Chi guida il partito antitasse?
Ecco le prove storiche della bontà di sane e robuste sforbiciate fiscali
Dicono gli economisti americani: “If you tax something, you get less of it”. Se il reddito è tassato, la gente guadagnerà di meno. Se è tassato il lavoro, la gente lavorerà meno. Se è tassato il risparmio, la gente risparmierà di meno. La ovvia conclusione è che, se la crescita economica è tassata, ci sarà meno sviluppo. L'Italia ne è un caso scuola. Con aliquote sul reddito personale e d'impresa più alte della media europea, con una pressione fiscale più aggressiva, con un sistema tributario più complesso, ha raccolto, negli anni del boom, il risultato deludente di una crescita al rallentatore.
Dicono gli economisti americani: “If you tax something, you get less of it”. Se il reddito è tassato, la gente guadagnerà di meno. Se è tassato il lavoro, la gente lavorerà meno. Se è tassato il risparmio, la gente risparmierà di meno. La ovvia conclusione è che, se la crescita economica è tassata, ci sarà meno sviluppo. L'Italia ne è un caso scuola. Con aliquote sul reddito personale e d'impresa più alte della media europea, con una pressione fiscale più aggressiva, con un sistema tributario più complesso, ha raccolto, negli anni del boom, il risultato deludente di una crescita al rallentatore. Tra il 2000 e il 2008, il pil dell'Ue a 27 è lievitato mediamente di 2,2 punti percentuali l'anno; quello italiano di 1,1. Nel 2009, l'anno della crisi, abbiamo perso il 5,1 per cento del prodotto interno lordo, l'Ue a 27 si è fermata a meno 4,2.
Nel 2010, l'anno della sperabile ripresa, si stima un pareggio: più 0,7 per cento per tutti. Tirando le somme: ci siamo arricchiti di meno con le vacche grasse, abbiamo perso di più con le vacche magre, e ora arranchiamo. In un simile contesto di asfissia, la bandiera del meno tasse per tutti – sgualcita nel dibattito politico, raccolta ieri da Carlo De Benedetti con un intervento sul Foglio – potrebbe, se sventolata con convinzione, aiutare il paese a risalire.
Anzitutto, per una questione di equità nei rapporti tra lo stato e i contribuenti: il Cav. una volta diceva che è “immorale” che il settore pubblico assorbisse metà della ricchezza generata dal settore privato. Oggi ha dunque il dovere morale, per la sua storia e per rispetto ai suoi elettori, di tener fede alla promessa di respingere il Leviatano ingordo. Non ha solo il dovere morale: ha anche l'interesse. L'evidenza empirica di ogni tempo e luogo mostra che le riduzioni fiscali, se sono sufficientemente robuste e credibili, e se non si trascinano o diluiscono negli anni come una stanca promessa elettorale, hanno un formidabile effetto pro-crescita. Il miracolo europeo dell'Irlanda e dei paesi ex comunisti si spiega anche con le loro coraggiose riforme fiscali, spesso nel segno della flat tax.
Dice: troppo facile, quelli partivano da zero. Anche chi non partiva da zero ha fatto la stessa esperienza. E' successo nella Gran Bretagna di Margaret Thatcher, e negli Stati Uniti almeno tre volte nel passato recente: negli anni Sessanta con JFK (a cui si deve una crescita media annua del 5 per cento tra il 1961 e il 1968), negli anni Ottanta con Ronald Reagan e i suoi incredibili novantadue mesi di crescita ininterrotta, negli anni Duemila con George W. Bush. Il bello è che non necessariamente bisogna scegliere tra tagli fiscali e rigore contabile. Più crescita economica comporta un allargamento della base imponibile.
Tempo fa il Foglio ha documentato il successo dell'aliquota unica nell'Est europeo: nei sette stati “flattisti” membri dell'Ue la pressione fiscale, nel 2008, era mediamente del 30,5 per cento contro il 40,2 per cento dell'Ue a 27 e il 42,8 per cento italiano.
Contemporaneamente, nel triennio 2005-2008 il gettito nominale dell'imposta sul reddito è cresciuto mediamente del 16,8 per cento annuo, contro il 5,9 per cento dell'Ue a 27 e il 6,9 per cento dell'Italia (che nel frattempo ha aumentato le aliquote con la Finanziaria 2007 e l'anno successivo ha introdotto la Robin Tax su alcuni importanti settori industriali). Nell'immediato, naturalmente, la retromarcia fiscale può causare un calo del gettito: va costruita bene e, semmai, può fornire l'occasione per mettere in atto quelle riforme, dalle pensioni alla spesa pubblica fino alle privatizzazioni, che da troppo tempo sono sull'agenda. Il beneficio di medio periodo è però innegabile ed enorme, per tutti. Non c'è dubbio che nel lungo termine saremo tutti morti. Ma alzi la mano chi al morire, preferisce il morire povero.
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