Chi guida il partito antitasse?

Perché il manifesto lib-dem di CDB innova i paradigmi della sinistra

Stefano Cingolani

Ricordate quando tassare era bello e pagare le imposte un dovere morale non un'amara necessità? L'autunno dell'Ulivo spingeva Romano Prodi a citare san Paolo, in uno dei più controversi passi dell'epistola ai Romani in cui l'apostolo invita i fratelli a rispettare l'autorità perché viene direttamente da Dio (anche quella dei tiranni e dei persecutori? Per duemila anni ci si è rotti la testa su quelle parole). Vincenzo Visco inventava la tassa sull'euro (in parte restituita).

    Ricordate quando tassare era bello e pagare le imposte un dovere morale non un'amara necessità? L'autunno dell'Ulivo spingeva Romano Prodi a citare san Paolo, in uno dei più controversi passi dell'epistola ai Romani in cui l'apostolo invita i fratelli a rispettare l'autorità perché viene direttamente da Dio (anche quella dei tiranni e dei persecutori? Per duemila anni ci si è rotti la testa su quelle parole). Vincenzo Visco inventava la tassa sull'euro (in parte restituita). E Tommaso Padoa-Schioppa s'avventurava in una sorta di estetica impositiva. Adesso comincia a spirare un'aria nuova a sinistra. Forse.

    L'articolo di Carlo De Benedetti sul Foglio di ieri fa uscire
    quel sentore di muffa, quell'odor di retrobottega che per anni è rimasto appiccicato a una cultura progressista che ha lasciato alla destra il mito di Robin Hood per inseguire lo sceriffo di Nottingham. L'Ingegnere parla a Giulio Tremonti affinché Pier Luigi Bersani intenda. Loda il ministro dell'Economia per aver tenuto i conti pubblici sotto controllo, la barra dritta in mezzo alla tempesta. Ma di Tremonti accetta anche “uno slogan efficace: dalle persone alle cose, spostare il peso del fisco dalla produzione e dal lavoro alla ricchezza che si fa cose”. E qui ribalta il paradigma che ha guidato la politica fiscale del centrosinistra anche negli anni (e sono molti, ben sette nel quindicennio della Seconda Repubblica) in cui è stato al governo. Una teoria e una prassi oscillante tra risanamento del bilancio pubblico e redistribuzione; con il pendolo che finiva sempre sul primo termine, aggravando la pressione fiscale per tutti.

    Il rovesciamento del punto di vista comincia in realtà
    con l'analisi della crisi. La posizione prevalente ancor oggi, dal Pd alla sinistra estrema, è che in Italia ci sia un serio problema di domanda interna per consumi. Quindi, aumentare le retribuzioni e il reddito disponibile non è solo un gesto di giustizia sociale, ma la via maestra per una ripresa sostenuta. CDB, al contrario, sostiene che il paese soffra, e da tempo, di scarsa produttività. La recessione ha aggravato questo dato strutturale che ci impedisce di crescere. Raramente negli ultimi vent'anni si è superato il due per cento, mentre (come spiega Pierluigi Ciocca nel suo ”Ricchi per sempre?”) il prodotto lordo dovrebbe salire di tre punti annui per utilizzare al meglio, in modo giusto ed efficiente, le risorse e i fattori di produzione, a cominciare dal lavoro (quindi dare occupazione decente alle nuove generazioni).
    La proposta di De Benedetti sulle tasse, da questo punto di vista, è la seconda tappa di una sfida cominciata la settimana scorsa con l'Espresso che ha messo in copertina un saggio di Moisés Naìm (politologo liberal americano) il quale propone un patto per lo sviluppo basato sul congelamento dei salari. Per uscire dalla palude, ci vuole uno stimolo e deve venire dal lato dell'offerta non della domanda, della produzione e non del consumo, del mercato e non dello stato.

    L'ultimo dei “Temi di discussione” pubblicati dalla Banca
    d'Italia, offre un paper che potrebbe fornire altri buoni argomenti alla tesi dell'Ingegnere. Andrea Brandolini e Silvia Magri, del servizio studi di palazzo Koch, e Tim Smeeding dell'Università del Wisconsin, hanno messo a confronto ricchezza e povertà di vari paesi. Se consideriamo tutti i patrimoni e il risparmio, troviamo una conferma clamorosa a quel che si dice da tempo. “I redditi di italiani e finlandesi sono più bassi di quelli tedeschi, rispettivamente del 14 e del 20 per cento – scrivono i tre economisti – La ricchezza, invece, è nettamente maggiore: quella degli italiani risulta addirittura due volte superiore a quella dei finlandesi e 1,4 rispetto ai tedeschi”.

    Ciò riguarda i ceti medi. Ma l'Italia è il paese in cui anche le persone che s'arrabattano attorno alla soglia di povertà, sono meno vulnerabili, grazie al fatto che possiedono almeno un tetto sotto cui dormire. Questo gap tra reddito pro capite più basso e ricchezza più alta, aumenta a causa della bassa produttività e di una tassazione che colpisce i salari e i profitti non le rendite, creando un vero e proprio circolo vizioso.
    CDB dice che la sua è “una riforma liberale”, e cita Luigi Einaudi. Potrebbe diventare la piattaforma di un programma lib-dem (ora che i liberal-democratici sono tornati à la page grazie ai successi di Nick Clegg). La tradizione laburista e socialdemocratica, infatti, ha trasformato in un feticcio l'imposta progressiva sul reddito, anche se i cambiamenti della società mostrano che non garantisce l'equità (oggi i redditi fissi sono solo una parte dei guadagni effettivi), crea squilibri tra settori economici (chi vive di redditi variabili, usufruisce ovunque non solo in Italia di una miriade di esenzioni e guarentigie) e diventa una zavorra per lo sviluppo. Una bella provocazione per la sinistra riformista. Se reagisse con la tradizionale supponenza, getterebbe a mare un'altra, l'ennesima, buona occasione.