Un paio di dubbi sui poteri di Bazoli e il suo ruolo di grande elettore

Francesco Forte

Evviva la santa ingenuità. Ieri il presidente della Fondazione Cariplo, Giuseppe Guzzetti, dopo la rinuncia del professor Domenico Siniscalco alla candidatura a presidente del Consiglio di gestione di Intesa, ha dichiarato: “La palla è in mano al presidente Bazoli, che ha diffuso una lettera e noi siamo molto rispettosi”.

    Evviva la santa ingenuità. Ieri il presidente della Fondazione Cariplo, Giuseppe Guzzetti, dopo la rinuncia del professor Domenico Siniscalco alla candidatura a presidente del Consiglio di gestione di Intesa, ha dichiarato: “La palla è in mano al presidente Bazoli, che ha diffuso una lettera e noi siamo molto rispettosi”. Questo “noi siamo rispettosi” allude al “rispetto”. Quale “rispetto”? Quello che si deve al “grande elettore”, ossia Giovanni Bazoli, che deve designare il presidente del Consiglio di gestione di Intesa? Eravamo stati informati che per un accordo non scritto spetta di fatto alla Compagnia di San Paolo la designazione del candidato a presidente del Consiglio di gestione del gruppo bancario. Un accordo logico, dato che il San Paolo è il maggior azionista di Intesa, con quasi il 10 per cento delle azioni e che l'uscente Enrico Salza era espressione della Compagnia.

    Il presidente dalla Fondazione, Angelo Benessia, aveva presentato due candidati, entrambi torinesi: Domenico Siniscalco e Andrea Beltratti. Fra i soci della Compagnia spicca il comune di Torino, il cui sindaco Sergio Chiamparino, d'accordo con Benessia, aveva espresso la preferenza per Siniscalco, allo scopo dichiarato di assicurare una maggior attenzione all'area torinese da parte del gruppo milanese. Il problema è che ciò che piace a Chiamparino e Benessia non piace alle alte sfere di Intesa secondo le quali, non potendo più avere Salza, considerato a Torino troppo vicino ai milanesi di Intesa, si deve ripiegare su Beltratti e comunque non si doveva votare Siniscalco, dotato – evidentemente – di pericolosi trascorsi al ministero dell'Economia, prima come braccio destro di Giulio Tremonti, e poi lui stesso ministro dell'Economia, gradito a Lega oltreché al Pdl. Così Bazoli ha ricordato che le nomine spettano, per statuto, al Consiglio di sorveglianza (Cds) di Intesa, o meglio al comitato nomine che sarà eletto oggi dal Cds. Il che è vero. Ma da tutto ciò si vede che, come dice Guzzetti, in realtà il grande elettore è Bazoli. Insomma le nomine non competono, come sembrava, agli enti locali e alle regioni che controllano le fondazioni bancarie, ma a un gruppo auto referenziale che si perpetua per cooptazione.

    L'opposizione del mondo bancario e dei tecnici e opinionisti d'area alla richiesta di Umberto Bossi che la Lega abbia un ruolo in tali nomine era mossa dal desiderio di perpetuare questo potere autoreferenziale, che utilizza lo schermo delle fondazioni per non essere oggetto di contendibilità. Si può discutere se sia bene che le fondazioni bancarie controllino le banche. Anche perché spesso i manager delle grandi banche sono più propensi a finanziare le maggiori imprese, perché ciò è più semplice o addirittura perché ne sono catturati. Caso mai si può volere che le fondazioni non controllino le banche, per evitare che la politica le controlli. Ma ora si vede che neanche questo è vero. Si tratta di banche non contendibili controllate da qualche grande elettore che decide per tutti e che pretende che tutti si uniformino.