Idee di un impolitico

Fini e Berlusconi sono più intelligenti di quanto credano i loro seguaci o avversari

Alfonso Berardinelli

Ho trovato sconcertante, nella mia ingenuità politica, il modo in cui osservatori, commentatori e parlamentari hanno interpretato il recente conflitto nel Pdl tra Fini e Berlusconi. Quasi tutti, sia all'interno della destra che sulla sponda opposta, hanno gridato alla catastrofe e al crollo, hanno parlato di spaccatura irreparabile, fine di un partito appena creato, elezioni anticipate, paralisi dell'azione politica.

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    Ho trovato sconcertante, nella mia ingenuità politica, il modo in cui osservatori, commentatori e parlamentari hanno interpretato il recente conflitto nel Pdl tra Fini e Berlusconi. Quasi tutti, sia all'interno della destra che sulla sponda opposta, hanno gridato alla catastrofe e al crollo, hanno parlato di spaccatura irreparabile, fine di un partito appena creato, elezioni anticipate, paralisi dell'azione politica nel centrodestra, spettacolo indecente, provocazione intollerabile da parte di Fini, o sua decisione di prendere politicamente un'altra strada. Dopo qualche giorno mi sembra che le valutazioni siano più equilibrate. Berlusconi è già diverso. Ha metabolizzato. Non si fa travolgere certo dai malumori. Fa lo statista.

    E soprattutto, molto lentamente, giornalisti e politici
    tendono a riassumere in modo diverso il senso della vicenda attenendosi alle formule usate da Fini: nessuna rottura, il partito lo abbiamo fondato insieme, è il nostro partito, ma proprio per questo vogliamo che sia davvero un partito: va bene la leadership carismatica che tiene uniti e fa vincere le elezioni, ma la politica non può essere solo questo, è necessario e utile il dissenso interno e bisogna trovare le forme giuste perché possa manifestarsi: questo servirà a chiarire i progetti di riforme di cui si parla, a partire dal federalismo che non può restare monopolio della Lega.

    I miei amici giornalisti diranno che la mia è fantapolitica,
    ma credo che tutto sommato Fini e Berlusconi, nel loro complesso legame, non sempre facile da gestire, alla fine siano più intelligenti di quanto credono i loro seguaci o avversari. Credo che proprio in un momento di vittoria elettorale fosse il caso, con un colpo violento e magari anche equivoco (siamo in politica! nessuno è puro), di aprire la discussione, ricca di futuro si spera, su quella democrazia interna a cui il Pdl non è molto abituato. Ma il Pdl non è più Forza Italia. E Fini, non più capo di Alleanza nazionale ma cofondatore di un partito nuovo, cerca di dare spicco alla propria identità. Che altro potrebbe dare a Berlusconi un leader di destra storica come Fini, se non il richiamo all'autorità dello Stato e alla legalità?

    Che altro se non il senso dell'unità nazionale,
    ricordando che il Sud esiste, proprio nel momento in cui la Lega, “partito territoriale” per autodefinizione, prende possesso del Nord? Provocare Berlusconi su questo e altro ha voluto dire, da parte di Fini, anche provocare la Lega a non sentirsi illimitatamente vittoriosa. Per non parlare del fatto che l'attrito tra Berlusconi e Fini tende, se non a esautorare, a togliere smalto all'opposizione esterna del Partito democratico e di Di Pietro. Non l'avranno fatto a posta, ma certo lo scontro ha rianimato, rafforzato, reso più interessante il centrodestra. A detta di quasi tutti, Maroni, nella lotta alle mafie, è un ottimo ministro degli Interni. Non lavora, così, a migliorare il Sud? Non lo aiuta a liberarsi dai mostri? Credo che aprile non sia stato un cattivo mese per la politica italiana. Forse perfino un mese che rischia di diventare degno di memoria.


    E' aumentata la mia curiosità per la trasmissione “L'infedele” e per Gad Lerner. Lo conosco, è uno dei pochi giornalisti televisivi definibili “intellettuali”, so grosso modo qual è la sua storia e quindi lo trovo molto interessante per capire che cosa succede nelle più prensili menti della sinistra. Nella trasmissione del 26 aprile Lerner ha di nuovo preso di mira il leghista di turno cercando in tutti i modi di metterlo con le spalle al muro e usando contro la Lega niente di meno che Garibaldi, poi anche Mazzini, poi tutto il Risorgimento. Purtroppo si è parlato poco del federalismo di Carlo Cattaneo, un tempo prediletto dagli intellettuali di sinistra.
    Lerner ha esibito ripetutamente un volantino leghista dell'anno scorso in cui si diceva (non ricordo le parole esatte) che Garibaldi era una specie di bandito e che i suoi monumenti sparsi in tutta la penisola andavano demoliti. Beh, allora? cari leghisti, come la mettiamo? siete arrivati a questo punto? parlate male di Garibaldi! Un rappresentante del Partito democratico, intanto, illustrava i progressi sociali e l'aumentato benessere che caratterizza oggi l'Italia unita rispetto all'Italia disunita e asservita allo straniero prima del 1861. Già, rispetto a un secolo e mezzo fa c'è più benessere… Merito del Risorgimento?

    C'erano in studio anche due storici, che con maggiore o minore chiarezza hanno cercato di immettere nella discussione-scontro (Garibaldi contro Lega, unità italiana contro egoismi regionali, cultura contro rozzezza) qualche elemento in più, qualche motivo di dubbio (anche su Garibaldi) e spunto di riflessione (sulla distorta e incompiuta unità). Ma era evidente che il compito che il conduttore si era assegnato era di snidare la Lega, mostrarne l'indecenza e così convincere il pubblico che votarla è un errore grave da non commettere più.
    Un siciliano del Pdl ha detto qualcosa che qualunque studente poteva dire e che tradurrei così: per favore, distinguiamo meglio tra valutazioni generali sulla storia d'Italia (Risorgimento, Grande Guerra, Fascismo, Resistenza, presenza della Chiesa, boom economico…) e conflitti politici attuali.

    Nel frattempo pensavo che Garibaldi non è stato mai esattamente parte del patrimonio della sinistra a dominante marxista, che ha sempre respinto il culto degli eroi risorgimentali, il culto della Nazione, della Patria e del Tricolore. Fu Craxi semmai a riscoprire e rivalutare Garibaldi, ma non sta bene ricordare Craxi. Venivano in mente altre cose: che il famoso garibaldino Nino Bixio represse con fucilazioni e arresti di massa la rivolta contadina di Bronte, che Carlo Levi nel suo libro più famoso mostrò che i poveri del Sud si sentivano più vicini all'America in cui emigrare che non a Roma. “Noi non amiamo la patria”, scrisse Geno Pampaloni ricordando le sue esperienze dal 1943 al '45…

    In effetti è stata la Lega che minacciando secessioni (improbabili) e inventando una patria diversa e ridotta, sociologica e non politica (la Padania), ha spinto la sinistra a diventare antiterritoriale, antidialettale e patriottica. Pochi anni fa, con Galli della Loggia, feci per Radio3 un programma sulla nascita dell'Italia unita e ricordo che quasi tutti i radiofonici di sinistra che avevamo intorno ci guardavano con una certa sufficienza, come due patrioti anacronistici che si appassionavano a un passato ammuffito, sospettabili di nostalgie immotivate e di tradimenti morali verso il popolo reale ignorato dal Risorgimento e oppresso dallo Stato unitario. Una volta la sinistra era populista e operaista (populista aggiornata). Ora populista è la destra: guida quella “razza pagana” senza valori né ideali o ideologie che detesta lo Stato, non crede nella patria e diffida come sempre di chi amministra la giustizia. Il groviglio politico italiano è diventato inestricabile e rende ancora più irreali i dibattiti televisivi.

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