Questa sera Barcellona-Inter

Perché dal modello Barcellona non abbiamo niente da imparare

Beppe Di Corrado

Civili, i catalani. Sportivi e tranquilli, figli di un mito pallonaro che rifugge la violenza. C'è una distorsione della realtà che i giornali raccontano da giorni su Barcellona e i suoi tifosi. L'avessimo fatta noi italiani la sceneggiata delle magliette che minacciano di vendere cara la pelle, parleremmo di minacce. L'hanno fatta loro ed è colore. La verità è che oggi i catalani sembriamo noi e loro sembrano italiani. Perché non c'è solo la storia delle t-shirt nere.

    Civili, i catalani. Sportivi e tranquilli, figli di un mito pallonaro che rifugge la violenza. C'è una distorsione della realtà che i giornali raccontano da giorni su Barcellona e i suoi tifosi. L'avessimo fatta noi italiani la sceneggiata delle magliette che minacciano di vendere cara la pelle, parleremmo di minacce. L'hanno fatta loro ed è colore. La verità è che oggi i catalani sembriamo noi e loro sembrano italiani. Perché non c'è solo la storia delle t-shirt nere: c'è la reazione di Xavi nel tunnel del Meazza all'andata, c'è la conferenza stampa di Piquè di lunedì pomeriggio. I toni molto più alti del normale, soprattutto quando si spaccia il Barcellona e il calcio spagnolo come diverso dal nostro. Diverso e quindi migliore: rilassato, spensierato, felice.

    L'impressione è che una settimana d'attesa di Barcellona-Inter abbia modificato tutto quello che sapevamo del modo di affrontare le vicende pallonare lì in Catalogna: ci siamo messi a raccontare la passione sana, la bolgia civile del Camp Nou, l'entusiasmo che entra ed esce dalle strade di Barcellona che arrivano allo stadio, l'accoppiata di blu e granata che si mischia al giallo e rosso dell'indipendentismo catalano. Sette giorni di cattivi pensieri, per citare una rubrica pallonara e non solo celebrata in questi giorni, hanno raccontato una verità diversa della quale però nessuno ha voluto parlare: perché quel gruppo di ragazzotti che ha accolto Mourinho a Barcellona a sputi, calci e pugni sul van che l'ha trasportato dall'aeroporto all'albergo, è stato trattato come un fenomeno marginale. L'avessimo fatto noi, qui in Italia, saremmo stati pronti ad auto-fustigarci come vigliacchi e violenti guastafeste di uno spettacolo straordinario e unico. E' successo nella civile Catalogna, invece, e quindi non è niente. Così come le dichiarazioni di Piqué. Perché Claudio Ranieri fu crocifisso al suo rientro in Italia dopo le esperienze all'estero. Arrivò a Parma e alla prima conferenza stampa da allenatore di una squadra che lottava per non retrocedere disse così: “Non faremo prigionieri, ma solo morti”. Parlava per metafore, ovviamente, ma lo costrinsero a chiedere scusa al mondo intero. Il difensore del Barça, invece, se l'è cavata con una altrettanto metaforico rimprovero, eppure ha detto praticamente la stessa cosa: “Voglio che appena entrati in campo, i giocatori dell'Inter rimpiangano di essere calciatori”. Come a dire: spaventateli, terrorizzateli, minacciateli.

    E' come se il Barcellona e quello che rappresenta sia intoccabile a prescindere, anche quando sbaglia. E' evidente che prima della sfida di ritorno con l'Inter erano preoccupati, frustrati, tesi: la mancanza d'abitudine alla sconfitta tramortisce anche i più sereni e tranquilli sportivi. Però si può anche dire che stavolta, almeno stavolta, hanno fatto la figura degli italiani. Che poi non è neanche l'unica: nessuno ricorda oggi la testa di maiale sgozzato lanciata in campo per umiliare Luis Figo che tornava a Barcellona con la maglietta del Real: sembrava quella scena del "Padrino" in cui il produttore cinematografico hollywoodiano si trova la testa del suo cavallo milionario nel letto perché non accetta una proposta di Don Vito Corleone. Adesso nessuno lo ricorda perché bisogna marcare le differenze e loro, non si capisce perché, devono essere comunque meglio di noi. Anche se martedì notte sono andati in massa sotto l'albergo dell'Inter a fare caos, chiasso, rumore per non far riposare i calciatori italiani. La sportività è un'altra cosa, lo sanno loro e lo sappiamo noi. Però non possiamo dirlo perché dobbiamo trovare a ogni costo un modello di riferimento. Abbiamo trovato quello del Barça e della Catalogna: bisogna portarlo avanti a ogni costo, anche se in fondo da insegnarci non ha poi molto.