Kiki, and friends

Alberto Arbasino

Caro Giuseppe, lei è indietro di un marito”, disse la bellissima Kiki (già moglie e poi vedova del barone Parisi, quindi consorte del conte Guido Brandolini d'Adda) al vecchio Cipriani che la salutava “Benvenuta, baronessa” nella sua nuova piscina veneziana. Brando, fratello di Guido, era marito di Cristiana Agnelli, sorella di Gianni. Che voleva molto bene a Kiki, veniva ai suoi pranzi, e la chiamava Kikkù, mentre lei lo salutava come Gianulasc: storie da dopoguerra. Graziella Brandolini, cognata e grande amica di Kiki, già vedova Arrivabene, sposò invece “Falello” de Banfield, fior di musicista decadente e sfortunato amministratore di molte  società triestine.

    Caro Giuseppe, lei è indietro di un marito”, disse la bellissima Kiki (già moglie e poi vedova del barone Parisi, quindi consorte del conte Guido Brandolini d'Adda) al vecchio Cipriani che la salutava “Benvenuta, baronessa” nella sua nuova piscina veneziana. Brando, fratello di Guido, era marito di Cristiana Agnelli, sorella di Gianni. Che voleva molto bene a Kiki, veniva ai suoi pranzi, e la chiamava Kikkù, mentre lei lo salutava come Gianulasc: storie da dopoguerra. Graziella Brandolini, cognata e grande amica di Kiki, già vedova Arrivabene, sposò invece “Falello” de Banfield, fior di musicista decadente e sfortunato amministratore di molte società triestine. Figlio ed erede di Maria Tripcovic, fondamentale (secondo Kiki) per le novità parigine e cosmopolite, fra le due guerre mondiali e dopo.

    I pranzi di Kiki erano bellissimi, e spesso indimenticabili, in Piazza di Spagna come al mare. Con fasto elegante, fra Ingres e Klee alle pareti, affettuosamente festeggiò l'ormai non più giovane Margot Fonteyn, già sua ospite a Venezia, quando il loro piano del palazzo Brandolini diventava un piano-bar sul Canal Grande per visitatori come Laurence Olivier e Vivien Leigh.
    Quella sera, all'Opera di Roma, partner della Fonteyn che alla precedente venuta era stata festeggiata da Maria Luisa Astaldi, era però il nuovo e ancora sconosciuto Rudolf Nureyev. E lui si rivelò come divo assoluto nello spettacolare ‘pas-de-deux' del “Corsaire”. Era ancora molto selvatico. E chissà cosa aveva capito. In un salotto, esclamò “You are all communists!”. Aggiunse anche “Especially you and you!”, puntando dita accusatrici contro Enrico d'Assia e Federico Forquet, che giustamente trasecolarono. Nureyev poteva essere assai ‘tranchant'.

    Tempo dopo, verso mezzanotte, lo vedo che si agita
    in mezzo al Tritone, all'incrocio con via Due Macelli. Fermo la macchina, e gli dico che i romani non si fermano, e lui rischia di non ballar più per tutta la vita. Animato, lui spiega che Luchino Visconti gli ha promesso una serata divertente, e poi l'ha portato in una casa assai impegnata dove tutti discutevano di politica italiana interna, senza possibilità di avventure. Lo portai in un locale galante, e me ne fu grato. Anche poi a Milano, quando lavorava alla Scala e non aveva amici con automobile, proponeva “un giro delle pagode”. (“The Prince of Pagodas” era allora un popolare balletto di Benjamin Britten).

    Con lui e Carla Fracci, alla Scala, Enrico e Federico misero poi in scena un magnifico “Lago dei cigni”, festeggiato con un gran pranzo dalla grandiosa Anna Bonomi, con le “Gigine” padrone della famosa Villa Necchi Campiglio (oggi del FAI). Si andò con un gruppetto romano, e Kiki prevedeva gite cone le due Rolls-Royce di suo figlio Rodolfo (Parisi), lì a Milano. Misteriosamente, però, non erano disponibili in quei giorni. Forse anticipando “qualcosa che non si sarebbe mai voluto vedere”: come dovette scoprire poi Kiki, andando a chiudere i vari appartamenti europei di Rodolfo, più tardi morto in uno strano accidente londinese, mentre Bino Cicogna e altri suoi amici da night-club perivano in altri singolari incidenti qua e là. Prima, tutt'al più, Kiki si preoccupava perché le raccontavano che la notte prima suo marito Guido e suo figlio Rodolfo si erano urtati al bar di un club. Dove peraltro Gianni Agnelli si faceva portare al tavolino una bottiglia di whisky e non un bicchiere. E il suo amico Galvano Lanza uscendo pagava. E quando Gianni elogiava il bel dietro di Cristina Ford, lei ringraziava: “Grazie, caro avvocaticchio, ti lasceremo la tua fabbrichetta”.

    “Sprezzature” d'altri tempi… Kiki, dopo una colazione con Saul Bellow, che era stato molto galante: “Sa far la corte come solo i Mitteleuropa d'una volta”… E Giovanni, dopo che si era andati a trovarlo, in via di Villa Ruffo: “Questi non sanno cosa fare a Villa Borghese, e allora vengono qui”. Scendeva a colazione in Piazzale Flaminio; e lì, una torrida estate, udì un avventore chiedere “un brodo ben caldo”. Mentre a Capalbio, dove Giovanni godeva di molte ammiratrici, dopo che ci furono spiegati certi vini siciliani – o aristocratici, o di mafia – un oste milanese innocente ci offrì un vino appunto mafioso. E una dama palermitana: “Grazie, pasteggerò a gin-and-tonic”.

    Ma furono indimenticabili anche alcune colazioni, da Kiki. Nell'ultima nevicata romana, dalle sue finestre guardavamo la piazza di Spagna imbiancata e non spazzata e deserta. Attraversata solo dai cavalli Torlonia, di ritorno nelle scuderie in via Mario dei Fiori. E ascoltando gli scricchiolii dei rami troppo gravati, sul Pincio, con Mary McCarthy nuova a Roma e Max Frisch appena uscito dalla sua storia con Ingeborg Bachmann.
    Con Kiki si ridacchiava sulle avventure galanti, che lei viveva preferibilmente a Parigi e a Cannes. Dove si dormiva al Gray d'Albion, andando poi col suo yacht a colazione davanti St-Tropez. E qui, le triglie. Il nostro amico Giovanni Urbani – così simpaticamente rievocato dal Foglio – si levava all'alba per comprarle al mercato del pesce. Benché Kiki osservasse che per i pesci il cuoco della barca era di per sé bravissimo. Ma quando poi venivano degustati davanti a Tahiti-Plage o altre plages, si poteva dispiegare una vera acribia da connaisseurs a tavola. Mentre poi, non lontano, presso Monte Carlo, alla “Isoletta” della mirabile e ancora indimenticabile Mia d'Acquarone e de Riencourt – una piscina dentro una penisola – a una colazione si aspettava a tavola soltanto Valeria Litta, famosa dama all'epoca. E Giovanni, casually: “Forse è imbarazzata perché ci siamo visti nudi nello spogliatoio”.

    Forse più che una sventura irreparabile univa Giovanni Urbani ed Ennio Flaiano: la tragedia di uomini intelligentissimi con figli irreparabilmente minorati. Si stava continuamente insieme. Qualche volta, con momenti drammatici. Una volta, riuniti come al solito per un drink e poi pranzo, Flaiano ritarda, gli telefoniamo, e risponde con malumore che non può venire. Un'altra sera, dopo cena, a casa mia in via del Consolato, Goffredo Parise scende per spostare la macchina. Rientrando ci vede improvvisamente in mutande, in piedi sulle sedie, per suggerimento improvviso di Kiki. E non ride affatto. Sbotta: “Non fate i cretini”.
    E noi: “Tableaux vivants! Ahahà! Smile! Cheese!”.
    Forse, a pranzo da “Cesaretto” – con Flaiano e Duddù La Capria e Comisso e talvolta Antonio Delfini, con G. B. Vicari – probabilmente solo Sandro Viola portava doppipetti di grisaglia chiara paragonabili per taglio e tessuto agli impeccabili “completi” di Giovanni Urbani. Avevo infatti osservato, prima di stabilirmi a Roma, i completi di Mario Pannunzio e degli altri autorevoli del Mondo. E ne avevo dedotto gli stessi insegnamenti (impopolari presso il miglior sarto di Voghera) del cameriere di un gentiluomo napoletano in visita a Londra a alloggiato in Jermyn Street: “Eccellenza, qua a Londra il solo vestito da inglese è Vossignoria”. Al Mondo e da “Cesaretto”, dunque, tutto a posto.

    Molto più spesso, i pranzetti a quattro con Cesare Brandi. A Roma, teneva un pied-à-terre dove non si cucinava. Anzi, secondo Giovanni, in via del Pellegrino, dopo la mezzanotte il Professore vegliava dietro una porta socchiusa per riparare un fratello che folleggiava in Campo de' Fiori e veniva inseguito da ceffi contro i quali sbattere il battente. Per lo più all'aperto in Piazza Navona – allora deliziosa e tranquilla, tutt'al più Lily Volpi al “Sodomiziano” constatava “Et voilà l'imbécile” quando il suo maggiordomo folleggiava in piazza – si cenava con Kiki e Giovanni e Brandi, spesso con punte polemiche. “La solita spocchia accademica!”, commentava Giovanni. E Cesare si alzava indignato, faceva un giretto dell'isolato, e tornava a sedersi con un vero “frinire” senese. Quando Siena stabilì di conferire a Brandi la cittadinanza onoraria, alla solenne cerimonia lui designò G. C. Argan (con lectio accademica), Giacomo Manzù (un paio di “uhm uhm” di circostanza) e il sottoscritto.

    Eseguii la performance richiesta, con immenso affetto che sapevo e sentivo condiviso. Pensando a Giovanni, a Kiki, ai pranzetti. Poi, la stessa macchina del Comune mi riportò a Firenze. E lì, il posto del Professore (che già era amputato) era tutto bagnato. Giovanni è stato ampiamente ricordato a cura di Stefano Di Michele (“Ritratto di signore”) recentemente sul Foglio. Raffaele La Capria ha rievocato lui e Kiki in “Un amore ai tempi della Dolce Vita”. Ma l'alta mondanità e gli alti studi li tenevano piuttosto lontani dagli ambienti di Via Veneto. Dopo la morte di Giovanni, Kiki non uscì praticamente più. Silenziosamente arrivava un suo regalo natalizio: un piatto di cristallo Lalique.