Direzione Pdl a muso duro
Fini provoca, il Cav. replica: un po' rissa, un po' discussione politica
Una condanna delle correnti, ma pure un'implicita legittimazione dei principi di democrazia interna. Difficile prevedere cosa accadrà domani, ma ieri il Pdl pur tra ambiguità lessicali ed eccessi umorali è sembrato quasi un partito vero. Spogliata dalle turbolenze caratteriali, la sostanza politica emersa dalla direzione nazionale descrive (a sorpresa) la creatura berlusconiana come un partito apparentemente articolato e all'interno del quale, accanto alla maggioranza di Silvio Berlusconi, sembra poter esistere anche una minoranza guidata da Gianfranco Fini. Ma chissà.
Una condanna delle correnti, ma pure un'implicita legittimazione dei principi di democrazia interna. Difficile prevedere cosa accadrà domani, ma ieri il Pdl pur tra ambiguità lessicali ed eccessi umorali è sembrato quasi un partito vero. Spogliata dalle turbolenze caratteriali, la sostanza politica emersa dalla direzione nazionale descrive (a sorpresa) la creatura berlusconiana come un partito apparentemente articolato e all'interno del quale, accanto alla maggioranza di Silvio Berlusconi, sembra poter esistere anche una minoranza guidata da Gianfranco Fini. Ma chissà. Il premier è molto corrucciato e pare intenzionato a usare l'esplicita condanna del correntismo come strumento statutario per avallare ritorsioni in caso di imboscate parlamentari. “Le correnti di pensiero e il dibattito interno vanno bene. La guerriglia non può essere tollerata”.
I due leader si sono scontrati e scambiati critiche persino molto puntute (il Cav: “Chi fa politica non fa il presidente della Camera”; risposta: “Altrimenti mi cacci?”). Eppure ieri la terza carica dello stato ha pure sentito il premier dire che “entro un anno si farà il congresso” e che “in questo partito si può discutere di tutto. Insieme”. Chi ha incontrato Fini lo ha descritto dispiaciuto per via del fatto che il dibattito fosse “trasceso in alcuni tratti”. Ma l'ex leader di An ha anche sottolineato l'aspetto positivo di aver assistito “a un confronto aperto”. Quanti avevano tratteggiato scenari di rottura, o clamorose espulsioni, per il momento sono rimasti delusi. Il documento finale, approvato con 160 voti favorevoli, 11 contrari (l'area finiana) e un astenuto, rappresenta plasticamente la giornata.
Il testo stigmatizza le polemiche (“pretestuose”) e contiene accenti dettati dai falchi berlusconiani, ma contemporaneamente legittima l'esistenza di una dialettica interna: “Una volta assunta una decisione negli organi democratici tutti si adeguano”. E' lo schema condiviso da Fini: “La minoranza non ha il diritto di sabotare, ma ha il diritto di discutere nelle sedi opportune”. Non è facile prevedere cosa possa accadere nei prossimi giorni e c'è chi preconizza una rottura definitiva al primo delicato passaggio parlamentare (sulla giustizia?). Eppure quanto è accaduto ieri sembra aver soddisfatto tutti, anche il gran finiano Italo Bocchino: “Il programma di governo per noi è vangelo. Ma la minoranza deve essere rispettata”.
Non sarà la democrazia cristiana, ma quello che si è visto ieri non è sembrato neppure la recita di un partito. Hanno parlato tutti i dirigenti, i ministri, i capigruppo, la maggior parte dei quali, nei propri interventi, non ha del tutto aderito all'immagine irenica suggerita dalla elencazione di fatti e buone opere di governo compiute. Al contrario. L'immagine dei due leader rabbuiati non esaurisce il racconto di un'assemblea nella quale la tensione tra i cofondatori non ha impedito a Fabrizio Cicchitto di ribadire la necessità di un maggiore radicamento sul territorio (e di una concorrenzialità nei confronti della Lega); né a Maurizio Gasparri di sottolineare l'importanza del dibattito e delle scelte condivise all'interno di un grande partito di maggioranza.
Sfumature, proposte migliorative, qualche critica trasversale. Renato Brunetta ha polemizzato con Giulio Tremonti (“non è accettabile che non si tocchi nulla per paura del deficit”) e il ministro dell'Economia, a cui dall'interno si rimprovera di decidere troppo in solitudine, ha sorriso dicendo che “se non abbiamo fatto la fine della Grecia non è soltanto merito mio, ma di Berlusconi e di tutti noi del Pdl”. Il Guardasigilli Angelino Alfano ha risposto a Berlusconi, che aveva escluso riforme a maggioranza: “Fra tre anni i cittadini ci chiederanno, non se abbiamo dialogato, ma se abbiamo portato a casa la riforma promessa”.
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