Cronaca dello squassamento
Così è esplosa la rabbia vera tra due che prima si detestavano, ora di più
Tanto per l'uno, quanto per l'altro, si è trattato di una (mica bella) novità. Una giornata del genere – quando gli stracci volano e i seguaci gemono – l'antico sdoganatore dell'ipermercato di Casalecchio e lo sdoganato ancora allocato in zona almirantiana mai l'avevano vissuta – e mai allora potevano crederla possibile. Fini mostra all'inizio la solita faccia, la solita flemma, la solita mano nella saccoccia sinistra: ma certo non è molto abituato a una platea che fischia, lui che raccoglie consensi anche presso la platea delle feste dell'Unità.
Tanto per l'uno, quanto per l'altro, si è trattato di una (mica bella) novità. Una giornata del genere – quando gli stracci volano e i seguaci gemono – l'antico sdoganatore dell'ipermercato di Casalecchio e lo sdoganato ancora allocato in zona almirantiana mai l'avevano vissuta – e mai allora potevano crederla possibile. Fini mostra all'inizio la solita faccia, la solita flemma, la solita mano nella saccoccia sinistra: ma certo non è molto abituato a una platea che fischia, lui che raccoglie consensi anche presso la platea delle feste dell'Unità. Berlusconi è più umorale, e il suo umore oggi è pessimo. “Ho un consenso bulgaro”, dice arrivando, ma poi il dibattito scivola inopinatamente da est a ovest, dall'osanna all'assalto, dalla declamazione di “meno male che Silvio c'è” alla sorprendente “molto male Silvio c'è”.
E' prima un'ira fredda – i lampi che vanno dalla sguardo di Fini a quello di Berlusconi, e da Berlusconi a Fini: gente che magari ancora ieri si detestava, e che da oggi non si sopporta più – che mano a mano sale di tono, e sale, e sale, mentre una platea agghiacciata sta sospesa per ore tra una coltivata predisposizione all'acclamazione e un trauma che toglie il respiro. La faccia del Cavaliere era vero teatro, dentro un giorno da melodramma: marmorizzata al primo apparire di Fini, poi annoiata, a volte beffarda, volutamente stupita, quindi gonfia, scura, quasi intagliata nel legno appariva (così che la Moratti s'allarmava, “abbiamo bisogno del tuo sorriso”). Trattiene, Berlusconi, trattiene. Piccoli spostamenti verso la furia finale, una frase dopo l'altra, una parola al posto di un'altra, e il rotolare finale, di sdegno e di rabbia, verso l'alleato non più alleato. Ma questo 22 aprile – anno II del III governo del Cavaliere – devasta anche la faccia di Fini.
Che era in partenza composta e fredda, poggiata su una di quelle solite cravatte rosa che generano alla vista un indefinibile turbamento, ma ora è qui stravolta sotto il palco – e vorrebbe mantenersi ironica e gelida, “che fai, mi cacci?”, ma la vedi gettare sguardi intorno: sguardi un po' persi.
Hanno varcato lo soglia sulla quale tante volte si erano fermati, Gianfranco e Silvio. Ed è un reciproco rinfacciarsi di parole dette, di litigate fatte, di testimoni chiamati in causa (compreso l'ovviamente assente Gianni Letta, che mercoledì era saggiamente corso a una mostra sugli angeli, e ieri probabilmente faceva tentativi più in Alto). Uno scempio estetico – istituzionalmente parlando, una mirabile riproduzione da bagarre condominiale. La guerra fredda è diventata calda – e sarà guerriglia, nei mesi che verranno. Mentre Fini parlava, Berlusconi è anche arrivato a fare il gesto di aprire e chiudere le mani, stringere! stringere!, come in una commedia all'italiana genere “Un giorno in pretura”. E mentre parlava Berlusconi, Fini masticava la sua solita gomma.
Facce fintamente annoiate, di quelle che a mostrarle dovrebbero togliere autorevolezza a ciò che il contendente sta dicendo. Poi la noia (finta) e lo stupore (finto) hanno ceduto il passo a una rabbia vera, che s'intuiva covata chissà da quanto, nera la faccia berlusconiana, senza sospettabilità di eccesso di fard, stavolta. E' uno squassamento politico e umano – e se le conseguenze avranno bisogno di mesi per mostrarsi è solo per la vastità dei domini elettorali del centrodestra, non certo per la sua saldezza interna. Mentre le due facce dei protagonisti si gonfiavano ed esplodevano, dentro la sala stipata di disaccordi e rancori dell'auditorium, al contrario, era un nascondere le facce, un trattenere di espressioni almeno fino alla dichiarazione ufficiale di guerra.
E tutti, sugli schermi, a fissare la capacità di tenuta di Paolino Bonaiuti, che il destino ha voluto a fianco di Silvio e che la sorte ieri mattina ha posizionato in platea a fianco di Gianfranco. E così non fischia, non applaude e non gira la testa – a motivo di possibile e temuta incrociata con lo sguardo del presidente di Montecitorio. La regia mediatica dell'intera faccenda è stata più accurata di quella politica. Così, tutti i giornalisti fuori, ammucchiati davanti a un video – e a una malignità suprema degli organizzatori viene da pensare, ché proprio quando comincia a parlare Fini si materializzano tra i cronisti malamente sgomitanti camerieri in livrea che trasportano pane e salame e vassoi carichi di rigatoni col pomodoro. “Mi manca il fiato”, dice Alemanno (che pure a lungo parla). Quello rimasto a Silvio e Gianfranco verrà fuori nei giorni successivi.
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