Bossi: "No al voto anticipato, subito il federalismo"

Che cosa fa paura alla Lega

Umberto Silva

Chi sono i leghisti? Forse gente spaventata dietro una maschera spavalda, e chi vive nel timore può diventare temibile. I primi a far loro paura sono stati i terroni, poi i romani de Roma, ora i negri, domani chissà. Perché la Lega si sente minacciata, e da chi? Dai watussi? Dai moldavi? Cosa le hanno fatto? Rubano le donne? Portano via il lavoro? Invadono la terra? Fanfaluche, c'è dell'altro. Chi è quest'altro? Da chi davvero i leghisti si vogliono distinguere con la squillante camicia verde, inequivocabile segno di appartenenza e fratellanza?

Leggi Leghista e antischiavista, l'editoriale su Roberto Maroni - Leggi il ritratto di Umberto Bossi scritto da Annalena Benini

    Chi sono i leghisti? Forse gente spaventata dietro una maschera spavalda, e chi vive nel timore può diventare temibile. I primi a far loro paura sono stati i terroni, poi i romani de Roma, ora i negri, domani chissà. Perché la Lega si sente minacciata, e da chi? Dai watussi? Dai moldavi? Cosa le hanno fatto? Rubano le donne? Portano via il lavoro? Invadono la terra? Fanfaluche, c'è dell'altro. Chi è quest'altro? Da chi davvero i leghisti si vogliono distinguere con la squillante camicia verde, inequivocabile segno di appartenenza e fratellanza? Stringiamoci tra di noi, serriamo i ranghi, impediamo che l'altro s'infiltri, l'altro porta corruzione e morte. Ma chi è l'altro?

    Da dove arrivano i leghisti, da quali lombi discendono? Enzo Bettiza scomoda niente di meno che Maria Teresa d'Austria e Giuseppe II, ma non è la storia il vanto leghista, piuttosto la geografia: terra, acqua, natura. Con i padri hanno dei problemi. Il film celebrativo della nascita della Lega non si chiama “Alberto da Giussano” ma “Barbarossa”, il potente imperatore del Sacro Romano Impero e re d'Italia, un barbaro rifatto cristiano, un aspirante padre padrone contro il quale la Lega ha un tempo gagliardamente combattuto. Un millennio dopo agli occhi di un altro figlio ribelle, Umberto Bossi, l'Italia incarna il nuovo Barbarossa, dalla cui indegna patria potestà sfilarsi quanto prima. Non perché l'Italia sia un padrone così feroce, ma perché è peggio, uno straccione puzzolente e corrotto, il Marmeladov di “Delitto e castigo” capace di mandare la figlia a prostituirsi per poche copeche. Solo che Roma di copeche ne vuole tante, troppe. Quindi guerra! I leghisti non nascono in fastose dimore, ma nella polvere della battaglia, sono figli della rivolta contro colui che usurpa il titolo di padre, un falsario che per le sue losche trame ha sempre favorito gli altri, i fratelli fannulloni del sud e ora gli inquietanti cugini d'oltremare.

    Ai leghisti l'Italia è sempre apparsa come un cadavere che appesta l'aria, ed essi hanno terrore dei morti, quel terrore atavico di cui parla Freud in “Totem e Tabù”. Hanno il terrore che i morti non lo siano mai del tutto e si avvinghino ai vivi. Il sud marcisce sotto il sole e i leghisti temono che voglia trascinare il nord nella tomba, anche per vendicarsi della Cassa da morto del mezzogiorno che per tanti anni il nord gli ha allestito, un funesto assistenzialismo dovuto a un risorgimentale senso di colpa.

    Occorre scrollarsi il cadavere di dosso, i morti stiano con i morti e i vivi con i vivi, nessuna comunicazione tra le due razze, nessuna confusione, confini ben netti e al diavolo the others di Kipling e i giri di vite di James! Ci si rifugia così nelle superstizioni del purismo, una sana ipocondria che dovrebbe preservare dalla contaminazione. L'esibizione di un'ignoranza plateale si fa garante di una purezza psichica ancora recentemente ostentata come un fiore all'occhiello perfino dal colto Tremonti, leghista ad honorem che si è pubblicamente vantato di non leggere libri; i leghisti non perdono occasione di proclamarsi esenti dal germe dell'eccesso di pensiero e di parola, la subdola malattia che da sempre corrode l'antico spirito italico. L'idea che il pensiero, la parola, la cultura, l'arte, la bellezza, possano sedurre e corrompere al pari di Eva nel paradiso terrestre, imprigiona i leghisti nell'eterofobia, nel culto della stessità. Semplificare è la parola d'ordine, tanto che ne hanno fatto un ministero peraltro utilissimo; occorre partire da zero possibilmente non andando troppo oltre.

    Il contrappasso al progetto di abbandonare i fratelli e il padre indegno al proprio mortale destino è di vedere fratelli e padri ovunque, più uniti e complici che mai, una vista insopportabile per chi si sente il figlio ingannato e sfruttato. “Io dovrei pagare il loro sordido amorazzo?!”. Un supplizio per i leghisti vedere come gli extracomunitari si aggrappino ai miseri resti di padre che si sono portati appresso, e come le badanti rumene evochino con occhi luccicanti le tradizioni natie. La pietas non difetta ai leghisti, ma la paterfobia vince: “Basta con queste stupide nostalgie! Tutti costoro che dal padre tanto poco hanno ricevuto, lo rinneghino! Noi possiamo offrire molto di più, se abiurano”.

    Al figlio che disprezza il padre risulta inammissibile che qualcuno possa amarlo nonostante tutto. Se lo amano è perché insieme con lui stanno complottando per rovesciare il riconquistato diritto dei figli ribelli e restaurare l'antico sopruso; o addirittura tramano per mettere il loro padre straniero sul trono. La Lega è affollata di brava gente, attiva, incisiva e veloce, tuttavia la storia è colma di spaventose derive paranoiche che occorre sempre tener presente, a eterno monito, i leghisti come ciascuno di noi, che nessuno ne è immune. I nazisti uccisero gli ebrei perché, cacciati dalla loro terra, avevano portato Dio con sé e non passava giorno che non l'onorassero. Gli artisti russi cantavano che la patria di ciascuno è l'anima, e dai bolscevichi furono costretti al suicidio e all'esilio. Nello sgangherato sud ancora si continua ad amare il padre incontrandolo nei luoghi più equivoci; il leghista impazzisce di rabbia all'idea che laggiù si passi il tempo ad amoreggiare con lui, invece di farsi il culo a lavorare. “Arroganti necrofili, non vi accorgete neppure che Dio è morto, morto per sempre, e che neppure voi esistete! Un giorno verrà l'agognata Secessione, che sarebbe più giusto chiamare Successione, perché allora apparirà chiaro a tutti che il figlio legittimo sono io, il senzapadre, quello che si è fatto da sé, grazie a mammà”.

    I leghisti rifiutano il padre accusandolo d'essersi effeminato gustando la mela avvelenata del pensiero e dell'arte, amano invece la Grande Mamma, una solida e alacre madreterra di nome Padania, cui restare avvinghiati con robuste e profonde radici. “Non avrai altra donna all'infuori di me”, dice al figliolo la sciura Padania, “io e te soltanto, nessun altro a turbare la nostra storia. Un padre naturale in fondo ce l'hai anche tu, il fiume Po, sempre più secco e inquinato lui pure. Che disastro questi uomini!”.

    Tutto a posto, quindi, ciascuno al suo posto? Grazie al cielo, no. Le tentazioni non lasciano dormire, la tentazione di diventare altro abbandonando quel che si crede di essere, una presunzione che rimpicciolisce e schiaccia. La si chiama tentazione ma in realtà è desiderio, e il desiderio fa paura, provocando fobiche reazioni… che finalmente svelano chi davvero è l'altro, per il leghista come per ciascuno. Il timore dell'altro è il timore dell'altro che si potrebbe, vorrebbe, diventare, l'altro che già inconsciamente si ama, e perfino in qualche modo già… si è. “Mon enfant, ma soeur/ songe à la douceur/ d'aller là-bas vivre ensemble!”, canta Baudelaire nell'“Invitation au voyage”, poesia assai cara ai leghisti… 0il giorno che la leggeranno. Un augurio. Il distacco dalla mamma materna e l'incontro con il padre – anch'egli è altro da quel che si crede di conoscere, è Colui che ci sorprenderà – avvengono solo mettendosi in cammino. Renzo Bossi, la Trota, si è vantato d'essersi fermato a Roma; ma quando si trasformerà in salmone e, vincendo la corrente del pregiudizio, oserà inoltrarsi nel profondo sud, il ragazzo incontrerà altro e potrà crescere. L'alterità nutre, la stessità dissecca. Quale viatico, gli consiglio il “Viaggio in Italia” del grande Rossellini, film dove il frigido George Sanders riesce finalmente a innamorarsi di sua moglie, ad abbracciarla laddove il suo sterile razionalismo mai avrebbe pensato: a Napoli, nel bel mezzo di una tumultuosa processione di popolo e di santi. La vera ricchezza è amare.

    I leghisti non sono soltanto malinconia autarchica, sono anche speranza. Per quanto si sforzino di dire le stesse cose, i leghisti non fanno tutt'uno; nessuno ci riesce, poiché ha un'anima. Vi sono quelli più cupamente attaccati al fantasma materno e quelli che vorrebbero andare oltre. Le differenze cominciano a farsi notare. Cosa sta accadendo in Maroni da quando combatte la mafia? Forse anche nella Lega si sta facendo strada l'idea che la malattia mortale non sia la parola ma il mutacismo e l'omertà. E parlando della Grecia e dell'incendio che colpisce il vicino, non ha Tremonti ammesso che il vicino siamo noi? Che il vero fare sia il non lavarsene le mani? Gli irrequieti vanno incoraggiati; il loro entusiasmo è una risorsa. Al nord ordinato e civile non serve il fervore della Lega, è l'abulico e feroce sud ad averne necessità. Sempre che a sua volta osi aprirsi all'avventura, alla novità. “Non si possono più pensare le cose cui troppo a lungo si è pensato. /Che la bellezza muore di bellezza e il merito di merito / E le antiche fattezze si cancellano. / Irrazionali correnti di sangue macchiano la terra…

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