La campagna elettorale inglese prosegue in tv

Perché tutti cercano di far scoppiare la bolla di Nick Clegg

William Ward

Subito dopo il secondo round dei tre dibattiti televisivi per contestare le prossime politiche in Gran Bretagna, gli analisti si sono messi subito a scrutare ogni frammento del vasto e sempre più complicato puzzle, dalle reazioni popolari alle performance dei leader dei tre maggiori partiti. Questa volta Gordon Brown e David Cameron erano più preparati sullo strano effetto mediatico scatenato di Nick Clegg – adulazione fino allo spasimo di larghi settori dell'elettorato, soprattutto fra quelli che non hanno mai votato – e quindi lo hanno attaccato con maggiore intensità, eppure il risultato finale era sempre a favore di Clegg, seppure di misura.

    Subito dopo il secondo round dei tre dibattiti televisivi per contestare le prossime politiche in Gran Bretagna, gli analisti si sono messi subito a scrutare ogni frammento del vasto e sempre più complicato puzzle, dalle reazioni popolari alle performance dei leader dei tre maggiori partiti.
    Questa volta Gordon Brown e David Cameron erano più preparati sullo strano effetto mediatico scatenato di Nick Clegg – adulazione fino allo spasimo di larghi settori dell'elettorato, soprattutto fra quelli che non hanno mai votato – e quindi lo hanno attaccato con maggiore intensità, eppure il risultato finale era sempre a favore di Clegg, seppure di misura.

    Per uno strano effetto psicologico collettivo, il giovane e telegenico leader dei LibDems sembra ormai destinato nella mente di certi inglesi a incarnare lo spirito della rifondazione etica del processo politico nazionale, anche se lo stesso Clegg e il suo partito sono stati coinvolti negli scandaletti delle spese parlamentari esattamente come gli esponenti di altri partiti: Clegg si era rifatto la cucina della seconda casa, a sbaffo del contribuente, e David Cameron ha cercato di ricordarlo (senza nominarlo) al pubblico in sala.

    E mentre il leader dei conservatori ha speso molte energie negli ultimi anni per rifondare il suo partito, spostando la sua filosofia verso un centro più liberal e rinnovando in modo radicale, da cima al fondo, la lista dei candidati (da Zapatory), e durante il dibattito ha chiesto scusa agli elettori in maniera più umile, è ora invece Nick Clegg che ne sta mietendo plausi come l'uomo della provvidenza, come il cuculo che si siede nel nido altrui e si mette a covarne le uova. Le politiche offerte dai LibDems sono in genere vaghe e generiche, e laddove sono chiare, si rivelano superficiali e populiste, oppure (nel caso dell'immigrazione e dell'Europa) sono impopolari, ciononostante tutti sembrano individuare in Clegg l'uomo del futuro.

    E Clegg stesso è nato e cresciuto nello stesso ambito fatto
    di privilegio ed esclusività quanto il leader tory, ma solo Cameron viene percepito come “posh boy”, l'odioso ragazzo di alto bordo.
    Leitmotiv degli interventi di Clegg è stato il continuo riferimento agli “old parties”, i  partiti vecchi ed esausti – anziché storici – cioè Labour e Conservatives, con veemenza degna di Donald Rumsfeld, incurante del fatto che il suo partito ha le proprie radici nel lontano fine Seicento. Come ha chiosato Cameron più volte, è un po' forte per il figlio più coccolato del vecchio establishment politico che adesso si ricicla come l'uomo di rottura dei vecchi schemi.

    E hanno avuto ragione gli esponenti dei partiti minori e regionali – sopratutto i nazionalisti scozzesi e gallesi – a chiosare che “in quasi tutto” i LibDems hanno politiche pressoché identiche a quelle degli altri due “partiti londinesi”, senza riferimento alcuno alle realtà di chi abita in Scozia o Galles. Un riflesso politico che in passato era prioritario ai LibDems, ma non più. Eppure Clegg continua a passare per la parte nuova dell'elettorato come l'uomo che romperà i vecchi schemi di tutto.
    Negli ultimi giorni l'Electoral Commission, l'ente nazionale che coordina le elezioni, rivela che c'è stata una forte impennata di giovani che si sono iscritti come elettori lastminute – come era successo per Obama negli Stati Uniti. E dietro delle indagini, emerge che molti di questi giovani non solo non considerano che un “hung parliament" (una camera senza maggioranza) sia un problema, ma che sono convinti addirittura che sia una cosa molto favorevole, per incrementare l'intensità e la sincerità delle discussioni.

    Un'altra ferma convinzione degli ultimi tempi che si è ormai rotta, è quella che voleva questa campagna elettorale la piu' “virtuale” della storia. Con buona parte della propaganda politica e le discussioni condotte in rete. Invece, come hanno dimostrato sia il numero di spettatori (oltre I 10milioni per entrambi i debates) che il prorompente impatto che hanno avuto Ii debates su larga fascia degli elettorali, è propria la cara, vecchia televisione che si ripropone come turbo-vettore della contesa politica, oggi più che mai.