Cyberdissidenti
Si chiamano “cyberdissidenti”. Sono i ribelli della Rete. Si è detto che così come in Unione sovietica era in uso il “samizdat”, ovvero l'editoria clandestina stampata in casa e passata di mano in mano solo tra persone di cui ci si poteva fidare, oggi sono i blogger, i forum, le chat e i cybercafè i nuovi luoghi della dissidenza. L'ex presidente americano George W. Bush ha riunito in Texas, presso l'Istituto che porta il suo nome, molti blogger perseguitati nei paesi non democratici.
Si chiamano “cyberdissidenti”. Sono i ribelli della Rete. Si è detto che così come in Unione sovietica era in uso il “samizdat”, ovvero l'editoria clandestina stampata in casa e passata di mano in mano solo tra persone di cui ci si poteva fidare, oggi sono i blogger, i forum, le chat e i cybercafè i nuovi luoghi della dissidenza. L'ex presidente americano George W. Bush ha riunito in Texas, presso l'Istituto che porta il suo nome, molti blogger perseguitati nei paesi non democratici. L'evento aveva come sponsor Freedom House e Radio Free Europe, la radio della dissidenza anticomunista che veniva ascoltata da Lech Walesa e dai militanti di Solidarnosc, che in Cecoslovacchia trasmetteva i discorsi di Ronald Reagan e che oggi trasmette in tutto il mondo arabo-islamico: con sempre meno fondi, ma con lo stesso spirito di un tempo.
Dalla Cina è arrivato il blogger Isaac Mao, imprenditore capitalista e attivista della Rete che tra i primi ha chiesto al motore di ricerca Google di combattere la censura cinese. Due gli iraniani presenti al forum. Arash Kamangir è esule in Canada ed è noto in rete con il nick name di “Kamangir”. L'altro, Mohsen Sazegara, durante le rivolte di giugno a Teheran, ogni giorno, per dieci minuti, con indosso una polo verde o nera in segno di lutto “quando ci sono martiri da onorare”, Sazegara faceva lezione su Internet ai giovani iraniani in rivolta da un appartamento di New York. C'erano il russo Oleg Kozlovsky, esperto delle rivoluzioni non violente, il cubano Ernesto Hernández Busto, che ha abbandonato l'isola a diciotto anni, e il blogger siriano Ahed al Hendi. E sempre a Cuba il dottor Guillermo Farinas, che è facile ricordarsi per le fotografie in cui assomiglia a uno spettro con gli occhi fuori dalle orbite, ed è ancora in carcere per aver invocato “Internet libero” in un regime comunista che svetta nella classifica di chi perseguita di più al mondo la libertà d'informazione. Psicologo e giornalista critico, Farinas è costretto sulla sedia a rotelle da una polineurite.
Dopo le proteste dello scorso giugno, i blogger sono diventati i principali oppositori del regime iraniano. Sono stimati tra i dieci e i quindicimila scrittori online iraniani. Si parla già di “weblogistan”. E numerose organizzazioni umanitarie, tra cui Reporter sans frontières, hanno denunciato l'Iran come “nemico di Internet”. Ali Behzadian Nejad e Omid Lavassani sono stati condannati a sei anni di galera a Teheran (il secondo per aver creato il sito web del candidato riformista Hossein Mousavi). Sempre in carcere è “il padre dei blogger iraniani”, Hossein Derakhshan. Il cyberdissidente Omidreza Mirsayafi si è “suicidato” nella prigione di Evin. Dalla finestra della sua cella poteva vedere l'area speciale dove ancora, nel 2010, uomini e donne iraniani vengono seppelliti fino al collo e presi a sassate finché non muoiono.
Accade anche nel “moderato” Egitto. Di quattro anni è la condanna del blogger Abdel Suleiman, noto come “Karim”. E' il più importante caso di libertà di coscienza nel mondo arabo.
Per la prima volta un blogger arabo è stato processato per i suoi scritti. “Dobbiamo convincere l'essere umano della sacralità della persona”, aveva scritto lo studente del Cairo. Troppo per i custodi dell'islam. “La legge non è uno strumento di repressione tramite il quale chiunque la gestisca miri a creare una nuova divinità alla quale l'uomo si deve prostrare”. Il suo “reato”? Aver espresso idee antifondamentaliste e liberali su politica, cultura e società. Era un aspirante avvocato con l'intenzione di specializzarsi nella difesa dei diritti umani. Lo aveva fatto per amore della sorella costretta ad abbandonare la scuola e a indossare il velo islamico integrale con una piccola fessura per lasciare scoperti gli occhi. Nel suo blog Karim ha definito la venerabile scuola di al Azhar “università del terrorismo”. E' stato sbattuto in prigione con l'accusa di “blasfemia”. Il suo processo è durato cinque minuti. La sua stessa famiglia lo ha ripudiato. Per non parlare del fatto che era stato il fratello maggiore a denunciarlo. Nel suo blog, Karim aveva lanciato una sfida radicale all'establishment islamista, proponendo un manifesto contro la censura, un appello a sostenere i prodotti danesi e una denuncia della condizione della donna nel mondo musulmano. Qualcuno sul suo blog ha lasciato un elogio dei fratelli Scholl, gli studenti della Rosa Bianca che si opposero al nazismo.
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