi che riempiono pagine e pagine con “lontani fervori così simili a quelli di chiunque altro”.

    Intanto chi legge si fa i conti in tasca e medita
    di retribuire altre memorie, su cose, persone, castelli e libri. Queste duecento pagine volano via troppo veloci. Sono scritte con troppa eleganza per non metter voglia di leggerne altre. Sugli amici come Italo Calvino, che caldeggiava la dittatura del proletariato a un più che tiepido Fruttero. Sulle mogli degli amici come Chichita Calvino, che gli diceva “sei il mio migliore amico”, facendolo sentire “una composta di frutta accessibile esclusivamente ai radi abitanti di una valle dell'Auvergne”. Su Giorgio Bocca, che si presenta a una festa chez Giorgio Armani con una vaporosa camicia di seta rossa. Sulle tombole organizzate da Pietro Citati per i bambini. Su un avventuroso viaggio con Vittorio Sereni, in macchina verso Lugano per un'intervista alla Televisione Svizzera (ne uscì una poesia, ecco perché Sereni non badava ai tergicristalli rotti). Su Georges Simenon di passaggio a Milano che si infila in un ascensore dietro una bella signora rimorchiata al bar, chiedendo complicità al suo editore Formenton: la signora Simenon era attesa di lì a qualche minuto.

    Sfollato in un castello durante la guerra, Carlo Fruttero scoprì la lettura, “passione feroce ed esclusiva come il gioco o il terrorismo” (ecco perché le incitazioni a leggere per migliorarsi sono destinate a cadere nel vuoto). Scoprì che dei libri si poteva parlare irrispettosamente, addirittura spettegolare, come si fa con le persone alla fine di una cena, fumando l'ultima sigaretta. Si può dire che Kafka è “niente male”, Hemingway è “un po' salame”, che D.H. Lawrence è “un gran nuiùs”, che Zola è “una ciula completa”. Non cambia l'atteggiamento quando si passa sul fronte opposto. Nella stanza che Fruttero all'Einaudi divideva con Calvino, le domande sui manoscritti erano: “Cammina? Prende? Sta in piedi? Funziona?”. Da girare ai giovani scrittori che si lamentano dei critici.

    Sempre l'Einaudi fa da sfondo a “Night of the Telegram”, con la partecipazione straordinaria del padrone Giulio (così lo chiamava l'altro Giulio, di cognome Bollati). C'era da tradurre in inglese una lettera all'Onu, scritta in puro politichese dopo l'Ungheria. Fruttero ebbe il suo bel daffare, noi daremmo qualche altro soldo per leggerla, se in giro ne esistesse una copia. I capitoli dedicati a Franco Lucentini fanno curiosare nel laboratorio dove nacque “La donna della domenica” – 45 minuti di discussione su un punto e virgola – e mai amicizia o carattere furono descritti con meno retorica. Il titolo viene da un falso ricordo (altro tocco di classe), ma la canzonetta scollacciata esiste davvero, allora la si cantava anche davanti ai ragazzini: “Mutandine di chiffon/ sentinelle sentinelle del pudor/ difendete dall'amor/ la trincea delle virtù”.